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Per conoscere cosa ha rappresentato Raffaella Carrà consiglio di vedere un film spagnolo

Se qualcuno volesse conoscere davvero che cosa ha rappresentato Raffaella Carrà nel mondo dello spettacolo non sarebbe necessario ripercorrere la sua originale carriera cinematografica o quella densissima e duratura in tv o quella di cantante pop di grandissimo successo. Sarebbe più significativo godersi un film spagnolo, un musical uscito l’anno scorso e fruibile su una nota piattaforma. Si intitola Ballo Ballo in omaggio a una delle più note canzoni di Raffaella. Ma l’omaggio non si ferma al titolo.

La storia è quella di una giovane ragazza madrilena, Maria, che mei primi anni Settanta lascia alla vigilia delle nozze il promesso sposo italiano e se ne torna in Spagna per realizzare il suo sogno: fare la ballerina in televisione. Riesce a inserirsi negli studi della TVE ma il suo modo di ballare prorompente e sexy entra in conflitto con le rigide regole della censura del governo franchista. Ovviamente la vitalità e la modernità di Maria e del suo ballo frantumeranno le assurde imposizioni censorie.

Non è certo il prevedibile sviluppo della storia a contare, quello che conta è che, come in ogni musical che si rispetti, le parti cantate e ballate non sono commento alla vicenda ma azione, avvenimento, snodo narrativo. E nel film le canzoni ballate dai protagonisti e dai vari personaggi sono esclusivamente le più celebri canzoni di Raffaella, da Fiesta a Rumore, da Tanti auguri a Com’è bello far l’amore… da Luca a A far l’amore comincia tu. Ecco, in questa scelta c’è tutta la grandezza, lo spessore mediatico della Carrà.

Il successo internazionale della musica italiana spesso evocato da alcuni cantanti, spesso esagerato, talvolta millantato, assume in questo caso una dimensione straordinaria. Le sue canzoni sono solo canzonette, come direbbe qualcuno, ma servono benissimo a raccontare una storia di lotta contro un regime oppressivo e oscurantista, di emancipazione femminile, di liberazione del corpo e dello spirito. Nessun altro cantante ha visto il suo repertorio assumere un ruolo così fondamentale. E’ accaduto agli Abba con i due film Mamma mia, ma la loro è solo una bella storia d’amore, quella raccontata con le canzoni di Raffaella investe la politica, la società, il costume.

Nell’ultima scena, la Carrà evocata, citata dal film solo attraverso le canzoni e il suo ballo, appare in carne e ossa con un abito rosso, in una sorta di cameo. Due personaggi secondari della storia scorrazzano felici su una Vespa per le strade di Roma, la vedono e la salutano con entusiasmo, lei risponde al saluto con la mano e volge lo sguardo in macchina. Mi pare il suo ultimo, bellissimo saluto a tutti noi.

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Huawei Band 4 Pro, ecco dove trovare il fitness tracker al miglior prezzo

Se siete interessati all’acquisto del vostro primo fitness tracker e cercate una soluzione completa ma economica, potreste rivolgervi allo Huawei Band 4 Pro, un dispositivo ragionevolmente completo ma economico, ancora più appetibile grazie ad alcune offerte sul Web.

Su Amazon ad esempio lo troviamo a 49,90 euro anziché 79,90 euro, grazie a uno sconto del 38%. Per chi preferisce acquistare altrove invece si trova a un prezzo di poco superiore su MediaWorld, dov’è proposto a 54,99 euro.

Dotato di un’estetica gradevole e minimale ha nel display AMOLED da 0,95 pollici di diagonale il suo principale punto di forza, essendo questo tipo di pannelli facilmente leggibili anche all’aperto e quindi particolarmente indicati per chi ama svolgere attività sportive. Le funzionalità del fitness tracker sono comunque assai complete. Troviamo infatti anzitutto il monitoraggio del battito cardiaco e quello del sonno, grazie ai dispositivi ottici professionali, ai chip di elaborazione e all’algoritmo AI.

