Archivio Tag: Agricoltura

Agricoltura biodinamica: esoterismo o avanguardia green? “Applichiamo regole che l’Europa pone come obiettivi per il 2030”

La transizione ecologica rischia già la sua prima battuta d’arresto. Si tratta dell’attesa legge 988 sull’agricoltura biologica, che potrebbe saltare a un passo dall’approvazione perché l’Italia, è il caso di dirlo, sembra aver pestato un grosso cornoletame. Pietra dello scandalo è un comma che equipara a quella biologica la meno nota agricoltura biodinamica, che appunto contempla procedimenti quali l’interramento di corna di vacca riempite di letame per stimolare la fertilità del terreno. “Stregoneria”, tuona una parte del mondo scientifico a partire dalla senatrice a vita Elena Cattaneo, che chiede ora di modificare la legge cancellando ogni riferimento alla biodinamica perché “una pseudoscienza non può ricevere finanziamenti pubblici”. Bando alle streghe, dunque? Non proprio. “La legge non assegna i fondi europei ai coltivatori biodinamici in quanto tali, ma solo in quanto agricoltori biologici”, spiega il presidente dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica Carlo Triarico. Insomma, i finanziamenti li prenderebbero lo stesso perché, aggiunge, “per fare biodinamica bisogna innanzitutto ottenere la certificazione biologica secondo la vigente normativa europea”. Un’evidenza che però non basta a placare gli animi di chi considera pericolosa anche la sola menzione formale. Anzi, gli attacchi aumentano ben oltre la sfera scientifica, e la biodinamica viene accusata di truffare i consumatori. “Tutt’altro, si tratta della punta più avanzata dell’agricoltura biologica”, sostiene la presidente di Federbio Maria Grazia Mammuccini. E a ben guardare ci si trova di fronte a un paradosso. Perché se da un lato questi contadini devono difendersi da accuse medievali, dall’altro rappresentano un’avanguardia già dotata di regole che l’Unione europea mette tra gli obiettivi per il 2030. Come la destinazione di parte dei terreni agricoli allo sviluppo della biodiversità o il riciclo in azienda di tutte le sostanze organiche prodotte. E non solo. C’è chi la mette sul piano della sostenibilità sociale. “Un’ecologia dell’uomo”, la chiama il vignaiolo Stefano Amerighi, pluripremiato biodinamico di Cortona (Arezzo). “La biodinamica guarda all’azienda agricola come un ciclo completo, che diversifica la coltivazione, alleva animali e offre lavoro tutto l’anno. Un’alternativa reale alla logica della monocoltura che male si adatta alla geografia del nostro paese, impoverisce i suoli dove a crescere sono fenomeni come lo sfruttamento degli stagionali e il caporalato”.

Ma andiamo con ordine e iniziamo a capire di cosa parliamo. A partire dalle accuse di stregoneria e quindi dai preparati utilizzati in biodinamica. Tra i più discussi, oltre al già citato cornoletame ci sono pratiche come la macerazione di erbe all’interno di vesciche animali. Descritte nel 1924 per la prima volta dal fondatore dell’agricoltura biodinamica, il filosofo e chimico tedesco Rudolf Steiner, oggi risultano quantomeno curiose, legate come sono alla cosmologia. Secondo il fondatore dell’antroposofia, pianeti e costellazioni interagiscono con tutto ciò che di vivente esiste sul nostro pianeta e attraverso le pratiche da lui descritte è possibile trasferire quell’energia al suolo e alle piante. Ma non sono dovuti passare cent’anni perché la legge si accorgesse dei preparati biodinamici. “Si tratta di cose che troviamo in commercio. Il loro utilizzo come corroboranti del terreno è normato a livello europeo e italiano, e la loro commercializzazione risponde a espliciti decreti ministeriali e al vaglio periodico di una commissione di tecnici di diversi ministeri che ha sempre rinnovato la loro ammissibilità tra i prodotti adatti alle colture biologiche e biodinamiche”, spiega Mammuccini di Federbio, la Federazione italiana dell’agricoltura biologica e biodinamica. Adesso sappiamo che non fanno male. Ma non è questo il punto. Funzionano per la terra e i suoi prodotti? Qui le cose si complicano. Perché se da una parte c’è chi sostiene, come lo stesso Triarico ricorda, che le fermentazioni garantite da involucri animali “permettono la sanificazione, la maturazione di composti umici fertilizzanti e la presenza di ceppi microbici e sostanze funzionali che stimolano l’attività biologica del suolo”, dall’altro c’è chi non ritiene scientificamente dimostrabile una relazione diretta tra l’impiego dei preparati e i miglioramenti che possono riscontrarsi nella qualità dei suoli.

