Archivio Tag: Autostrade per l’Italia

Autostrada A12, il viadotto valle Ragone chiude ai mezzi pesanti: traffico in tilt nel Tigullio. Il Mit: “Frenate tir possono deformare le pile”

La chiusura dell’autostrada A12 Genova-Livorno ai mezzi superiori ai 35 quintali sul viadotto di valle Ragone tra Sestri Levante e Lavagna, in provincia di Genova, ha causato situazioni di traffico fuori controllo nelle località del Golfo del Tigullio con gravi disagi per camionisti e residenti: si sono infatti formate code chilometriche a Lavagna verso Carasco e verso Sestri Levante. Lo stop ai tir è stato disposto dal ministero delle Infrastrutture dopo l’ispezione dell’ingegnere Placido Migliorino, secondo cui le frenate dei tir “possono deformare le pile e il sistema di appoggi”.

“C’è un problema alla verticalità del viadotto – spiega l’ispettore del Mit – per questo è stata decisa la limitazione. Le frenate dei mezzi pesanti potevano incidere su quelle problematiche aumentandole”. L’ingegnere ha trasmesso la relazione alla procura di Genova, che si occupa delle inchieste sulla gestione della rete autostradale. A chiederle all’ispettore sono stati gli stessi pubblici ministeri, così come successo negli altri casi.

Il sindaco di Lavagna ha disposto una serie di divieti di sosta lungo l’itinerario dei tir dall’autostrada in centro e viceversa per consentire un passaggio più agevole. A Sestri Levante risolti nella notte alcuni problemi di segnaletica che avevano indotto diversi camionisti a raggiungere Riva Trigoso anziché l’autostrada. I vigili presidiano le rotonde con l’aiuta anche di mezzi e personale della società autostrade. “Stiamo affrontando un’emergenza senza precedenti soprattutto per il rischio che possa essere durevole in attesa dei lavori al viadotto. Ci auguriamo – dice la sindaca di Sestri Levante Valentina Ghio – che almeno al sabato e domenica il traffico pesante venga fermato”.

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Autostrade, cdm tra dieci giorni: “Se Atlantia non cambia posizione sarà revoca”. Il gruppo paventa un “default da 16,5 miliardi”

L’ultimatum lanciato una settimana fa dal governo scade alla mezzanotte del 30 settembre. Ma Atlantia ha ribadito che non intende concedere a Cassa depositi e prestiti la manleva da responsabilità connesse al crollo del ponte Morandi o altri problemi sulla rete. L‘esecutivo non imbocca ancora la strada della revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia, minacciata fin alle ore successive alla tragedia di Genova ma sempre rinviata, ma indica chiaramente che se la holding non cambia posizione l’approdo sarà quello. Un consiglio dei ministri verrà convocato entro 10 giorni: se nulla cambia sarà revoca, se invece arriverà una proposta, sarà valutata. Dall’esecutivo trapela “irritazione” per le lettere di Aspi e ne vengono respinti gli argomenti: Atlantia – è il ragionamento – ha modificato le condizioni che avevano portato a un accordo a luglio. Respinte anche le accuse secondo cui il governo starebbe obbligando la società ad un’operazione non trasparente e non di mercato. In serata il gruppo si era appellato al presidente del Consiglio paventando un “default da 16,5 miliardi” e aveva sostenuto che “ogni richiesta pervenuta dal Governo, nell’ambito delle negoziazioni avviate da luglio 2019, è stata integralmente accettata“.

A metà luglio l’opzione della revoca, che porta con sé il rischio di un lungo contenzioso legale, era sembrata uscire di scena: i Benetton che avevano accettato di uscire dall’azionariato mentre la società controllata dal Tesoro avrebbe dovuto entrare acquisendo l’intera partecipazione di Atlantia in Aspi. Ma da allora le trattative sul prezzo e sulle condizioni della vendita sono subito apparse in salita. Il 4 agosto il consiglio di amministrazione di Atlantia ha comunicato di aver individuato una “soluzione alternativa: mettere sul mercato l’88% di Autostrade attraverso una gara internazionale a cui Cdp avrebbe potuto partecipare eventualmente insieme ad altri investitori di suo gradimento. Ma le azioni sarebbero andate come ovvio al miglior offerente. Un esito ben diverso rispetto a quello concordato a luglio.

