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Bankitalia su riciclaggio e Recovery, forse i soldi cominciano ad avere un odore

La relazione annuale dell’Unità di informazioni finanziarie (Uif), presentata dal suo direttore Claudio Clemente, offre diverse conferme alle analisi allarmate che dall’esplosione della pandemia si sono rincorse, mettendo in evidenza una serie di rischi direttamente riconducibili alle attività della criminalità organizzata di stampo mafioso, ma anche no.

La relazione però suggerisce, forse, anche una pista che sarebbe interessante esplorare e di cui dirò alla fine. Ma andiamo con ordine.

Il primo dato che colpisce positivamente è l’aumento delle segnalazioni raccolte dalla Uif, può sembrare una contraddizione ma non lo è: l’aumento delle segnalazioni può in parte rappresentare un aumento dei comportamenti illeciti ed in questo senso non è una buona notizia, ma può anche rappresentare un aumento della capacità e della disponibilità dei soggetti legalmente obbligati a segnalare a fare per davvero le segnalazioni.

Da alcuni passaggi ripresi da ilfattoquotidiano.it della relazione di Clemente è ragionevole propendere per questa seconda interpretazione e non è una cosa da poco: i soggetti obbligati a fare le segnalazioni appartengono al variegato mondo della intermediazione finanziaria e le segnalazioni cui sono tenuti riguardano i loro stessi clienti, il che richiede ai soggetti segnalanti di scommettere su una opzione culturalmente non banale in un Paese come l’Italia e cioè che i soldi “abbiano odore” e che alla lunga convenga a tutti far circolare denaro pulito invece che denaro purchessia, basta che ce ne sia, il contrario del “pecunia non olet” con cui sono cresciute generazioni e generazioni di finanzieri.

Il secondo dato che emerge è che la possibilità ancora troppo grande di ricorrere al denaro contante, unita al depotenziamento delle norme di prevenzione e controllo nel ciclo del contratto pubblico, fa lievitare i rischi di riciclaggio di denaro sporco e di infiltrazione di soggetti criminali nelle forniture di beni e servizi, il tutto a discapito degli operatori economici onesti (oltre che delle casse dello Stato e dei cittadini tutti che finiscono per essere “cornuti e mazziati”). Gli operatori economici onesti infatti subiscono una concorrenza sleale implacabile che finisce col chiudere il cerchio del profitto criminale, perché, come emerge sempre dalla relazione Uif, sono spesso proprio i soggetti economici criminali che dopo aver contribuito alla crisi di quelli onesti attraverso la concorrenza sleale, si offrono di aiutarli con prestiti di denaro che non di rado si declinano in acquisizione di crediti deteriorati presso gli Istituti finanziari o nell’acquisizione di quote societarie.

Il terzo dato che emerge, ancora una volta (!), è l’urgenza manifestata da Clemente di un maggior flusso informativo, anche a livello europeo, tra i soggetti istituzionali preposti alla prevenzione ed al controllo e gli operatori finanziari. Su questa questione del flusso informativo ho già avuto modo di scrivere e ribadisco che diventa ogni giorno più insopportabile, considerate le tecnologie informatiche ormai a disposizione e considerato l’investimento che anche l’Italia ha fatto per attrezzarsi sul fronte della sicurezza digitale (è di metà giugno il decreto che ha posto le basi operative per l’Agenzia nazionale della sicurezza informatica). Se l’inefficienza è frutto di imperizia o negligenza è bene che paghi e venga rimosso chi ne ha la responsabilità, altrimenti sarà sempre più fondato il sospetto che l’inefficienza sia molto efficientemente perseguita da chi resta convinto, contrariamente a quanto auspicato sopra, che “pecunia non olet” e che togliere “lacci e lacciuoli” sia il modo migliore per far fiorire l’economia, grazie alle invisibili ma sapienti premure del mercato.

Infine, sullo sfondo, come dicevo, forse si intravvede un orizzonte rivoluzionario appena evocato dalla relazione di Clemente: rendere universale la tecnologia blockchain. Oggi questa tecnologia si applica per lo più alle così dette valute digitali o cripto valute e consiste in un meccanismo che garantisce il valore della moneta e quindi del passaggio di valore tra uno scambio e l’altro, fotografando in maniera indelebile il “prima” e il “poi” di ogni transazione: come se sulla moneta restasse l’impronta digitale di chi l’aveva prima e di chi l’ha presa poi. Rendere universale questa tecnologia sarebbe davvero un terremoto. Bisognerebbe però che lo capissero, in un modo o in un altro, i “signori delle monete” che a far da garanti hanno costruito imperi.