“Un effetto deve spiegare chiaramente la sua causa, da questo non si scappa”, dichiara il presidente della Commissione Ricerca dell’Accademia dei Lincei Ernesto Carafoli, autore insieme ad altri colleghi di un comunicato che chiede al Parlamento di emendare la legge. “Pratiche basate su insensate credenze esoterico/astrologiche che sembrano uscite da un trattato di stregoneria”, scrivono. Attacchi volti a colpire l’intera legge sul biologico, come ribattono i sostenitori dell’agricoltura biodinamica? “Non mi si dica che sono contro il biologico, perché non è così”, respinge al mittente Carafoli. “Anzi, riconosco i suoi meriti e agli agricoltori biodinamici la bontà di alcuni metodi come la rotazione delle colture e l’investimento sulla biodiversità. E quindi ben venga il loro impegno come parte più estrema dell’agricoltura biologica, ma senza le follie steineriane, una palla al piede della quale li invito a liberarsi”. Il cornoletame si può acquistare anche online, più comunemente sotto la sigla 500 o 500K. Tra le indicazioni, oltre alla capacità di “processare nel terreno e sull’apparato radicale le forze dei pianeti sottosolari (Luna, Mercurio e Venere)”, vengono spiegate le corrette quantità di acqua e le dosi di cui necessita il terreno. “Per il cornoletame si tratta di 200 grammi diluiti in acqua per bagnare addirittura un intero ettaro di terra”, commenta Carafoli, secondo il quale non si può che parlare “di dosi omeopatiche, di favole”.

Eppure anche nel mondo accademico le posizioni si differenziano. Non basterebbe questo intero articolo a elencare i corsi universitari, i master e i convegni che in Italia e all’estero si occupano della materia. E non manca chi difende la biodinamica semplicemente disinteressandosi “ai suoi aspetti filosofici e spirituali”. Come Paolo Bàrberi, professore di Agronomia alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, e coordinatore del dottorato di ricerca internazionale in Agrobiodiversità. “Dato che l’impostazione della biodinamica è di tipo sistemico, per verificarne i risultati sarà necessario un approccio di ricerca di tipo sistemico”, ha detto in una recente intervista, convinto che “l’approccio dogmatico di una parte del mondo scientifico crei un enorme danno alla credibilità della scienza”. E spiega: “Abbiamo a che fare con un sistema vivente, in cui i legami e le relazioni tra le diverse componenti sono ben più complessi e il cui esito spesso non è facilmente prevedibile. Possiamo però dire che i sistemi ad alta complessità e diversità, come l’agroecologia, il biologico e il biodinamico, tendono a stabilizzare le produzioni nel tempo e a renderle meno vulnerabili a fattori esterni come il cambiamento climatico”. E non è il solo. L’ecologista di fama internazionale Nadia Scialabba, per trent’anni alla Fao e oggi impegnata nella ricerca sul cibo sostenibile all’Arizona State University, sostiene che la particolare diversificazione delle coltivazioni biodinamiche unitamente all’attenzione alla biodiversità non solo garantiscano la maggiore fertilità dei terreni, “ma anche raccolti che in caso di siccità superano del 40 per cento quelle dell’agricoltura convenzionale”. Non proprio un optional se è vero quel che afferma Coldiretti: “La siccità rappresenta l’evento climatico avverso più rilevante per l’agricoltura italiana con danni stimati in media in un miliardo di euro l’anno”. Altri studi attribuiscono ai terreni coltivati con metodo biodinamico la capacità di trattenere fino al 55 per cento di acqua in più rispetto a campi coltivati in modo convenzionale, e questo grazie alla cura dell’humus, la componente organica del suolo che trattiene acqua e nutrienti e che nelle colture biodinamiche può arrivare a costituire anche al 70 per cento del terreno.

