Giorgia Meloni, quando la solidarietà è classista

di Alessandro Negrini

La portata della solidarietà dimostrata nei confronti di Giorgia Meloni è quintupla rispetto a quella ricevuta da: Silvia Romano per essersi convertita all’Islam, Virginia Raggi sommersa da fango sessista solo per il fatto di esistere, senzatetto bagnati con gli idranti col beneplacito del comune di destra di Vicenza, da uno delle decine e decine di omosessuali attaccati da fascisti. Da uno, uno qualunque, delle centinaia di migranti annegati in mare. Senza nome. Senza volto. Senza telefonata del Presidente Sergio Mattarella, che sono certo da domani spenderà ore al telefono per indirizzare loro la dovuta solidarietà. Uno ad uno.

Quindi, stendiamoci nella solidarietà a Giorgia Meloni e nella giusta condanna degli orrendi insulti, per dire basta all’odio – dentro una consapevolezza storica però: chi semina idee fasciste, razzismo e odio deve ricevere solidarietà, ma non può dare lezioni di solidarietà. Aggiungo che la nostra solidarietà assume sempre con più chiarezza tratti classisti: si manifesta, con enfasi, se ad essere attaccato è un rappresentante del mondo che appare, collocato nella “presentabilità” borghese, e ancor più se appartenente al Palazzo.

Solidarietà sfocata, invece, limitata nell’arco di un trafiletto quando va bene, ignorata quando va male – e cioè quasi sempre, se ad essere attaccato è un appartenente al mondo degli invisibili.

Infine: mi chiedo, vi chiedo, ora, a Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia e alla Lega: per quale motivo non propongono, appoggiano, suggeriscono una legge che punisca l’odio razziale e di genere? La risposta la sappiamo: perché la violerebbero, per poter esistere.

Solidarietà. E coscienza storica.

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