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Recovery plan, Bankitalia: “Necessaria discontinuità col passato per spendere bene”. Upb: “Concentrarsi su meno progetti”

Bisogna lavorare ancora molto sul Piano nazionale per la ripresa e la resilienza perché possa dare i risultati auspicati in termini di crescita del Pil e di rilancio complessivo del Paese. E’ quanto emerso dalle audizioni alla Commissione Bilancio del Senato di Corte dei Conti, Ufficio Parlamentare di Bilancio e Bankitalia che in particolare ha sottolineato la necessità di fare le riforme a partire da quella del lavoro. Via Nazionale ha sottolineato che “le maggiori risorse rese disponibili a condizioni vantaggiose andranno comunque restituite” per cui “se non saranno impiegate in maniera produttiva, i problemi non saranno alleviati ma accresciuti dal maggiore indebitamento”. Inoltre l’attuazione del Piano “va collocata nella prospettiva di una strategia di progressiva riduzione del peso del debito pubblico sul Pil”.

Punto, questo, affrontato anche dal presidente della Corte dei Conti Guido Carlino: “Sarebbe sbagliato ritenere che la mancanza di un vincolo esterno (europeo) all’espansione del debito pubblico debba spingerci ad accrescerlo oltre i limiti fin qui prefigurati dai documenti programmatici. Rientrare dal 160 per cento del Pil, od oltre, come oggi è giustificato prevedere, sarà compito arduo“.

In generale, i rappresentanti delle tre istituzioni hanno rimarcato ancora una volta l’assenza nel Piano approvato in cdm prima della crisi di governo di dettagli sui singoli investimenti e sui tempi di realizzazione. “Come indicato nella bozza del Piano, sono ancora necessarie sostanziali integrazioni in vista della stesura finale del testo da sottoporre alle autorità europee”, ha sottolineato Fabrizio Balassone, Capo del Servizio Struttura economica della Banca d’Italia. “Questi elementi includono, per ciascun intervento, il cronoprogramma, la specificazione degli obiettivi intermedi e finali, la stima totale dei costi e la quota da finanziare con prestiti. Si preannuncia inoltre la presentazione al Parlamento del necessario modello di struttura di governo del Piano, in cui dovranno essere individuati gli organi responsabili della sua realizzazione e le modalità di coordinamento dei Ministeri e degli altri livelli di governo coinvolti”. Per riuscire a spendere in modo efficiente “serve una netta discontinuità con il passato e una struttura di governo degli interventi adeguata alla complessità del sistema”.

L’Upb ha segnalato anche “la frammentazione eccessiva” delle iniziative che “rischia di diluire le potenzialità del Piano di incidere in modo strutturale sulla realtà del Paese con una dispersione di risorse che potrebbe non consentire di realizzare gli obiettivi di policy dichiarati”. Sarebbe utile secondo l’Upb “rinunciare a qualche intervento per concentrare le risorse su un numero minore di priorità ed avere un impatto visibile”. Inoltre non sembra esserci adeguata attenzione “a nuovi strumenti per contrastare efficacemente infiltrazioni criminali, frodi ed episodi corruttivi nella gestione dei progetti finanziati dal Piano”. Una necessità che viene sottolineata ”tenuto conto dell’esigenza di accelerare le procedure di appalto ed esecuzione delle opere, anche in deroga alle ordinarie procedure, comprese quelle destinate a limitare pratiche illecite”. In particolare, come richiesto dalla bozza di regolamento, secondo l’Upb “è necessario introdurre un sistema di raccolta, organizzazione e analisi di categorie standardizzate di dati e informazioni al fine di prevenire, rilevare e correggere irregolarità gravi, come anche rafforzare la capacità di recupero delle risorse indebitamente erogate da parte delle Autorità di gestione dei fondi europei”

Secondo l’Upb a fine piano, nel 2026, l’utilizzo delle risorse del Next generation Eu potrebbe innalzare il Pil italiano di 2,5 punti, mezzo punto in meno di quanto previsto da Piano presentato dal Governo. Bankitalia indica invece una crescita di 2 punti al 2024. Nell’insieme, le risorse complessive dedicate alle missioni del PNRR nel periodo 2021-26 – calcola l’Upb – ammontano a 311,9 miliardi, 87 dei quali da Fondi non Next generation Eu. Dei 209 miliardi di Next generation Ue 81,9 miliardi sono sovvenzioni, 87,5 prestiti sostitutivi e 40,1 prestiti aggiuntivi.