Quattro sono invece i tipi di allenamento: corsa, ciclismo, rowing machine e nuoto (Band 4 Pro infatti è impermeabile fino a 50 metri di profondità). Il device è in grado di tenere traccia di tantissimi dati per ciascuna attività, come ad esempio battito cardiaco, distanze percorse, calorie bruciate e, per il nuoto, anche velocità, numero di bracciate, tipo di bracciate e SWOLF. Grazie inoltre all’algoritmo ideato da FIRSTBEAT, sarà anche possibile ricevere assistenza sportiva professionale basata sui dati del battito cardiaco, VO2max e tempi di recupero e effetti dell’allenamento.

Il dispositivo infine è dotato di GPS, con supporto alla funzione trova telefono e Bluetooth per la connessione allo smartphone e consente dunque di visualizzare anche notifiche, messaggi e chiamate e di controllare riproduzione musicale e funzioni fotografiche dello smartphone con un solo tocco.

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Sony SRS-XB12, altoparlante Bluetooth in offerta su Amazon con sconto del 42%

Se siete alla ricerca di un altoparlante Bluetooth economico, non potete farvi scappare l’offerta del giorno di Amazon. Lo speaker Sony SRS-kXB12 è disponibile a 34,99 euro anziché 60 euro grazie ad uno sconto del 42%. Una cifra che rende la proposta di Sony estremamente interessante. È acquistabile in diverse colorazioni: Blu, Grigio, Nero, Rosso, Verde e Viola.

Sony SRS-XB12 è apprezzato da molti per la sua resistenza, potenza e compattezza. Pesa solo 243 grammi e ha un’altezza di appena 92 mm. Numeri che lo rendono perfetto per essere traportato ovunque. Nonostante le dimensioni compatte, la qualità audio è di alto livello grazie a un particolare sistema che migliora la profondità dei bassi per un suono ottimizzato e piacevole.

La resistenza è uno dei grandi punti di forza. Potete utilizzare lo speaker in ogni situazione: dal mare alla montagna passando per la piscina. Sony SRS-XB12 resiste alla polvere ed è impermeabile. Può essere immerso in acqua fino a 1 metro di profondità. Non avrete più nessuna preoccupazione anche grazie a un’autonomia di ben 16 ore di utilizzo. Inoltre, potete utilizzare una cinghia rimovibile per appenderlo dove preferite.

È facile da configurare. L’accoppiamento con il vostro smartphone avviene in automatico. Se siete amanti dell’effetto stereo e desiderate un suono più potente, potete associare due Sony SRS-XB12 semplicemente premendo l’apposito pulsante.

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Le big tech sono troppo grandi per rispettare la legge. Almeno finché tolleriamo la situazione

Le tasse saranno anche “bellissime” (cit. Padoa Schioppa), perché hanno consentito alle nazioni di crescere, ma non c’è dubbio che nella storia siano state una delle maggiori fonti di ingiustizie, e probabilmente alla fine abbiano prodotto più dolori che piaceri. In particolare, quando a doverle pagare implacabilmente fino a privarsi del necessario sono solo quelli che lavorano e faticano per condurre alla fine una vita modesta. Magari mentre ai ricchi, a quanti già possiedono e guadagnano molto – ovviamente con tutti i crismi di legge, a testimonianza che nulla può essere più iniquo delle leggi – il Fisco chiede ben poco, certamente molto meno in proporzione a tutti gli altri.

Ora – in un periodo come il presente, in cui pare che i ceti medi non siano tenuti in grande considerazione dalla politica – pare che qualcosa si stia muovendo, ma cambierà qualcosa? I primi a darsi da fare sono stati gli australiani, intenzionati a far pagare a Google e Facebook l’utilizzo dei dati e delle informazioni disponibili in rete, cui le multinazionali accedono gratuitamente, salvo poi rivenderle a caro prezzo. Da seconda anche l’Unione Europea ha mosso i primi passi per arrivare a un sistema di imposizioni fiscali che escluda alcuni privilegi, al momento amorevolmente riservati alle grosse multinazionali e ai paradisi fiscali. Ancora non è stata presa nessuna decisione ultimativa, ma alcune buone intenzioni sono sul tavolo.