Dopo Germania e Francia, oggi l’Italia è il terzo paese per superficie coltivata con metodo biodinamico. E secondo l’ultimo rapporto del ministero delle Politiche agricole i coltivatori interessati sono 4500. Streghe? “È triste identificare la biodinamica con il cornoletame o la vescica di cervo”, commenta il vignaiolo Amerighi. “Sono cose che non disconosco perché parte di un lungo percorso culturale che, va detto, ha ispirato tutta l’ecologia del Novecento e anticipato la stessa agricoltura biologica. Ma su cento biodinamici ne conosco solo uno tedesco che usa la vescica di cervo, e il cornoletame si riduce a un paio di applicazioni due volte l’anno”. E ancora: “La biodinamica moderna è solo un riflesso di ciò che è stata in origine, e al netto di qualche estremista, che c’è in tutti gli ambiti, oggi applichiamo una versione decisamente laica, frutto di esperienza ma anche di tanta ricerca”. Secondo Amerighi, il patrimonio che la biodinamica porta in dote alla grande famiglia delle produzioni a basso impatto ambientale e soprattutto alla sfida della transizione ecologica è la visione olistica del pianeta come un tutt’uno vivente. E più concretamente il concetto di ciclo chiuso applicato all’azienda agricola, dove tutto si regge a partire dal principio che “la terra va trattata come un organismo da tenere in salute perché se è in salute avrà meno bisogno di interventi”. E avverte: “Quelli che oggi si aggrappano strumentalmente al cornoletame, quindici anni fa non accettavano che parlassi di fertilità naturale del terreno, concetto che oggi ispira le strategie internazionali per il prossimo futuro”.

Amerighi è uno degli agricoltori che hanno deciso, oltre all’obbligatoria e preventiva certificazione biologica, di sottoporsi alle ispezioni per ottenere anche la certificazione di agricoltura biodinamica. E qui veniamo alle accuse che parlano di business ingiustificato o peggio di truffa ai consumatori. La Démeter Italia è l’associazione privata di produttori che certifica il biodinamico, ancora oggi nel rispetto dell’eredità steineriana. Non è la sola ma è la più conosciuta e datata. Esiste da ottant’anni e fa riferimento alla Federazione biodinamica Démeter iternational. Una “multinazionale straniera” come ha scritto qualcuno? Non secondo Triarico, che siede nel consiglio dell’associazione italiana e la rappresenta nel board di quella internazionale. “Si tratta di un’associazione di contadini, dove i soci hanno pari dignità per statuto e alla quale contribuiscono per la tutela del marchio e per i controlli che garantiscono la qualità e l’identità del loro lavoro e dei loro prodotti”. C’è chi accusa Démeter di aver trasformato il “biodinamico” in un marchio registrato di cui detiene la proprietà. “Decidemmo in passato di acquistare un logo. Era stato registrato per pura speculazione dall’allora ufficio brevetti della Fiat, la casa automobilistica. E lo facemmo per tutelarci come coltivatori e con l’unico fine che non venisse mai utilizzato. E così è stato”, racconta Triarico. A dimostrare che nessuno viene perseguito per essersi auto definito coltivatore biodinamico è il fatto che appena il dieci per cento di chi pratica questa agricoltura si avvale della certificazione Démeter. Certo, la Démeter è depositaria della discussa eredità steineriana e delle sue prescrizioni. Come è vero che non manca chi abbraccia tutto questo per motivi commerciali. Ma la scelta rimane libera, e così il consumatore di fronte ai prodotti da agricoltura biodinamica. Nulla che abbia mai pesato sulle tasche del contribuente, è il caso di ricordarlo.