Le interlocuzioni sono comunque continuate, portando però in luce ulteriori nodi. Cioè “garanzie e manleve non usuali e l’accollo da parte di Aspi di prestiti obbligazionari emessi da Atlantia”, come si legge nella risposta inviata martedì al governo che il 23 settembre aveva scritto alla holding accusandola di scarsa disponibilità a definire una volta per tutte i contorni della cessione. Niente manleva, dunque. In compenso, era emerso più tardi, i soci – i Benetton, ma anche il fondo sovrano di Singapore e il fondo attivista Tci – sarebbero disposti a corrispondere una cifra in via preventiva ai nuovi azionisti per coprire i rischi futuri. In sostanza uno sconto, seppur chiamato in un altro modo, alla Cdp e ad altri soggetti che dovessero investire nel gruppo. Il punto è che i danni indiretti non sono al momento calcolabili, quindi questo tentativo di mediazione appare tramontato.

“Noi continueremo ad agire in totale buona fede, affinché possa essere trovata una soluzione equa, ragionevole, di mercato”, continuano a ripetere fonti di Atlantia. Appellandosi alla “capacità di mediazione e equilibrio del Presidente Conte e del suo Governo, un riferimento di garanzia per tutti”. Poi sostengono che “ogni richiesta pervenuta dal Governo, nell’ambito delle negoziazioni avviate da luglio 2019, è stata integralmente accettata da Autostrade per l’Italia e Atlantia. E’ stato dato il doveroso e massimo supporto economico e operativo al Commissario Bucci per consentire la più rapida ed efficiente ricostruzione del Ponte. Sono stati stanziati 3,4 miliardi di euro nel Bilancio di Aspi quale importo compensativo, tra cui 700 milioni per la ricostruzione del Viadotto Polcevera e per risarcire i danni diretti. E’ stato accettato il nuovo sistema tariffario voluto dal Governo e dall’Art, che ha ridotto la marginalità della società di 4 punti percentuali. E’ stato accettato l’incremento annuo massimo delle tariffe dell’1,75% – lasciando in carico ad ASPI la totalità dei danni sul traffico generati dal Covid19 – mantenendo al tempo stesso l’impegno di investire fino a 14,5 miliardi di euro e spendendo 7 miliardi di euro in manutenzioni“. Infine, “è stata accettata la totale riscrittura dello schema Convenzionale, a seguito dell’articolo 35 del Milleproroghe, con una riduzione di due terzi del valore di indennizzo in caso di rescissione anticipata della concessione”. Ed “è stato anche accettato di cedere il controllo di Aspi”. Il punto è come, per il governo.

La conclusione a cui arrivano le stesse “fonti” è che “non si capiscono le motivazioni di una eventuale revoca, che provocherebbe un default sistemico gravissimo, esteso a tutto il mercato europeo, per oltre 16,5 miliardi di euro, oltre al blocco degli investimenti”. E naturalmente non manca l’ammonimento che “verrebbero così messi a serio rischio 7.000 posti di lavoro” e “bisogna assolutamente evitare questo scenario nefasto, vista la totale accettazione di tutte le clausole volute dall’Esecutivo”.