Infine, anche gli Stati Uniti con il nuovo presidente Biden, sembrano volersi avviare sulla strada di una maggiore equità fiscale, mettendo fine all’assurda situazione per cui le grandi multinazionali, le banche, le finanziarie, le compagnie del Websoft (Microsoft, Alphabet-Google, Amazon) grazie a sedi fiscali di comodo, riescono a strappare aliquote fiscali ridicole e profitti inimmaginabili per qualsiasi altro mortale.

Resta in ogni caso sconsolante vedere come nell’epoca di Internet, in cui l’analfabetismo è stato debellato da diversi decenni, in cui le informazioni in apparenza circolano liberamente, in anni in cui la maggior parte dei cittadini sia convinta di vivere in regimi democratici, i popoli continuino a tollerare, senza un minimo di rivolta, di vivere secondo la legge economica di Superciuk, in cui regolarmente e con l’avallo delle leggi si ruba ai poveri per dare ai ricchi. Eppure, è così.

Mentre un lavoratore italiano con un reddito appena superiore ai 29mila euro lordi deve rinunciare al 38% del suo guadagno, le grandi imprese del Websoft hanno fatturati da capogiro, accumulano liquidità da far invidia a qualsiasi banca (500 miliardi nel 2018), capitalizzano più del doppio del Pil italiano, ma pagano tasse nel complesso non oltre il 14% dei guadagni (ovviamente stimati, ma non dichiarati).

In Italia, ad esempio, la misera cifra sborsata all’Erario da queste compagnie supera di poco i 70 milioni, a fronte di un fatturato non inferiore ai 2,5 miliardi (gli studi di settore valgono solo per i comuni mortali) e se capita che per sbaglio un pm accerti l’esistenza di qualche forma di evasione, allora ci pensa il Fisco, solerte nel trovare accordi al ribasso con i grandi evasori, a premiare quelle frodi che la legge dovrebbe punire (es. Apple nel 2015, a fronte di un’evasione accertata di 880 milioni, chiuse con un accordo da 380). Come si dice, anche lo Stato italiano: forte con i deboli, ma debolissimo con i forti.

Ora, come abbiamo detto, pare che qualcosa si stia muovendo, ma noi non siamo particolarmente ottimisti. Certe imprese non sono diventate, come vorrebbero farci credere, too big to fail, sistemiche alla funzionalità del mercato: sono semplicemente diventate troppo grandi per essere ricondotte all’interno di una legalità vincolante per tutti. Aziende come Amazon, Apple, Microsoft, Alphabet, molte società cinesi e molte banche d’affari sono diventate – con la colpevole copertura di molti governi e il tacito silenzio degli elettori – soggetti troppo voluminosi per poter essere obbligati al rispetto delle leggi ordinarie.

Essi hanno una forza di interdizione, un peso economico e politico superiore allo stesso già malmesso rule of law. Come nel XVII secolo durante la Guerra dei Trent’anni, signorotti alla von Wallenstein potevano disporre di eserciti personali con più di 50mila soldati in grado di decidere le sorti di una guerra combattendo per questo o quello stato, nella moderna nuova economia digitale molte imprese sono cresciute a dismisura, approfittando di vuoti legislativi consapevoli e spesso colpevoli. E ora sono in grado di fare il bello e il cattivo tempo con il mercato e con le leggi, lasciando che queste debbano essere osservate solo dai pesci piccoli.

È chiaro che i timidi provvedimenti del presidente Biden, come le leggi europee o australiane, ben poco potranno contro lo strapotere di Apple, Google, Morgan Stanley, enormi conglomerati cinesi sostenuti dallo stato, se non ci sarà una presa di consapevolezza da parte dei cittadini che i profitti di queste, oltre un certo limite, sono un danno per la convivenza e il mercato, pesanti limiti alla crescita naturale per lavoratori, famiglie, piccoli imprenditori, per quel ceto medio che rappresenta il 75% della popolazione dei paesi sviluppati e che in teoria dovrebbe assicurare lo sviluppo e la democrazia.

