Usa 2020, ecco ‘come rubare un’elezione’

Si dice degli Stati Uniti che siano una giovane nazione, anzi una nazione “senza storia” e, allo stesso tempo, si attribuisce loro la qualifica di più antica democrazia repubblicana dell’occidente. Queste due osservazioni, per quanto contraddittorie, contengono elementi di verità e rivelano tensioni del tessuto istituzionale statunitense che queste imminenti elezioni rischiano di esacerbare fino al punto di rottura.

Che gli Stati Uniti non siano privi di storia non è solo un’evidenza cronologica, ma un fatto gravido di conseguenze per molteplici fronti caldi del dibatto sociale contemporaneo. Tra i temi più rilevanti si potrebbero annoverare la furia iconoclasta degli ultimi dieci anni (fenomeno liberticida tipico della sinistra americana), la cronica incapacità di esprimere un giudizio definitivo e interamente indignato sul passato schiavista (fenomeno liberticida tipico della destra americana), infine l’indisponibilità a perseguire ogni serio progetto di giustizia sociale che richieda un contributo economico – anche minimo – da parte del singolo (un nanismo morale per il quale repubblicani e democratici fanno a gara).

Questi punti di stallo del dibattito politico americano non nascono dal nulla, ma sono frutto della storia del paese. Tra i lasciti del passato più pericolosi per le presenti elezioni e potenzialmente esiziali per la democrazia americana, figurano il sistema dei grandi elettori e la piaga del gerrymandering.

Andando con ordine, negli Stati Uniti il presidente non viene eletto direttamente dai cittadini. I votanti di ogni Stato, con le loro preferenze, selezionano i cosiddetti “grandi elettori”, cioè degli individui, in numero variabile a seconda dello Stato, che ricevono la delega dai singoli cittadini a esprimere il loro voto per uno dei due candidati alla presidenza, così come questo è stato determinato al verdetto delle urne.

Questi grandi elettori, in numero di 538, si recano a Washington il primo lunedì successivo al secondo mercoledì di dicembre (sic!) e, riunitisi in assemblea presso la House of Representatives, votano in osservanza alla delega ricevuta dallo Stato di provenienza. Da un punto di vista formale, il presidente degli Stati Uniti viene eletto in dicembre, non in novembre. Tale meccanismo è regolato dal secondo articolo della Costituzione, prima sezione, seconda clausola.

La disfunzione di questo sistema, di per sé già sufficientemente lambiccato, risiede nella mancata corrispondenza percentuale tra numero di votanti e numero di grandi elettori. Questi rapporti percentuali, rimasti sostanzialmente invariati nel corso della storia del paese, fanno sì che il voto di zone densissimamente popolate venga rappresentato da un numero di grandi elettori proporzionalmente molto più basso rispetto a zone a minore densità abitativa, dove gruppi sparuti di cittadini possono inviare a Washington un numero abnorme di grandi elettori.

Il risultato finale consiste nella palese violazione del sacrosanto principio “one man, one vote” ovvero “un uomo, un voto”. A titolo di esempio, è stato calcolato che una preferenza espressa nello Stato di New York (il mio Stato) pesa meno di un singolo voto: per l’esattezza ne vale lo 0,8%. Al contrario, nello Stato rurale del Wyoming il “vote-weight” è pari al 2,97%. È come se un elettore, entrando in cabina, se ne portasse appresso altri due (o quasi).

A questa straordinaria distorsione si aggiunge il cosiddetto gerrymandering, una pratica che prende nome da Elbridge Gerry il quale, nel 1812, in qualità di governatore del Massachusetts, volle ridisegnare la distribuzione di una circoscrizione di Boston per trarne vantaggi elettorali. In sostanza, il gerrymandering consiste nella manipolazione geografica dei confini di un distretto elettorale, al fine di riportare una vittoria anche con un numero minoritario di voti.

Come questo sia possibile risulta evidente da vari schemi illustrativi che circolano in quantità sui media americani. Ne propongo uno di S. Nass che è stato più volte pubblicato dal Washington Post con l’eloquente titolo “How to steal an election”, cioè “Come rubare un’elezione”:

Queste illustrazioni schematiche rivelano croniche distorsioni del sistema elettorale che, unitamente al meccanismo dei grandi elettori, consegna al paese risultati grandemente deformati e divergenti dalla volontà dei votanti. L’architettura che i padri fondatori avevano disegnato per una neonata nazione, largamente dedita all’attività agricola e con una densità di popolazione più uniformemente distribuita, si dimostra inadeguata a rappresentare un quadro socioeconomico così profondamente mutato.

Dopo quasi due secoli e mezzo di vita istituzionale, gli Usa si trovano sull’orlo di un precipizio ed è la tenuta democratica del sistema a essere in pericolo. E così il paese “senza storia” rischia di restare schiacciato sotto i tanti fardelli della propria storia.

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