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Autostrade, Atlantia conferma: cessione solo a condizioni di mercato. Fonti Cdp: senza manleva si chiude la trattativa

Atlantia va avanti per la sua strada. Con una breve lettera il gruppo conferma che ha avviato la procedura per la cessione dell’88% di Aspi, o attraverso quotazione o con vendita diretta rivolta anche alla Cassa depositi e prestiti. Una risposta alla missiva inviata giovedì dalla stessa Cdp: la holding in mano per il 30% ai Benetton ribadisce la richiesta di un’operazione che avvenga a prezzi di mercato e senza sconti. La controllata del ministero dell’Economia invece chiede la manleva sui danni provocati dal crollo del Ponte di Genova. In sostanza, eventuali risarcimenti stabiliti in sede di giudizio civile per il disastro del Morandi resterebbero a carico dei Benetton e degli altri vecchi soci. Senza questa condizione, fanno sapere fonti di Cdp all’Ansa, Atlantia chiude di fatto a ogni possibilità di proseguire nella trattativa su Aspi. E torna sul tavolo l’ipotesi della revoca della concessione.

Atlantia ha risposto alla missiva inviata ieri da Cassa Depositi e Prestiti con una breve lettera, confermando la volontà di andare avanti sulla propria strada, avendo avviato oggi il “processo dual track” e indicando come termine per le offerte il 16 dicembre. Per Cdp, il testo dimostra che sono stati disattesi completamente gli impegni assunti dai due amministratori delegati di Atlantia e Aspi il 14 luglio scorso. In particolare, respingendo la richiesta di garanzie per i danni provocati dal crollo del Ponte di Genova la stessa Atlantia fa venir meno una fondamentale condizione di mercato, inderogabile per qualunque investitore di mercato, che renderebbe impossibile deliberare l’operazione i Cda.

Cdp in questi due mesi, fanno notare le stesse fonti, ha portato avanti un tavolo negoziale volto a perseguire un’operazione di mercato. La disponibilità di Cdp nei confronti della controparte a trovare soluzioni di ragionevole compromesso e di mercato è stata massima. Nel corso della trattativa, Cdp ha accolto gran parte delle richieste avanzate da Atlantia ed è rimasta ferma sulla necessità di ottenere garanzie di mercato, come avviene in ogni operazione di trasferimento azionario, sui rischi collegati a un evento certo, cioè il crollo del Ponte Morandi, che ha provocato danni enormi. Nonostante l’apertura e la disponibilità dimostrata – proseguono le fonti – l’atteggiamento di Atlantia dopo la lettera del 14 luglio è stato dilatorio nei fatti e nei contenuti delle controproposte avanzate.

“Atlantia non ha disatteso alcun tipo di impegno”, replicano fonti del gruppo dei Benetton, citate da Adnkronos, aggiungendo che “Cdp è stata invitata tempestivamente a prendere parte a questo percorso”. “La richiesta di manleva voluta da Cdp non esiste nell’ambito delle grandi operazioni di mercato del mondo infrastrutturale. Nella lettera di impegni inviata da Atlantia lo scorso 14 luglio al governo, peraltro, non è prevista alcun tipo di manleva”, dicono le stesse fonti. “Nella process letter inviata a Cdp e a tutti gli altri investitori è infatti esplicitato chiaramente – proseguono ancora le fonti vicine alla holding – che Atlantia non rilascerà alcun tipo di garanzia relativamente ad Aspi, sulla base del principio della parità di trattamento di tutti gli investitori. Le eventuali decisioni di Cdp non sono dunque afferibili alle scelte trasparenti e di mercato operate dal Cda di Atlantia”.

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Autostrade, vertice di maggioranza con Conte sul futuro della concessionaria: sul tavolo la revoca o taglio delle tariffe e ingresso di Cdp

La revoca o la ricerca di un accordo che porti la holding dei Benetton a cedere la quota di maggioranza a Cassa Depositi e Prestiti e alcuni fondi italiani. Il governo accelera su Autostrade dopo l’ultima minaccia di Atlantia che ha provocato fibrillazioni interne. Così il premier Giuseppe Conte ha convocato a Palazzo Chigi i capidelegazione delle forze politiche che lo sostengono per analizzare il dossier istruttorio sulla possibile revoca in seguito al crollo del ponte Morandi che era stato consegnato dai tecnici alla ministra Paola De Micheli. Al tavolo ci sono, oltre alla stessa titolare delle Infrastrutture, il capo del Tesoro Roberto Gualtieri, e i capi delegazione della maggioranza Dario Franceschini, Alfonso Bonafede, Roberto Speranza e Teresa Bellanova.