E allora perché tanto rumore? Perché oltre le accuse e gli appelli di alcuni scienziati la polemica è diventata un polverone mediatico? La posta in gioco l’ha definita l’Unione europea stabilendo che entro il 2030 il biologico dovrà occupare il 25 per cento di tutte le coltivazioni agricole. Un obiettivo che vede in vantaggio noi italiani, con la media Ue che è all’otto per cento e la nostra che è già al 15,8 per cento. Ma la strada è ancora lunga e comporta la riallocazione di molte risorse, a partire dai fondi europei per l’agricoltura dell’intero decennio, la cui destinazione andrà decisa entro l’anno anche in Italia. Le sfide del Green Deal europeo e le sue strategie imporranno necessariamente lo spostamento di parte dei finanziamenti dalle produzioni convenzionali a quelle biologiche. Tanto che associazioni come Assofertilizzanti di Federchimica dichiarano il loro impegno nel settore dei biostimolanti: “Rappresentano uno degli strumenti più efficaci per il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi della strategia Farm to Fork”, ha detto l’anno scorso il presidente del Gruppo fertilizzanti specialistici Lorenzo Gallo. Un mercato che entro il 2025 promette di raddoppiare il suo valore, già oggi pari a 2,6 miliardi di dollari. “Non illudiamoci che passeremo tutti ai fertilizzanti naturali e a basso costo prodotti in aziende a ciclo chiuso dove si riutilizza il letame dei propri animali”, commenta Triarico, ricordando che già oggi la biodinamica comporta una quota di allevamento. Eppure, anche al netto degli interessi in gioco un problema rimane. Quello dei modelli da adottare per tradurre concretamente gli obiettivi europei e passare dal dire al fare. Come si fa a destinare il 10 per cento dei terreni agricoli di un’azienda alla biodiversità? Anzi, a questo punto lo possiamo dire: cosa cavolo significa? Basterà piantare qualche albero? Quale? E come faccio a riciclare nel miglior modo possibile tutta la sostanza organica che produce la mia azienda? E ancora, come combatto la siccità aumentando la fertilità naturale del suolo? “Bisogna sempre partire dall’analisi del terreno, vedere cosa manca e riportarlo a uno stato attivo”, risponde Anna Stohmenger, agronoma che per anni ha collaborato ai programmi della Fao e specializzata in microbiologia agraria e fertilità biologica del terreno. “Ormai si parte da terreni consumati, che hanno subito l’agricoltura convenzionale e magari abbandonati da tempo. Serve l’analisi chimica e biologica per vedere se manca anche uno soltanto dei quattro gruppi funzionali di microbi. In assenza il terreno non sarà fertile biologicamente e andrà ristrutturato, a partire dalla presenza di humus, che è il catalizzatore di elementi nutritivi e di acqua che poi cede al terreno e alle piante”. E aggiunge: “Se non rinuncia alla ricerca e all’evoluzione, su questo la biodinamica ha sicuramente una marcia in più”.

Al netto di commi, dogmi e legittime opinioni, è più utile pretendere l’abiura o arruolare questi agricoltori alla causa della transizione ecologica? Qualche settimana fa, in una azienda vinicola della Valpolicella dove era in corso una degustazione, l’enologo ha raccontato ai presenti come sia ancora molto diffusa l’usanza delle “crosette”, piccole croci di legno d’ulivo poste all’inizio di ogni filare, per proteggere la coltura e il raccolto, “anche dalla grandine”. Di fronte ai sorrisi bonari di qualche presente, l’enologo si è sentito in dovere di precisare: “I titolari dell’azienda sono molto credenti”. Si sarebbe potuto obiettare che non vi sono evidenze scientifiche a giustificazione di tali pratiche. Si è preferito comprare il vino. Era buono

L’articolo Agricoltura biodinamica: esoterismo o avanguardia green? “Applichiamo regole che l’Europa pone come obiettivi per il 2030” proviene da Il Fatto Quotidiano.

 – Leggi

Sardegna, il sistema agricolo pubblico aspetta la sua riforma. E intanto il tempo passa

2 luglio 2019: fa un po’ caldo nella sala biblioteca dell’Assessorato dell’Agricoltura della Regione Sardegna. Siamo in tanti, è quasi un giorno di presentazione. Le elezioni sono passate da molti mesi, il presidente e l’assessora sono in carica, ancora ci si ricorda della rivolta dei pastori (ve la ricordate voi? Per ora pare che se ne siano dimenticati tutti, tranne quelli che stanno venendo perseguitati dalla giustizia), e sembra un giorno delle grandi occasioni.

L’assessora annuncia, da qua a qualche giorno, la presentazione di un progetto di legge di riforma organica del sistema pubblico agricolo (Assessorato più tre agenzie). Bene, così si fa, ce n’è bisogno. Parliamo di più di un migliaio di dipendenti pubblici e di diverse decine di milioni di stipendi, ma soprattutto della struttura che sovrintende al settore primario in Sardegna.