Negli anni ’20 i Mucrackers, giornalisti chiamati spregiativamente così perché denunciavano le pessime condizioni dei lavoratori americani, in realtà salvarono l’America e contribuirono alla messa in pratica di leggi e regolamenti che consentirono lo straordinario sviluppo della ricchezza negli Usa, affossando le aspirazioni monopolistiche dei Robber Barons. Il bivio, prima che i mostri economici e dittatoriali prefigurati dall’orwelliano 1984 diventino una realtà irreversibile, è ormai prossimo: sarebbe meglio rimboccarsi le mani e far sentire la nostra voce.

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Customer experience, in un settore in rapido cambiamento è questo a fare la differenza

Centri silenziosi, vie della moda deserte, centri commerciali vuoti, negozi che abbassano le saracinesche. Uno scenario che fino a qualche anno fa sembrava impossibile immaginarsi ma che oggi, dopo il knock out delle chiusure forzate per effetto della pandemia, è realtà! La causa, però non è solo il Covid! Il virus ha solo avuto l’effetto di accelerare un processo di consapevolezza.

Il settore della vendita al dettaglio è totalmente cambiato e, come in ogni altro settore, chi non si adatta è destinato al fallimento. Perché in un mondo in cui uno shop viene scelto basandosi su un giudizio osservato sino all’ultima virgola vi è la necessità di rendersi conto che ciò che differenzia un rivenditore da un altro è la customer experience, cioè l’esperienza complessiva che i clienti vivono durante tutta la loro relazione con l’azienda.

I vecchi concetti di marketing, assorbiti solo teoricamente dagli imprenditori, ribadiscono che la strada da percorrere è quella di essere la fonte per risolvere il problema dei clienti o di regalare un’emozione piacevole o ancora di aver rettificato una ingiustizia. Ma dalla teoria alla pratica c’è di mezzo l’organizzazione della cassetta degli attrezzi dell’imprenditore che presenta una enorme lacuna: non si raccolgono ed elaborano i dati dei clienti (anche potenziali).

I dati dei clienti, infatti, sono l’elemento essenziale per migliorare la customer experience. Non solo dati anagrafici o relativi agli acquisti già effettuati ma è necessario conoscere anche le connessioni emotive (ad esempio quella relativa alla coda per entrare nel negozio), le risposte ai desideri più reconditi (ad esempio il processo di restituzione dell’oggetto acquistato), per la vendita al dettaglio del futuro.

Immaginiamo un concessionario automobilistico che vende auto personalizzabili in tutto. Le infinite opzioni del colore, della finitura, delle motorizzazioni, dei servizi integrati, ecc. portano il consumatore a pensare e ripensare sin quando sceglierà l’opzione più semplice: non comprare affatto.

Ancora una volta chi ha, invece, la possibilità di utilizzare i dati potrà restringere il campo delle opzioni per offrire un prodotto mirato al singolo e convincere i consumatori della necessità di dover vivere quel tipo di esperienza e prima ancora di educarli sui benefici di quella esperienza. E poi, dopo l’acquisto, capire se quel tipo di esperienza lo ha soddisfatto!

Ciò che il consumatore desidera è che tu anticipi le sue esigenze in un modo che non può articolare da solo. Pertanto, il rivenditore di domani potrebbe avere meno articoli e maggiore attenzione al cliente. E questo potrebbe essere un vantaggio, perché meno prodotti da supportare significa un budget inferiore.

In sintesi la customer experience inizia molto prima che il cliente metta piede all’interno del negozio e finisce molto dopo. Non dimentichiamo che, negli ultimi 10 anni, ci sono stati tre fondamentali cambiamenti di contesto che spesso gli imprenditori fanno fatica a considerare.

