Arda Turan, Mesut Ozil e Cegiz Under: da eroi a reietti, la gloria e la repentina dannazione della ‘generazione Erdogan’

Il problema di diventare un idolo è che prima o poi si finisce sempre nella polvere. L’esito è certo, si può solo lottare per provare a spingere quel giorno il più avanti possibile. Per Arda Turan la data di scadenza è arrivata lo scorso 31 gennaio. È stato allora che il giocatore più forte della Turchia è passato da figliol prodigo a reietto. Una volta per tutte. Senza possibilità di appello. Perché in quel giorno il fantasista ha deciso di rescindere il suo contratto con il Basaksehir. Pur sapendo che il Barcellona, titolare del suo cartellino fino al prossimo giugno, non aveva nessuna intenzione di riaccoglierlo a braccia aperte.

Nel giro di un pomeriggio Arda Turan è rimasto senza squadra, senza stipendio, senza calcio. A 33 anni è diventato un giocatore che si aggira per l’Europa nel tentativo disperato di dimostrare di non essere un “ex”. O almeno non ancora. Perché la sua ultima rete in campionato risale ormai a più di due anni fa. È il 20 aprile del 2018, un venerdì. Il Basaksehir batte 3-1 il Kayserispor, ottavo in classifica. Arda Turan segna il secondo gol, quello che riporta in vantaggio la squadra di Istanbul. Poi più niente. Solo squalifiche, infortuni, sprazzi di talento. E tanti problemi. Soprattutto fuori dal campo. La parte più oscura del suo carattere prende il sopravvento e fa partire l’autocombustione. L’11 settembre 2019 il fantasista turco viene condannato a 2 anni, 8 mesi e 15 giorni di carcere. Il motivo? Poco meno di un anno prima si trovava in un locale di Istanbul e aveva rivolto delle frasi piuttosto esplicite alla moglie del cantante turco Berkay Sahin. Davanti al cantante turco Berkay Sahin.

“Se non fossi sposato – aveva detto – una come te non mi mancherebbe”. Apriti cielo. Nel locale era scoppiata una rissa da saloon. Berkay aveva avuto la peggio e si era ritrovato con il naso rotto e con una pistola puntata contro. Ma non era ancora finita. Perché Arda Turan aveva seguito il cantante al pronto soccorso e, per intimorirlo, aveva sparato anche un paio di colpi (che l’accusa aveva definito accidentali). Un episodio che diventa solo l’ultima riga nel curriculum di follie. Neanche 12 mesi prima Arda Turan era stato squalificato per 16 giornate, poi ridotte a 10, per aver spinto un guardalinee (e per averlo coperto di insulti). L’addio alla Nazionale, invece, era arrivato nel 2017. La Turchia stava rientrando in aereo dalla trasferta in Macedonia. E il fantasista si era scagliato contro un giornalista che volava con la squadra.

Un finale di carriera incomprensibile, una picchiata inarrestabile che stride con il personaggio che Arda Turan aveva costruito all’inizio della sua avventura europea. Nel 2011 l’Atletico lo acquista per 12 milioni dal Galatasaray. Appena atterrato in Spagna, Arda Turan scende le scalette dell’aereo e dice: “Sono qui per giocare nell’Atletico, se mi avesse chiamato in Real non avrei firmato”. Uno slogan capace di infiammare qualsiasi cuore. Con la maglia dei materassi compie il salto. Da talento a icona nazionale. Arda Turan decide di non imparare lo spagnolo, gira con il traduttore, mette su quello che passa alla storia come il Frente Kebab, un gruppo di persone comuni che si riunisce in un ristorante e ascolta la musica tradizionale turca fino a tardi. Gli inizi con Gregorio Manzano non sono dei migliori. Ma con Simeone, a poco a poco, la storia cambia. Non poteva essere altrimenti visto che “Cholo”, letteralmente, significa incrocio di razze.