2 luglio 2020: sono passati 365 giorni, ma di quel progetto di legge di riforma organica non si sa nulla. Forse è in qualche cassetto, di sicuro non se ne è discusso, non si sa se esiste. La Direzione generale dell’Agricoltura e riforma agro-pastorale è passata da circa 120 unità a poco più di 70. Non si sono assunte figure tecniche, l’età media è terribilmente alta, si arranca.

Argea vive da più di 5 anni con la spada di Damocle del diventare organismo pagatore dei contributi a valere sul secondo pilastro della Pac (Politica agricola comune), oggi effettuati da Agea. Nel momento in cui si scrive non si è detta una parola chiara se, su questo punto, si assisterà ad un misero fallimento o no.

Agris e Laore, il primo vocato alla ricerca e il secondo istituzionalmente responsabile dell’assistenza e dell’animazione verso il mondo delle campagne e della pesca, sono in crisi di identità da anni, e non sono pervenuti segnali di alcuni tipo.

Al momento non è chiaro quali obiettivi il governo regionale si è dato per il settore primario. Quale agricoltura o, meglio, quali agricolture e quali pastorizie? Favorire l’accorpamento, o permettere l’esistenza di un diffuso apparato produttivo? Quale valutazione di qualità (sulla quantità i numeri sono chiari, e non negativi) sulla spesa di ingenti fondi europei dal 2000 ad oggi nel settore?

Quali transizioni realizzare nella prima metà del XXI secolo? Vogliamo realizzare la transizione al biologico dell’intero sistema agro-industriale-alimentare e della pesca, partendo dalla certificazione della terra (di cui guarda caso si potrebbe occupare Agris)? Vogliamo realizzare la transizione all’autosufficienza energetica?

Vogliamo realizzare una verticalizzazione della filiera, con lo sviluppo anche di una maggiore capacità manageriale? Quali prodotti, compresi quelli relativi alla lavorazione/utilizzo sia dei reflui, o la sperimentazione di linee innovative (carne biologica nel settore ovino, con una tendenza alla internazionalizzazione)?

Discussi e stabiliti tali obiettivi, che dovrebbero assumere autorevolezza e condizione in una “Conferenza sullo sviluppo rurale della Sardegna”, si può discutere, in contemporanea, della complessiva riorganizzazione del sistema pubblico agricolo, che è al servizio delle sarde e dei sardi, innanzitutto operatrici ed operatori del settore. C’è bisogno di un organismo pagatore? Se si decide di sì, lo si realizzi autonomo e funzionalmente diverso rispetto a chi istituzionalmente ha il compito di realizzare le istruttorie.

C’è bisogno di un ente pubblico che faccia ricerca in agricoltura? La domanda non è di facile risposta, perché esiste l’università e perché in giro per l’Europa ci sono esempi diversi. Noi pensiamo di sì, e che però bisogna unificare centri di spesa e procedure. E bisogna assumere, altrimenti rimane tutto sulla carta.

C’è bisogno di un ente pubblico che faccia assistenza e animazione per le campagne e per il mondo della pesca? Anche in questo caso il panorama europeo occidentale è vario e variegato. La sparizione dei servizi e la privatizzazione di alcuni di essi, in un tessuto debole e con una difficile situazione bancaria, sarebbe un passo indietro.

2 luglio 2020. Speriamo di non aspettare un altro anno.

L’articolo Sardegna, il sistema agricolo pubblico aspetta la sua riforma. E intanto il tempo passa proviene da Il Fatto Quotidiano.

 – Leggi

Trattato Ue-Mercosur, gli agricoltori tedeschi in piazza: “È in contrasto con le politiche per il clima siglate dalla stessa Europa”

“Ci stiamo muovendo sempre di più verso un’agricoltura industriale che è in contrasto con le politiche di salvataggio del clima che gli Stati europei hanno siglato”. Saskia Richarzt, portavoce di Wir haben es satt!, associazione che protesta contro le politiche agricole del governo tedesco e dell’Europa, riassume così il motivo per cui gli agricoltori tedeschi scendono in piazza a Berlino contro il trattato Ue-Mercosur, ovvero l’accordo commerciale sottoscritto lo scorso 28 giugno dopo 20 anni di negoziati tra Unione europea da un lato e Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay dall’altro. Proprio a questo trattato, come fatto precedentemente con il TTIP e il CETA, che gli agricoltori tedeschi si oppongono perché vedono un rischio per le proprie aziende. Wir haben agrarindustrie satt! è il nome della manifestazione, arrivata al decimo anniversario, degli agricoltori e dei cittadini che cercano un modello alternativo allo sfruttamento intensivo del terreno e all’uso deliberato di pesticidi. E che ora chiedono al governo di Angela Merkel di mettere il veto al trattato.