Innanzitutto bisogna fare i conti con il forte incremento della comunicazione. Siti di recensioni come TrustPilot e TripAdvisor rendono certo che ogni qualvolta qualcuno parla di una brutta esperienze, le persone si allontanano sempre più anche da ciò che gli viene consigliato da amici e parenti.

In secondo luogo occorre tener presente l’aumento del numero di canali. L’immediatezza del mobile può fare la fortuna o distruggere, ad esempio, un film nel momento in cui viene proiettato per la prima volta, semplicemente attraverso i commenti scritti persino mentre si è seduti in sala per la visione;

Infine è sicuramente aumentata la percezione delle aspettative. Siti come Amazon dimostrano come dovrebbe essere realizzato un servizio al consumatore ed i clienti sono meno disposti che mai a sopportare un servizio scadente. Un dato, quindi, è certo: i consumatori di domani non continueranno a fare shopping negli stessi rivenditori d’oggi. Ma gli imprenditori, soprattutto i piccoli, non vogliono accettarlo.

Nei processi di riorganizzazione di imprese del settore della grande distribuzione che mi sono trovato ad interfacciare in questi ultimi anni ho riscontrato, quasi sistematicamente, che i rivenditori di oggi non sanno chi sono i loro clienti o, quando li riconoscono, sanno solo una piccola parte di loro che è ancora peggio visto che, in tal modo, non si riesce a capire quali sono i loro desideri reali, di avere, insomma, il quadro completo.

In conclusione, ciò che il cliente si aspetta e desidera sta cambiando rapidamente. I migliori rivenditori di domani saranno, almeno un po’, come i migliori rivenditori del lontano passato. Venderanno un chiaro vantaggio, in un modo divertente, che risolve una situazione riconosciuta dal cliente. E lo faranno ovunque il cliente desideri fare acquisti, sia che si tratti di un centro commerciale che di uno store virtuale. Il domani è qui, è tempo di iniziare però.

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Big Tech, dopo 20 anni l’Antitrust europeo aggiorna le sue regole. Multe più severe e possibili scorpori, ma ormai è tardi

Meglio tardi che mai. Dopo 20 anni l’Unione europea aggiorna la sua normativa antitrust per i colossi del web. Presto per brindare, il “digital act” è stato illustrato oggi dai commissari Ue alla concorrenza Margharete Vestager e per il mercato interno Paul Barnier, ma dovrà ora essere votato dal parlamento. Al momento non è stata definita una tempistica per l’approvazione. Ci sono insomma praterie per l’intervento delle lobbies. Giusto per avere un’idea, tra il 2014 e il 2016 la sola Google ha avuto ad esempio 120 incontri con esponenti dell’unione europea per patrocinare le sue ragioni. Per ora il nuovo regolamento prevede maggiori poteri di indagine e soprattutto un inasprimento delle sanzioni. Le società che non rispettano le regole sulla concorrenza potranno subire multe fino al 10% del loro fatturato globale. Per un gruppo come Amazon significherebbe ad esempio dover pagare multe fino a circa 28 miliardi di euro.

Ci saranno poi multe fino al 6% per le società che non adempiono agli obblighi di vigilanza. Spunta anche la possibilità di scorporare “con la forza” alcune unità di business. La “tagliola” scatta in caso di ripetute violazioni delle regole nel giro di 5 anni. Ricordiamo comunque che in base alle leggi attuali i monopoli non vengono perseguiti in quanto tali, ma solamente se vengono raggiunti attraverso comportamenti concorrenziali scorretti. Lo ha ribadito oggi il commissario Barnier: “noi non diremo mai che una società è troppo grossa, ma più aumentano le dimensioni più aumentano le regole”. Dopo aver autorizzato di tutto e di più, le autorità Antitrust di Stati Uniti ed Unione Europea si sono forse accorte che la situazione rischia ormai di finire fuori da ogni possibile controllo. “Too big to regolate”, vengono ormai etichettate società come Facebook, Google etc, proprio per l’immensa concentrazione di potere che ormai costituiscono.