Il carteggio in mano a De Micheli sarà il punto di partenza per trovare una posizione comune per la quale, viste le convinzioni divergenze nelle anime della maggioranza, al presidente del Consiglio toccherà un lavoro certosino di mediazione. Da un lato i Cinque Stelle spingono convintamente per la revoca, come ribadito negli scorsi giorni dal viceministro dei Trasporti Giancarlo Cancelleri, mentre il Pd e Italia Viva sono per un riequilibrio delle quote dei Benetton nella controllante Atlantia attraverso un intervento pubblico che potrebbe coinvolgere Cassa Depositi e Prestiti e il fondo F2i.

Contestualmente alla società sarebbe richiesto un taglio delle tariffe – si parla del 5%, sul quale c’è già la disponibilità di Autostrade, ma potrebbe essere richiesta una sforbiciata ancora più netta – che da un lato consentirebbe un risparmio all’utenza e dall’altro rallenterebbe gli utili macinati da Atlantia, controllante della concessionaria, in questi anni. L’alternativa sul tavolo è la revoca, obiettivo dichiarato dal M5s dal 14 agosto 2018, giorno del crollo del viadotto genovese.

Negli scorsi giorni il consiglio di amministrazione di Atlantia ha lasciato intendere di essere pronta alle vie legali in caso di chiusura del contratto e parla di “gravi danni” subiti nella capacità di finanziamento sul mercato dopo il taglio del rating. Una conseguenza, sostiene la società che ha anche richiesto un prestito garantito dallo Stato da 1,2 miliardi di euro, dell’introduzione dell’articolo 35 nel decreto Milleproroghe dello scorso dicembre che ha eliminato le penali in caso di revoca per inadempimento del concessionario, un caso nel quale rientrerebbe il collasso del Morandi, almeno stando alle prime risultanze istruttorie dell’inchiesta condotta dalla procura di Genova che avanza anche l’ipotesi di una più generale cattiva manutenzione di diverse infrastrutture della rete.

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Autostrade, tra 2009 e 2018 ha dimezzato gli investimenti e aumentato i dividendi. Ai soci 6 miliardi, per la manutenzione solo 4

“Si vendono come un favore una cosa che dovrebbe essere la normalità. Ci vengono ad annunciare che faranno un grande piano di investimenti e di manutenzione che già dovevano fare. Cosa avete fatto fino ad oggi?”. La risposta alla domanda retorica del viceministro Stefano Buffagni ad Autostrade per l’Italia sta in pochi numeri. Che colpiscono particolarmente nelle ore in cui il numero uno del gruppo, nel tentativo di evitare la revoca della concessione, rivendica come il nuovo piano strategico 2020-2023 preveda un aumento delle spese in manutenzione “del 40% rispetto al quadriennio precedente”. Il fatto è che tra 2009 e 2018, mentre vedeva i ricavi salire da 2,9 a 3,6 miliardi, Aspi ha dimezzato i propri investimenti sulla rete, passati da 1,1 miliardi a poco più di 500 milioni. Nel frattempo anche le spese per la manutenzione e la sicurezza di strade, ponti e viadotti declinavano, seppure di poco: da 464 a 363 milioni. Ad aumentare – e di molto – in quel decennio sono stati invece i dividendi versati agli azionisti della società.

