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Mondadori, ok dell’Antitrust all’acquisto di De Agostini scuola. Il gruppo di Segrate sale al 32% del mercato dell’editoria scolastica

La famiglia Berlusconi sistema un nuovo tassello nell’operazione di riassetto di Mondadori. E festeggia il sorpasso di Zanichelli-Loescher-Atlas conquistando il primato nell‘editoria scolastica italiana. Il gruppo editoriale di Segrate ha infatti appena ricevuto il via libera dall’Antitrust per rilevare la diretta concorrente De Agostini scuola. L’ok della vigilanza presieduta da Roberto Rustichelli consacra definitivamente Mondadori come numero uno italiano nel settore. Nonostante le “criticità” rilevate dall’Antitrust. Ma con una serie di misure correttive per salvaguardare la concorrenzialità del mercato. Limitate però solo al prossimo triennio. “Questo investimento, il più importante compiuto negli ultimi 15 anni, ci consentirà di iniziare un nuovo capitolo nel percorso di crescita del nostro gruppo e di conseguire una posizione di leadership nel mercato dell’editoria scolastica”, ha spiegato l’amministratore delegato Antonio Porro. Ne ha preso atto il mercato che ha premiato il titolo a Piazza Affari (+3,37 per cento con il titolo sui massimi degli ultimi due anni). E non potrebbe essere diversamente visto che, secondo le stime di Equita, Mondadori “salirà al 32% di quota di mercato dell’editoria scolastica e le sinergie stimate sono 4/5 milioni a regime nel 2023”.

Come spiega l’Antitrust nel suo bollettino, “l’operazione di concentrazione tra Mondadori e De Agostini Scuola richiede una valutazione particolarmente attenta, giacché i suoi effetti sono suscettibili di deteriorare ulteriormente le dinamiche dell’interazione tra i diversi operatori del settore con effetti restrittivi per la concorrenza tra editori, a danno dei fruitori dei libri scolastici”. Si crea “una posizione dominante in capo a Mondadori nel mercato dell’editoria di libri per la scuola secondaria, tale da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza in tale mercato”. Ma la vigilanza “ritiene che le misure correttive proposte da Mondadori risultino idonee a rispondere alle criticità concorrenziali”. Di qui l’ok all’operazione a patto che per tre anni a partire dal 2022 vengano effettuati investimenti in De Agostini Scuola non inferiori a quelli realizzati nel triennio 2018-2020. Inoltre fino al 31 dicembre 2024 De Agostini Scuola non potrà essere integrata nella divisione Mondadori che si occupa dello stesso business e Segrate non potrà effettuare sovrapposizioni delle reti delle case editrici monitorando la situazione attraverso un soggetto terzo indipendente. Dal provvedimento della vigilanza, non è chiaro però cosa potrebbe accadere dopo tre anni per cambiare le carte in tavola evitando la temuta concentrazione.

Fatto sta che mentre Silvio Berlusconi tenta la scalata al Colle, prosegue a pieno ritmo la riorganizzazione dell’impero di famiglia. Dopo aver tamponato il problema dell’ingombrante socio francese in Mediaset, la famiglia si prepara ora ad incassare il dividendo che Mondadori ha promesso tempo fa agli investitori. “Il gruppo persegue in maniera convinta ed attiva eventuali opportunità di acquisizione che dovessero presentarsi così come creare le condizioni per il ritorno, a partire dal 2022 a valere sul risultato netto dell’esercizio 2021, ad una politica di remunerazione degli azionisti” si legge nel piano industriale del gruppo. Operazioni che hanno consentito alla società di assumere un posizionamento dominante nei libri e nell’editoria scolastica.