I buoi sono già fuggiti da un pezzo – Nell’ultimo decennio i big della tecnologia hanno concluso qualcosa come 400 acquisizioni. Google, tra le altre cose, ha comprato i suoi due principali concorrenti di pubblicità on line, vale a dire AdMob e Doubleclick, ha acquisito YouTube, e la concorrente nel settore delle mappe on line Waze. Facebook ha comprato Instagram (le autorità antiturst diedero via libera perché, a loro dire, non si trattava di un social media e le raccolte di foto sono scarsamente monetizzabili) e poi Whatsapp. Oggi Google e Facebook insieme controllano l’84% della pubblicità on line. Nessun rilievo neanche per le acquisizioni di Amazon: Zappos, Whole Foodd, Soap.com. I colossi presidiano costantemente quella che viene definita la “kill zone”. Appena un concorrente potenzialmente minaccioso si affaccia all’orizzonte viene acquisito o, in qualche modo, spinto fuori dal mercato.

Si muovono anche Usa e Cina – In generale non è un buon momento per i colossi del web. O forse è vero il contrario. Il momento è così buono che anche le autorità più sonnacchiose si sono svegliate. La pandemia, con il boom del ricorso a servizi e acquisti on line, come ormai è noto, è stato un balsamo per i conti e il potere dei protagonisti del web. Sta di fatto che qualcosa si è messo in moto. Negli Stati Uniti, in Europa e anche in Cina. Oggi la Federal Trade Commission (Ftc), agenzia Usa a tutela dei consumatori e della concorrenza, ha chiesto a nove colossi tecnologici di fornire informazioni su come raccolgono e usano i dati degli utenti. La richiesta, fa sapere l’autorità in una nota, è stata inviata ad Amazon, Facebook, WhatsApp, Twitter e YouTube, e ancora a Snapchat, TikTok, Reddit e Discord. Le società hanno 45 giorni di tempo per rispondere. Nel dettaglio la Ftc vuole sapere come queste realtà raccolgono, utilizzano, tracciano e ricavano informazioni personali e demografiche; come determinano quali pubblicità mostrare agli utenti; se applicano algoritmi o analisi dei dati alle informazioni personali; in che modo misurano, promuovono e ricercano il coinvolgimento degli utenti; e come le loro pratiche influenzano bambini e adolescenti. Un recente rapporto del Congresso Usa aveva evidenziato, oltre a numerosi abusi concorrenziali, un uso piuttosto spregiudicato dei dati degli utenti. In particolare un ex dipendente di Amazon aveva affermato: “è come un negozio di caramelle, ognuno prende quello che vuole”.

Cinque giorni fa la stessa Federal Trade Commission (Ftc) e una coalizione di 48 Stati Usa hanno deciso di fare causa a Facebook, accusando il social network di pratiche anticoncorrenziali. Nel mirino dell’offensiva legale guidata dalla procuratrice generale di New York, Letitia James, che ha lanciato due cause, ci sono anche l’acquisizione di Instagram e di WhatsApp, per cui si arriva a ipotizzare lo scorporo. La risposta della società non sembra effettivamente del tutto campata in aria. “Revisionisti, anni fa furono loro ad autorizzare queste acquisizioni”, ha affermato il gruppo guidato da Mark Zukerberg.

Intanto le autorità cinesi sono alle prese con un vero e proprio cambio di paradigma. Da un sostanziale laissez faire applicato all’internet domestico ad una vigilanza puntuale. Le prime avvisaglie le hanno già sperimentati grandi nomi del web cinese come Alibaba e Tencent (entrambe con sede fiscale alle isole Cayman), multate e bloccate nella loro campagna di espansione. Anche Pechino adduce tra le motivazioni della sua discesa in campo l’eccessiva concentrazione e potere di pochi nomi e dubbi sull’utilizzo dei dati degli utenti. Le autorità hanno chiarito che la legislazione anti monopolio si applica anche alle società internet, cosa che sinora non era sinora mai stata esplicitata. Naturalmente per un governo come quello cinese è particolarmente indigesta l’idea di avere a che fare con soggetti che sfuggono a direttive e controlli.