La Corte dei Conti ha invece acceso un faro sul debito sostenendo che sarà “arduo” rientrare dal 160% del Pil e ha affermato la necessità di un “lavoro intenso” sul piano per poter rispettare la scadenza ultima del 30 aprile. In particolare ha sostenuto la necessità di concentrare le risorse sugli investimenti segnalando che quella per la spesa corrente potrebbe “debordare” dal 30% previsto dal documento presentato. La chiave saranno le riforme a partire da un rafforzamento delle politiche attive del lavoro ancora deficitarie e l’istruzione in un Paese che ha tra i più bassi tassi di istruzione terziaria in Europa e i tassi più alti di dispersione scolastica.

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Bankitalia, Visco: “Rischio di un forte aumento delle famiglie che non riescono a mantenere uno standard di vita accettabile. Usare bene i fondi Ue: non sono gratis, debito europeo è di tutti”

Per recuperare una crescita accettabile e riprendersi dall’impatto del virus, mantenendo sotto controllo l’enorme rapporto debito/pil, l’Italia deve “trovare la forza di rompere le inerzie del passato”. E ha bisogno di un aumento della produttività del lavoro che richiede “una rottura rispetto all’esperienza storica più recente”. A partire dai “nodi strutturali che per troppo tempo non siamo stati capaci di allentare e che hanno assunto un peso crescente nel nuovo contesto tecnologico e di integrazione internazionale”. Questo il cuore delle tradizionali considerazioni finali del governatore di Bankitalia Ignazio Visco che quest’anno, causa Covid 19, sono state trasmesse in diretta streaming e su Rai2.

Quella causata dalla pandemia, ha ribadito il governatore mentre l’Istat confermava un crollo del pil di portata mai registrata nelle serie storiche, è “una crisi senza precedenti nella storia recente, che mette a dura prova l’organizzazione e la tenuta dell’economia e della società”. Il governo si è mosso “concentrandosi sulla capacità di risposta del settore sanitario e sugli aiuti ai lavoratori, alle famiglie, alle imprese”. Ma “limiti nella disponibilità di attività finanziarie liquide tra i nuclei familiari con i redditi più bassi possono amplificare le conseguenze dello shock, determinando un aumento significativo del numero di famiglie che non riescono a mantenere standard di vita accettabili“. Inoltre “la caduta dell’attività economica ha ridotto le nuove opportunità di impiego, ripercuotendosi in particolare sui giovani che per la prima volta si affacciano sul mercato del lavoro, su chi è abitualmente impegnato in attività stagionali, con contratti a tempo determinato o di apprendistato. Colpisce con maggiore intensità le attività tradizionalmente svolte dai lavoratori autonomi e il lavoro irregolare, ancora troppo diffuso nel nostro paese”.

Più che i numeri, appunto appena aggiornati dall’Istat, contano le valutazioni su come muoversi per superare la crisi. La prima avvertenza del governatore, in passato finito più volte nel mirino del Movimento 5 Stelle e poi anche di Matteo Renzi per la gestione della vigilanza sulle banche, è che “i ritardi rispetto alle economie più avanzate non possono essere colmati con un aumento della spesa pubblica se non se ne accresce l’efficacia e se non si interviene sulla struttura dell’economia”.

L’aspetto principale che “ci differenzia dalle altre economie avanzate” è “l’incidenza dell’economia sommersa e dell’evasione, che si traduce in una pressione fiscale effettiva troppo elevata per quanti rispettano pienamente le regole. Le ingiustizie e i profondi effetti distorsivi che ne derivano si riverberano sulla capacità di crescere e di innovare delle imprese; generano rendite a scapito dell’efficienza del sistema produttivo. Un profondo ripensamento della struttura della tassazione, che tenga anche conto del rinnovamento del sistema di protezione sociale, deve porsi l’obiettivo di ricomporre il carico fiscale a beneficio dei fattori produttivi”.