Il riposizionamento di Mondadori viene infatti da lontano. E’ iniziato nel 2013 con la discussa acquisizione di Rcs libri che ha portato a Segrate le attività Rizzoli. Discussa perché è stata la maggiore concentrazione editoriale in Europa con quasi il 40% del mercato ed ha rappresentato una evidente anomalia rispetto alla concorrenza straniera. Sotto il profilo della redditività aziendale, per Mondadori si è trattato di un’operazione decisamente di successo: “Avviato nel 2013, il cambiamento intrapreso ci ha portati in tre anni a raddoppiare gli utili grazie all’attento lavoro di ottimizzazione di costi e struttura e alla focalizzazione sui core business, realizzata anche attraverso alcune operazioni straordinarie; accanto al significativo miglioramento del risultato economico, è aumentata anche la nostra capacità di generare risorse finanziarie, da investire nello sviluppo dell’impresa”, come ha chiarito Mondadori il 31 maggio scorso. E il 2021 sarà l’anno del “consolidamento della propria leadership nell’area libri, sia nel segmento dell’editoria scolastica che Trade”.

Ed in effetti nel corso degli anni sono state cedute le attività non in linea con il core business come gli immobili (dalla sede romana di via Sicilia ad altri asset minori), sei giornali italiani fra cui il settimanale Panorama, venduti a La Verità srl. E poi anche le Radio con il passaggio a Mediaset di Monradio che controlla Radio 101. Risultato: il gruppo di Segrate ha archiviato il primo semestre del 2021 a giugno con 320 milioni di ricavi, in crescita del 31% rispetto ad un anno fa. L’utile è schizzato del 29,4% a 4,4 milioni contro un rosso da 25 milioni registrato nello stesso periodo 2020. E la posizione finanziaria netta, pur restando negativa, è sensibilmente migliorata passando da 219 milioni di giugno 2020 a 155 dello stesso periodo 2021. C’è da scommettere che anche De Agostini contribuirà ai risultati positivi chiudendo il cerchio sulla riorganizzazione aziendale del colosso editoriale di Segrate. Con Mondadori che, come promesso, staccherà una congrua cedola per i suoi azionisti.

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Autostrade, nuova multa da 5 milioni di euro dell’Antitrust: “Non ha ridotto i pedaggi nei tratti con problemi nonostante la diffida”

L’Autorità Antitrust ha avviato procedimento di inottemperanza nei confronti di Autostrade per l’Italia in quanto “la società concessionaria a marzo ha ricevuto una sanzione di 5 milioni e non ha ancora ridotto il costo del pedaggio nelle tratte con notevoli problemi di viabilità”. Lo annuncia l’Autorità in una nota. La mancata riduzione dei pedaggi riguarda le tratte sulla A/16 Napoli/Canosa, A/14 Bologna/Taranto, A/26 Genova Voltri-Gravellona Toce e, per le parti di sua competenza, A/7 Milano-Serravalle-Genova, A/10 Genova-Savona-Ventimiglia e A/12 Genova-Rosignano.

In particolare, spiega l’Autorità, il procedimento è stato aperto per inottemperanza alla diffida che imponeva alla società di cessare la pratica scorretta accertata nel mese di marzo 2021 ” atteso che ASPI non ha ridotto il costo del pedaggio e/o non ha adottato alcuna procedura per riconoscere agevolazioni tariffarie e rimborsi per le tratte autostradali in cui si verificano rilevanti criticità nella viabilità a causa di lavori straordinari per la messa in sicurezza delle infrastrutture che risentono di gravi carenze nella gestione e nella manutenzione”. Al termine dell’istruttoria, l’Autorità aveva sanzionato la concessionaria con il massimo edittale, pari a 5 milioni di euro, per la mancata riduzione del pedaggio sulle tratte interessate in violazione degli articoli 20, 22, 24 e 25 del Codice del Consumo. “In queste tratte – sottolinea l’Autorità, si erano registrate importanti riduzioni delle corsie di marcia e/o specifiche limitazioni della velocità massima consentita, con conseguente notevole disagio non solo per i consumatori ma anche per gli autotrasportatori, in termini di code, rallentamenti e significativo aumento dei tempi di percorrenza”.

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“Ryanair non ha rimborsato il costo dei biglietti per i voli cancellati”: 4,2 milioni di euro di multa dall’Antitrust

Sanzionata per non avere rimborsato ai consumatori il costo dei biglietti per i voli cancellati dopo il 3 giugno 2020, una volta venute meno le limitazioni agli spostamenti legate all’emergenza per Covid-19. L’Antitrust ha così multato Ryanair, che dovrà pagare 4,2 milioni di euro per pratiche commerciali scorrette. Nei giorni scorsi l’Autorità garante per la concorrenza per gli stessi motivi aveva sanzionato anche easyJet per 2,8 milioni di euro e Volotea per 1,4 milioni di euro.