L’accordo Ue-Mercosur “si basa sulla continuazione dell’agricoltura industriale, che è stata a lungo considerata un fallimento e non è più adatta per il futuro: danneggerà i produttori di entrambi i continenti”, afferma Antonio Andrioli, studioso brasiliano, che spiega così il motivo per cui gli agricoltori tedeschi scendono in piazza. “In pratica – prosegue – si parla di importare carne ed etanolo più economici dall’America Latina, ovvero prodotti associati localmente al degrado ambientale e alle violazioni dei diritti umani”, sostiene Andrioli. A questo si aggiungono le problematiche ambientali e la differenza legislativa sull’utilizzo dei pesticidi come il Glifosato e il Paraquat. “In Germania il limite di Glifosato nelle acque è di 0,5 microgrammi, in Brasile di 500 microgrammi – continua lo studioso – in pratica si esportano in America Latina pesticidi che vengono utilizzati per prodotti che poi verranno reintrodotti in Europa grazie agli accordi commerciali”.

Il Brasile è, insieme agli Stati Uniti, il paese che utilizza il maggior numero di pesticidi al mondo. Più di 150 di questi non sono consentiti dall’attuale normativa comunitaria. Il rischio è quello di ritrovarsi sugli scaffali dei supermercati prodotti che non rispettano gli standard europei di sicurezza alimentare. “In Europa produciamo abbastanza carne per sfamarci, non si tratta di bisogni ma di importare prodotti a basso costo. Inoltre, importiamo etanolo prodotto dalla soia. Si disboscano le foreste per fare la soia”, afferma Saskia Richartz. In pratica è come se i governi da un lato si impegnassero per ridurre le emissioni e poi dall’altro lato delegassero all’America Latina il settore primario, importando cibo per esportare prodotti industriali, creando succursali dell’inquinamento. Un modello che secondo Richartz non solo danneggerebbe il pianeta ma fungerebbe da “dumping nei confronti degli agricoltori sia Europei che dell’area economica del Mercosur”.

Dello stesso parere dei manifestanti è il sottosegretario all’Ambiente del governo italiano, Giuseppe L’Abbate, in visita a Berlino per il forum sull’agricoltura. “Sul Mercosur ci siamo dichiarati contrari perché un trattato di libero scambio com’era impostato avrebbe portato nel nostro Paese carne proveniente da mercati di cui non conosciamo gli interventi sanitari”. Il trattato prevede la rimozione delle tariffe per i prodotti europei nei settori auto, componenti di automobili, macchinari, prodotti chimici, prodotti farmaceutici, abbigliamento, calzature e tessuti. Inoltre, indebolisce i controlli su prodotti, come la carne, provenienti da paesi in cui sono legali centinaia di pesticidi da noi proibiti e dove gli Ogm possono liberamente circolare.

Protezione del clima, protezione degli animali, combattere la mortalità degli insetti, a cui si aggiungono la fine dell’uso di pesticidi chimici sintetici entro il 2035 e l’aiuto agli agricoltori nella transizione verso un’agricoltura ecologica amica delle api: queste sono le richieste degli agricoltori al governo di Angela Merkel che ha creato una commissione apposita. Ma lo scetticismo tra i manifestanti rimane, proprio nel Paese in cui ha sede la più grande azienda chimica al mondo, la Bayer. “Il governo favorisce i grandi gruppi agrochimici e dell’agricoltura industriale – sostiene Reinhild Benning, dell’associazione GermanWatch – mettendo a rischio l’esistenza stessa degli agricoltori, della trasparenza e dell’alimentazione sana.”

L’articolo Trattato Ue-Mercosur, gli agricoltori tedeschi in piazza: “È in contrasto con le politiche per il clima siglate dalla stessa Europa” proviene da Il Fatto Quotidiano.

 – Leggi

Translate »