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Huawei MateBook X Pro, notebook 13,9 pollici potente e leggero con 270 euro di sconto su Amazon

Huawei MateBook X Pro è un portatile da 13,9 pollici caratterizzato dall’ottimo mix tra dimensioni e potenza di calcolo. All’interno di un elegante chassis metallico infatti è racchiusa una piattaforma hardware di discreta potenza, sufficiente a consentine l’utilizzo anche come postazione domestica per lo svolgimento di task più impegnativi, come ad esempio montaggio video, ovviamente però non a livello professionale. Su Amazon è più conveniente che mai, grazie a uno sconto di ben 400 euro, che portano il prezzo dagli originali 1999 a 1729 euro, un prezzo certamente non ancora adatto a tutte le tasche ma che può rappresentare un investimento sensato per chi ha esigenze specifiche.

L’elegante corpo metallico con taglio a diamante e rifinitura sabbiata ha uno spessore di soli 14,6 mm e un peso di 1,33 Kg ed è quindi facile da trasportare ovunque, sia pe svago che per lavoro. Il fontale è dominato dallo schermo (che occupa il 91% grazie alle cornici sottilissime), un pannello con diagonale di 13.9 pollici, rapporto 3:2, risoluzione di 3000 x 2000 pixel e copertura del 100% della gamma cromatica sRGB.

La dotazione prevede invece un processore Intel Core i7-8565U, scheda grafica dedicata Nvidia GeForce MX250, 8 GB di RAM e unità a stato solido da 512 GB. Moduli WiFi 802.11ac e Bluetooth 5.0, una porta USB-A, due USB-C di cui una con supporto alla tecnologia Thunderbolt 3.0, jack audio da 3,5 mm e batteria da 57,4 Wh, in grado di garantire fino a 12 ore di navigazione Web, 13 ore di video playback in Full HD o 14 ore di lavoro normale, ne completano la dotazione.

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Microsoft Surface Pro 7, tablet professionale con 200 euro di sconto su Amazon

Microsoft Surface Pro 7 è un dispositivo che negli ingombri di un tablet racchiude la potenza di un notebook di fascia alta, unendo così trasportabilità e versatilità. Al suo interno infatti è integrata un’ottima piattaforma hardware, inoltre all’occorrenza l’utente potrà anche decidere di acquistare separatamente la custodia con tastiera integrata e il pennino digitale, espandendone ulteriormente le capacità in ottica di una produttività ancor più elevata. Certo, tanta flessibilità d’uso ha un prezzo elevato, ma oggi su Amazon l’allestimento base con processore Intel Core i5, 8 GB di RAM e SSD da 128 GB è disponibile in offerta con uno sconto di 204,01 euro, che abbassa il prezzo sotto la soglia psicologica dei 1000 euro, dagli originali 1069 euro a 864,99 euro.

Il Surface Pro 7 è un tablet con elegante chassis in lega di magnesio, leggero e compatto, ed un display PixelSense da 12,3 pollici di diagonale con risoluzione di 2736 x 1824 pixel, che è uno dei migliori del mercato per qualità della gamma cromatica riprodotta e risoluzione. La versione in offerta oggi prevede un processore Intel Core i5, affiancato da 8 GB di RAM e un’unità a stato solido da 128 GB dedicata all’archiviazione dei dati. L’autonomia dovrebbe attestarsi attorno alle 10 ore e mezza.

La dotazione è poi completata da moduli WiFi e Bluetooth e da un parco porte completo, che comprende due porte USB, di cui una USB-C, un connettore jack da 3.5 mm per cuffie, una Mini DisplayPort, lettore di memorie microSDXC e due porte proprietarie per l’espandibilità e il collegamento della TypeCover.