Secondo l’Autorità, le tre compagnie hanno tenuto una condotta gravemente scorretta e non rispondente al canone di diligenza professionale quando – terminate le limitazioni agli spostamenti – hanno proceduto a numerose cancellazioni di voli programmati e offerti in vendita utilizzando sempre la motivazione dell’emergenza sanitaria e continuando a rilasciare voucher senza invece procedere al rimborso del prezzo pagato per i biglietti annullati.

Inoltre, sono state fornite informazioni ingannevoli e omissive ai consumatori sui loro diritti ed è stato ostacolato e ritardato il riconoscimento del rimborso monetario, attraverso modalità e procedure per indurre – e in alcuni casi anche costringere – il consumatore a scegliere e/o ad accettare il voucher invece del rimborso.

Per alcune compagnie sono state accertate altre condotte scorrette quali il mancato riconoscimento di un ristoro nel caso di annullamento del viaggio per la nuova situazione pandemica oppure l’apposizione di ostacoli alla fruizione dei voucher già emessi: ad esempio, costringendo a utilizzare un numero telefonico a pagamento per poter utilizzare i voucher, non effettuando il rimborso monetario alla scadenza degli stessi o ancora non prevedendo la durata di 18 mesi come stabilito dalla normativa emergenziale.

Infine, per quanto riguarda Ryanair, è stata considerata ingannevole anche la campagna pubblicitaria diffusa attraverso i principali mezzi di informazione – sempre a partire da giugno – e incentrata sulla possibilità di cambiare il volo gratis (attraverso il claim “Nessuna penale per il cambio” o similari) laddove, invece, la società applicava per il nuovo volo scelto dal consumatore tariffe più alte di quelle che venivano contestualmente praticate sul proprio sistema di prenotazione e prevedeva comunque la penale se il cambio volo avveniva nei 7 giorni precedenti la partenza. Oltre al pagamento di sanzioni per complessivi 8,4 milioni di euro, Ryanair, easyJet e Volotea dovranno presentare le misure per ottemperare al provvedimento dell’Autorità.

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Bancarelle, il parere dell’Antitrust alla sindaca Raggi: “Disapplicare la norma nazionale che ha prorogato le concessioni in scadenza”

“Disapplicare le norme nazionali per contrarietà con la disciplina e i principi di diritto europeo a presidio della concorrenza”. È un invito in piena regola alla disobbedienza amministrativa quello che il presidente dell’Antitrust, Roberto Rustichelli, ha messo nero su bianco in un parere consegnato nelle mani della sindaca di Roma, Virginia Raggi. E che rischia di avere effetti su tutto il territorio nazionale. In sostanza, il numero uno dell’Agcm (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), nella sua missiva al Campidoglio, si è schierato contro il dpcm del 25 novembre 2020, firmato dall’ex premier Giuseppe Conte, che ha dato il via libera alla proroga fino al 2032 delle licenze in scadenza alla fine del 2020, relative in particolare al commercio ambulante e alle concessioni balneari. Il decreto del Governo Conte, emanato in regime di deroga vista l’emergenza Covid, andava sostanzialmente in contrasto con la direttiva dell’Unione europea 2006/123, nota come ‘Bolkestein’, da anni ormai contestata da tutte le categorie abituate a gestire quasi a vita questo tipo di concessioni. Ma per il capo dell’Authority, il decreto di Conte è una “violazione delle disposizioni costituzionali”.