A mettere in fila i numeri è stata l’area Ricerche di Mediobanca per Il Sole 24 Ore. Facendo le somme, si scopre che nei dieci anni precedenti il crollo del ponte Morandi i soci di Aspi – a partire dalla controllante Atlantia di cui la famiglia Benetton attraverso la holding Edizione è primo socio – hanno incassato più di 6 miliardi di dividendi (la stragrande maggioranza degli utili realizzati). Dai 485 milioni del 2009 le cedole sono salite a oltre 740 milioni nel 2017, quando sono anche stati distribuiti 1,1 miliardi di riserve. Per il 2018, l’anno del crollo viadotto Polcevera, è invece stato staccato un assegno di 518 milioni: comunque più di quanto speso per riparare e tenere in sicurezza le infrastrutture affidate.

Nel frattempo a manutenzione e sicurezza sono stati dedicati circa 4 miliardi: in media 400 milioni l’anno. Cifra, questa, che risulta perfettamente in linea con il minimo previsto dalla convenzione con lo Stato, che però ricorda Il Sole, richiede anche che il concessionario mantenga la funzionalità delle infrastrutture “attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva“. Stando ai crolli e ai problemi di sicurezza emersi nell’ultimo anno e mezzo, appare evidente che non tutto il necessario è stato fatto. Peraltro se si allarga lo sguardo al periodo 2000-2017 la spesa media annua cala ulteriormente, a circa 270 milioni.

Grafico del Sole 24 Ore

Del resto l’incentivo a sostenere costi superiori al minimo previsto era quasi inesistente per effetto del contenuto stesso delle concessioni. Il ministero dell’Economia non a caso ha rilevato che la “disconnessione delle tariffe ai costi, oltre a rappresentare un evidente vantaggio per le concessionarie, costituisce un forte incentivo alla non effettuazione o al rallentamento degli investimenti. Infatti, quando le tariffe sono indipendenti dai costi e, quindi, dagli investimenti, a minori investimenti e manutenzione corrispondono maggiori profitti per le concessionarie”. Non solo: come evidenziato dalla Corte dei Conti in un recente rapporto ad hoc, la convenzione tra lo Stato e Aspi prima della modifica introdotta con il Milleproroghe prevedeva – in deroga al codice civile e al codice dei contratti – che in caso di revoca il concessionario avesse comunque diritto a rilevanti penali. E subordinava “l’efficacia del recesso, revoca, risoluzione e, comunque, di cessazione anticipata della convenzione” alla “condizione del pagamento da parte del concedente alla concessionaria di tutte le somme previste”.

Quanto agli investimenti nello sviluppo della rete, il progressivo calo e il fatto che si siano fermati su livelli inferiori a quelli previsti dalle convenzioni del 2002 e del 2007 dipende anche dal ritardo nell’avvio di opere come la Gronda di Genova e, secondo l’Aiscat, da altri fattori esterni come “incertezze normative, abnormi tempi di approvazione dei progetti, nonché, da ultimo, lo stallo relativo all’approvazione dell’aggiornamento dei piani economico-finanziari”. Quale che sia la causa, secondo l’ultima relazione della direzione generale per la Vigilanza sulle concessionarie del ministero dei Trasporti, tra 2008 e 2016 Autostrade ha realizzato solo l’82% degli investimenti previsti.

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A26, adesso anche il Pd attacca Autostrade: ‘Garantisca sicurezza o faccia passo indietro’. Toti: ‘C’era tempo di lastricare d’oro i viadotti’

La chiusura dell’A26 per verifiche da parte di Autostrade sui viadotti Fado e Pecetti dopo la segnalazione della procura di Genova sui “gravi ammaloramenti” delle due infrastrutture rischia di mettere in ginocchio la Liguria, con Genova prossima all’isolameto, e provoca uno scossone politico. Perché di fronte all’ennesima contestazione dei magistrati anche nel Pd inizia ad alzarsi voci che chiedono misure forti nei confronti del concessionario.