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Apple Watch Series 4, smartwatch in offerta su Amazon con sconto del 21%

Su Amazon oggi è possibile acquistare uno smartwatch Apple Watch Series 4 (la penultima generazione, introdotta alla fine del 2018) a 639 euro anziché 809, un risparmio di ben 170 euro, reso possibile dallo sconto del 21%. Si tratta di un’occasione da non perdere perché la quarta serie di questo dispositivo è davvero un ottimo prodotto, assai simile all’ultima per caratteristiche e molto migliore rispetto alla precedente serie 3, di cui rappresenta una completa rielaborazione.

Il modello in offerta è quello con cassa da 40 mm in acciaio color nero siderale, abbinato al cinturino in maglia milanese, ma ovviamente ci sono anche altri modelli disponibili, con un’estetica diversa. Per quanto riguarda le caratteristiche tecniche, il Watch Series 4 è stato il primo col nuovo display, il 30% più ampio rispetto a quello del Series 3 e identico a quello del modello più recente.

La principale caratteristica dello smartwatch però è quella di integrare funzioni telefoniche complete. Il modello in promozione infatti integra un modulo 4G LTE e una eSIM e, grazie anche all’integrazione della rubrica, permette quindi di effettuare e ricevere chiamate ovunque ci si trovi, senza necessità di avere lo smartphone con sé. Per poter utilizzare queste funzionalità avanzate è comunque necessario sottoscrivere un abbonamento ad hoc con un provider.

Inoltre Apple Watch Series 4 consente di installare app dall’Apple Store, inviare e ricevere SMS e messaggi, integra un cardiofrequenzimetro avanzato, in grado di rilevare anche l’insorgere di alcuni disturbi cardiaci gravi e ovviamente offre anche tutte le tipiche funzioni di una fitness band, come riconoscimento automatico del tipo di allenamento, personal trainer, e fitness tracker per avere sempre sott’occhio i progressi fatti e mantenersi in perfetta forma.

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LG Gram 15Z990, notebook ultraleggero e compatto in offerta su Amazon con sconto di 500 euro

Un portatile che sia leggero e compatto ma al tempo stesso dotato di una buona piattaforma hardware è la soluzione ideale, non soltanto per essere produttivi anche in mobilità, ma per realizzare una seconda postazione domestica “mobile” che però non imponga troppi compromessi. LG Gram 15Z990, il notebook ultraleggero e compatto del produttore sudcoreano, appresenta tutto questo e oggi è più appetibile che mai, grazie a uno sconto di ben 500 euro sul prezzo originario. Su Amazon infatti il prezzo è stato tagliato del 33%, portandolo da 1499 euro a 999 euro.

LG Gram 15Z990 misura 357.6 x 228.4 x 14.5-16.8 mm e pesa appena 1099 grammi, poco più di un chilo. Nonostante questo, la scocca, realizzata in lega di alluminio e carbonio, è particolarmente robusta e resistente, tanto da essere certificata contro urti e cadute secondo il rigido standard militare MIL-STD810G.

Il display da 15,6 pollici è racchiuso tra cornici assai sottili, che hanno consentito quindi di ottenere un’ampia superficie di visualizzazione in un corpo più compatto. Lo schermo utilizza un pannello LCD di tipo IPS con risoluzione di 1920 x 1080 pixel e copertura della gamma colore sRGB superiore al 96%, caratteristica che lo rende utilizzabile anche da parte di professionisti dell’immagine e dell’editing.

La piattaforma hardware, pur senza pretendere di essere adatta al gaming, al video editing o allo svolgimento di altri task particolarmente pesanti come il rendering 3D, garantisce ottime prestazioni. Troviamo infatti un processore Intel Core i5-8265U, affiancato da 8 GB di RAM e da un’unità a stato solido da 512 GB, che unisce prestazioni e una discreta capienza. La dotazione è poi completata da tastiera retroilluminata, 2 porte USB 3.0, pota USB-C, lettore di memorie microSD, uscita video HDMI, jack audio da 3,5 mm, modulo WiFi 802.11ac e batteria da 72 Wh che dovrebbe garantire oltre 20 ore di autonomia.

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