Scrive Rustichelli: “L’Autorità ritiene che le modifiche apportate al D. Lgs. n. 59/2010, le norme del decreto rilancio e le conseguenti determinazioni ministeriali e regionali sopra citate si pongano in violazione delle disposizioni costituzionali ed euro unitarie, poste a presidio della libertà di iniziativa economica e a tutela della concorrenza, in quanto idonee a restringere indebitamente l’accesso e l’esercizio di un’attività’ economica”. Quindi l’invito alla sindaca Raggi: “L’Autorità ritiene che codesto Comune debba ricorrere allo strumento della disapplicazione delle norme nazionali per contrarietà con la disciplina e i principi di diritto europeo a presidio della concorrenza”, adottando “una disciplina delle procedure di assegnazione delle concessioni di posteggio coerente con i menzionati principi in materia di durata, criteri di selezione e assenza di rinnovi automatici”.

Il tema è rilevante perché riguarda migliaia di licenze simili in tutta Italia, fra cui quelle degli stabilimenti balneari. Il consigliere comunale e deputato di Leu, Stefano Fassina, ha allertato il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, il quale ha annunciato una “interlocuzione con l’Antitrust” per capire “quali iniziative adottare per risolvere la situazione”. Secondo il Mise, l’applicazione della normativa “deve essere uniforme in tutto il territorio nazionale”.

La Giunta capitolina a trazione M5s, che da tempo aveva intrapreso iniziative volte alla disapplicazione dei rinnovi automatici, nei giorni scorsi ha raccolto dunque il parere dell’Agcm, violando di fatto il contenuto del Dpcm di Conte. Scontrandosi non solo con i commercianti infuriati, ma anche con i vertici del Municipio I, quindi il territorio del centro storico della Capitale, dove insistono le postazioni più “preziose”. Il 9 marzo, l’assessore capitolino al Commercio, Andrea Coia, ha scritto una dura missiva al direttore apicale del Municipio I, Carlo Maria L’Occaso, e al comandante del I Gruppo della Polizia Locale, Maurizio Maggi. “Nonostante le ripetute richieste non è pervenuta la documentazione sul procedimento relativo alle istanze presentate dalle concessioni anomale presenti”, scrive Coia, che continua: “Le stesse a tutt’oggi stanno esercitando con titoli scaduti”. Situazione che, secondo l’assessore, “evidenzia che siamo di fronte a una situazione di palese illegittimità e violazione di quanto stabilito dall’Assemblea capitolina”.

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Big Tech, dopo 20 anni l’Antitrust europeo aggiorna le sue regole. Multe più severe e possibili scorpori, ma ormai è tardi

Meglio tardi che mai. Dopo 20 anni l’Unione europea aggiorna la sua normativa antitrust per i colossi del web. Presto per brindare, il “digital act” è stato illustrato oggi dai commissari Ue alla concorrenza Margharete Vestager e per il mercato interno Paul Barnier, ma dovrà ora essere votato dal parlamento. Al momento non è stata definita una tempistica per l’approvazione. Ci sono insomma praterie per l’intervento delle lobbies. Giusto per avere un’idea, tra il 2014 e il 2016 la sola Google ha avuto ad esempio 120 incontri con esponenti dell’unione europea per patrocinare le sue ragioni. Per ora il nuovo regolamento prevede maggiori poteri di indagine e soprattutto un inasprimento delle sanzioni. Le società che non rispettano le regole sulla concorrenza potranno subire multe fino al 10% del loro fatturato globale. Per un gruppo come Amazon significherebbe ad esempio dover pagare multe fino a circa 28 miliardi di euro.

Ci saranno poi multe fino al 6% per le società che non adempiono agli obblighi di vigilanza. Spunta anche la possibilità di scorporare “con la forza” alcune unità di business. La “tagliola” scatta in caso di ripetute violazioni delle regole nel giro di 5 anni. Ricordiamo comunque che in base alle leggi attuali i monopoli non vengono perseguiti in quanto tali, ma solamente se vengono raggiunti attraverso comportamenti concorrenziali scorretti. Lo ha ribadito oggi il commissario Barnier: “noi non diremo mai che una società è troppo grossa, ma più aumentano le dimensioni più aumentano le regole”. Dopo aver autorizzato di tutto e di più, le autorità Antitrust di Stati Uniti ed Unione Europea si sono forse accorte che la situazione rischia ormai di finire fuori da ogni possibile controllo. “Too big to regolate”, vengono ormai etichettate società come Facebook, Google etc, proprio per l’immensa concentrazione di potere che ormai costituiscono.