“Non abbiamo più tempo. Chi non è in grado di garantire la sicurezza e la viabilità, faccia un passo indietro”, è la richiesta del deputato ligure Franco Vazio, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera. Parole che arrivano mentre Autostrade ha deciso di riaprire parzialmente la viabilità del tratto tra l’allacciamento con la A10 e lo svincolo di Masone, evitando almeno in parte l’isolamento di Genova, già gravata dal crollo del ponte Morandi. Una situazione che ha mandato su tutte le furie il governatore ligure Giovanni Toti che parla di “tempo di guerra” e chiede “stanziamenti straordinari” nonché uno “scudo legislativo” per “agire” e “mettere in sicurezza l’asset più importante della logistica di questo Paese, cioè 4 porti della Liguria”. Quindi ha attaccato anche Autostrade: “Per un anno e 4 mesi non si è fatto assolutamente niente. Aspi in 1 anno e 4 mesi avrebbe dovuto lastricare d’oro quei viadotti perché ne aveva il tempo e le possibilità e non aspettare a muoversi quando la procura glielo ha chiesto”.

Il primo passo del formale del governo lo ha compiuto il ministro per le Infrastrutture, Paola De Micheli, che in mattinata ha incontrato i vertici della concessionaria di proprietà della holding della famiglia Benetton. La convocazione è scattata lunedì sera, subito dopo la chiusura per “verifiche” del Fado e del Pecetti, quest’ultimo al centro dell’inchiesta sui presunti falsi report, nata dall’indagine per il collasso del Morandi. L’amministratore delegato Roberto Tomasi, spiega la società, ha “illustrato le modalità tecniche individuate per riaprire al traffico l’autostrada A26″ e “ha manifestato l’intenzione di accelerare ulteriormente il piano nazionale di interventi sulla rete”.

In mattinata è stata anche convocata anche una Giunta regionale straordinaria per fare il punto. Le prime misure già predisposte e prevedono separazione del traffico merci da quello privato lungo sulla strada Guido Rossa e su lungomare Canepa, da e per il porto di Genova. Il sindaco Marco Bucci ha disposto l’utilizzo gratuito dell’intera rete urbana di trasporto pubblico Amt fino alla cessazione dell’emergenza per la chiusura dell’A26 che sta provocando gravi disagi al traffico cittadino. Toti ha invece chiesto al ministero e ad Autostrade “di avere tutti i caselli gratis sulla rete autostradale ligure” fino a quando la situazione non sarà risolta.

L’arrabbiatura di Toti – che ha chiesto anche una “task force” per Genova, un “advisor tecnico” per comprendere la reale situazione del sistema viabilità e si è domandato dove siano finiti i tecnici del ministero – è condivisa dal procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi: “Le istituzioni devono avere consapevolezza. Non si può girare la testa dall’altra parte. Non faccio allarmismo, è consapevolezza della situazione”, ha detto a Radio 24. Il procuratore ha poi proseguito: “Condivido le parole del presidente della Regione Toti, occorre un altro passo e un piano generale di intervento sullo stato delle infrastrutture. Non è compito della procura verificare se sono o meno in condizioni di sicurezza”.

Per il M5s, quello della A26 è un episodio che “va a confermare i sospetti sulle abnormi responsabilità di Autostrade per l’Italia in merito alle mancate manutenzioni, emersi in tutta la loro drammaticità il 14 agosto del 2018″. In un post sul Blog delle Stelle si legge: “Ora ci chiediamo: è pensabile che una regione, con uno dei centri produttivi più importanti del Mediterraneo, sia appesa a un filo e si trovi a vivere in queste condizioni, a causa dell’incuria e della sciatteria della holding dei Benetton?”, definiti i “signori del casello”. Duro anche il commento del vice-ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Buffagni: “Quello che è grave sui viadotti che una società privata, dopo i disastri che ha fatto l’anno scorso in cui sono morte 43 vittime, evidentemente è nelle stesse condizioni. Se la procura è intervenuta evidenziando questi report falsi è una gravità impressionante perché chi mette a repentaglio la sicurezza degli italiani è un criminale”.

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