Arda Turan diventa una parte essenziale del gruppo pur restando un elemento esterno al gruppo. Si mescola ma non si miscela agli altri. In campo diventa centrale. Dribbling, passaggi, cambi di ritmo. E anche qualche gol. El Turco è un elemento di classe in una squadra brutta, sporca e cattiva, in un collettivo che deve cercare una propria filosofia per arrivare lì dove sono Barcellona e Real. Nel 2015 Arda Turan si trasferisce al Barça. Ma lì è solo un ottimo giocatore in una squadra infarcita di fenomeni. In due anni e mezzo gioca 36 partite. Una miseria. Così nel gennaio del 2018 torna in patria. Non in una squadra qualsiasi, ma nell’Istanbul Basaksehir, un club che ha ritirato la maglia numero 12 come gesto di rispetto nei confronti di Erdogan, una società che il New York Times ha definito, senza giri di parole, “del governo”. E non è una coincidenza. Perché Arda Turan è forse il giocatore turco che più ha appoggiato pubblicamente la politica di Erdogan.

E se nel 2017 si è schierato a favore dell’introduzione del “super-presidenzialismo”, nel 2018 ha addirittura scelto Erdogan come testimone di nozze. Con tanto di cambio di programma: niente alcol nel menù, perché il presidente è un musulmano praticante e potrebbe risentirsi. D’altra parte il legame fra i due è più che saldo. Agli Europei del 2016 la Turchia viene superata da Croazia e Spagna. I sogni di qualificazione agli ottavi non durano neanche 180’. Il pubblico non gradisce e inizia a fischiare Arda Turan, uno che fino a quel momento era diventato il simbolo di una Nazione che poteva competere con chiunque, un sogno nazionalista in carne e ossa, viene travolto dalle critiche. Ed Erdogan corre in suo aiuto: “Fischiare il capitano della nazionale non è un atto spiegabile”.

Questo, però, è un momento difficile anche per altri due giocatori che hanno ostentato pubblicamente il loro appoggio a Erdogan. Il primo è Mesut Ozil, altro talento minato da un carattere difficile. Nei giorni scorsi il turco (insieme a due compagni) ha inizialmente rifiutato di tagliarsi del 12,5% il suo stipendio da 350mila sterline a settimana, così come stabilito da tecnico e giocatori per aiutare l’Arsenal a gestire le perdite legate all’emergenza Covid-19. Un altro tassello in un mosaico di polemiche internazionali che il centrocampista tedesco di origini turche sta costruendo da anni. Nel maggio 2018, insieme al compagno Gundogan, si fa fotografare con Erdogan. Sorrisi, strette di mano, maglie con dedica. Le critiche sono così aspre che Ozil, dopo i Mondiali, decide lasciare la Nazionale dicendo di essere vittima di razzismo.

“Mesut ha fatto bene a dire addio alla nazionale tedesca – gongola Erdogan – Il razzismo va condannato, è una cosa inaccettabile”. Ozil dice che lui, quello scatto, lo rifarebbe. Così nel 2019 ecco che lui e la sua fidanzata si fanno fotografare ai lati del presidente durante una cena. Il passo è breve, il 7 giugno Ozil si sposa ed Erdogan gli fa da testimone. Le foto fanno il giro del mondo, fatalità proprio prima delle elezioni per il nuovo sindaco di Istanbul. Non va meglio a Cengiz Under, che lo scorso ottobre aveva postato una foto che lo ritraeva mentre festeggiava un gol mimando un saluto militare. Tutto corredato da tre bandierine turche, chiaro gesto di appoggio alle operazioni militari contro i curdi in Siria dei giorni precedenti. Alla sua terza stagione a Roma, l’esterno è ancora un rebus. I primi sei mesi del 2018, quando il turco ha trascinato i giallorossi di Di Francesco con 6 gol in 7 partite fra campionato e Champions, sono rimasti un’eccezione. Under non ha più trovato la continuità, fra infortuni, prestazioni opache e scarso contributo alla fase difensiva, e l’esplosione di Zaniolo lo ha relegato in secondo piano. Almeno per il momento.

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