I buoi sono già fuggiti da un pezzo – Nell’ultimo decennio i big della tecnologia hanno concluso qualcosa come 400 acquisizioni. Google, tra le altre cose, ha comprato i suoi due principali concorrenti di pubblicità on line, vale a dire AdMob e Doubleclick, ha acquisito YouTube, e la concorrente nel settore delle mappe on line Waze. Facebook ha comprato Instagram (le autorità antiturst diedero via libera perché, a loro dire, non si trattava di un social media e le raccolte di foto sono scarsamente monetizzabili) e poi Whatsapp. Oggi Google e Facebook insieme controllano l’84% della pubblicità on line. Nessun rilievo neanche per le acquisizioni di Amazon: Zappos, Whole Foodd, Soap.com. I colossi presidiano costantemente quella che viene definita la “kill zone”. Appena un concorrente potenzialmente minaccioso si affaccia all’orizzonte viene acquisito o, in qualche modo, spinto fuori dal mercato.

Si muovono anche Usa e Cina – In generale non è un buon momento per i colossi del web. O forse è vero il contrario. Il momento è così buono che anche le autorità più sonnacchiose si sono svegliate. La pandemia, con il boom del ricorso a servizi e acquisti on line, come ormai è noto, è stato un balsamo per i conti e il potere dei protagonisti del web. Sta di fatto che qualcosa si è messo in moto. Negli Stati Uniti, in Europa e anche in Cina. Oggi la Federal Trade Commission (Ftc), agenzia Usa a tutela dei consumatori e della concorrenza, ha chiesto a nove colossi tecnologici di fornire informazioni su come raccolgono e usano i dati degli utenti. La richiesta, fa sapere l’autorità in una nota, è stata inviata ad Amazon, Facebook, WhatsApp, Twitter e YouTube, e ancora a Snapchat, TikTok, Reddit e Discord. Le società hanno 45 giorni di tempo per rispondere. Nel dettaglio la Ftc vuole sapere come queste realtà raccolgono, utilizzano, tracciano e ricavano informazioni personali e demografiche; come determinano quali pubblicità mostrare agli utenti; se applicano algoritmi o analisi dei dati alle informazioni personali; in che modo misurano, promuovono e ricercano il coinvolgimento degli utenti; e come le loro pratiche influenzano bambini e adolescenti. Un recente rapporto del Congresso Usa aveva evidenziato, oltre a numerosi abusi concorrenziali, un uso piuttosto spregiudicato dei dati degli utenti. In particolare un ex dipendente di Amazon aveva affermato: “è come un negozio di caramelle, ognuno prende quello che vuole”.

Cinque giorni fa la stessa Federal Trade Commission (Ftc) e una coalizione di 48 Stati Usa hanno deciso di fare causa a Facebook, accusando il social network di pratiche anticoncorrenziali. Nel mirino dell’offensiva legale guidata dalla procuratrice generale di New York, Letitia James, che ha lanciato due cause, ci sono anche l’acquisizione di Instagram e di WhatsApp, per cui si arriva a ipotizzare lo scorporo. La risposta della società non sembra effettivamente del tutto campata in aria. “Revisionisti, anni fa furono loro ad autorizzare queste acquisizioni”, ha affermato il gruppo guidato da Mark Zukerberg.

Intanto le autorità cinesi sono alle prese con un vero e proprio cambio di paradigma. Da un sostanziale laissez faire applicato all’internet domestico ad una vigilanza puntuale. Le prime avvisaglie le hanno già sperimentati grandi nomi del web cinese come Alibaba e Tencent (entrambe con sede fiscale alle isole Cayman), multate e bloccate nella loro campagna di espansione. Anche Pechino adduce tra le motivazioni della sua discesa in campo l’eccessiva concentrazione e potere di pochi nomi e dubbi sull’utilizzo dei dati degli utenti. Le autorità hanno chiarito che la legislazione anti monopolio si applica anche alle società internet, cosa che sinora non era sinora mai stata esplicitata. Naturalmente per un governo come quello cinese è particolarmente indigesta l’idea di avere a che fare con soggetti che sfuggono a direttive e controlli.

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