Va poi “recuperato il ritardo accumulato nelle infrastrutture, sia quelle tradizionali, da rinnovare e rendere funzionali, sia quelle ad alto contenuto innovativo, come le reti di telecomunicazione, necessarie per sostenere la trasformazione tecnologica della nostra economia”. Ed è necessario migliorare “la qualità del capitale umano, affrontando i problemi di fondo del sistema scolastico, dell’università e della ricerca“. Le differenze “tra istituti e territori perpetuano e amplificano le diseguaglianze di reddito e di opportunità. Gli ambienti che accolgono gli studenti non sono in molti casi sicuri, confortevoli e tecnologicamente adeguati; la preparazione e la motivazione degli insegnanti sono essenziali”.

“Usare i fondi Ue in modo efficiente. Non sono gratis: il debito europeo è debito di tutti” – Le risorse necessarie possono venire “da una ricomposizione del bilancio pubblico, da un recupero di base imponibile e da una riduzione del premio per il rischio sui titoli di Stato, da un uso pragmatico e accorto dei fondi europei“. L’Unione, che ora discute dell’atteso Recovery fund per aiutare i Paesi nella ripresa post emergenza, “è una risorsa formidabile per i suoi cittadini. La dolorosa esperienza della pandemia rende oggi ancora più forti le ragioni, non solo economiche, dello stare insieme. I timori e i pregiudizi reciproci riemersi con la duplice crisi dello scorso decennio, e che pure a tratti sono tornati a pesare su decisioni importanti in questa fase delicata, possono essere definitivamente superati e respinti con il contributo responsabile di ognuno”.

Ma “ogni paese deve utilizzare le risorse messe a disposizione dalle istituzioni europee con pragmatismo, trasparenza e, soprattutto, in maniera efficiente. I fondi europei non potranno mai essere “gratuiti”: il debito europeo è debito di tutti e l’Italia contribuirà sempre in misura importante al finanziamento delle iniziative comunitarie, perché è la terza economia dell’Unione. Ma un’azione comune, forte e coordinata potrà proteggere e contribuire a rilanciare la capacità produttiva e l’occupazione in tutta l’economia europea.

“Si attivi circolo virtuoso tra crescita e politiche di bilancio” – In questo quadro la sostenibilità del debito pubblico, ribadisce Visco, “non è in discussione, ma il suo elevato livello in rapporto al prodotto è alimentato dal basso potenziale di crescita del Paese e al tempo stesso ne frena l’aumento”. Invece, con un tasso di crescita dell’economia compreso tra l’uno e il due per cento “e con la riduzione del differenziale di rendimento dei titoli pubblici italiani rispetto a quelli tedeschi e un avanzo primario della misura indicata sarebbe sufficiente per ridurre il peso del debito sul prodotto di circa due punti percentuali in media all’anno. Crescita e politiche di bilancio si rafforzerebbero le une con le altre, in un circolo virtuoso che il nostro paese è in grado di attivare”.

Lo sconvolgimento causato dalla pandemia “ha natura diversa da quello di una guerra mondiale”, ha concluso Visco, “ed è arduo confrontarne gli effetti. Possiamo partire però da un pensiero maturato proprio immaginando come si sarebbe potuto gestire una grande guerra. Ottant’anni fa John Maynard Keynes scriveva: “… la migliore garanzia di una conclusione rapida è un piano che consenta di resistere a lungo … un piano concepito in uno spirito di giustizia sociale, un piano che utilizzi un periodo di sacrifici generali” – verrebbe da dire, come quelli di questi nostri giorni – “non come giustificazione per rinviare riforme desiderabili, ma come un’occasione per procedere più avanti di quanto si sia fatto finora verso una riduzione delle disuguaglianze”.

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Coronavirus, l’economia – Da Bankitalia in arrivo 8,9 miliardi per lo Stato. Spread sopra i 190 punti, Borse Ue positive

Avvio di giornata ampiamente positivo per le Borse europee, che allargano i loro rialzi della partenza. Piazza Affari guadagna più del 2% e il differenziale di rendimento tra Btp e Bund resta sopra i 190 punti ma con il tasso sul nostro decennale in lieve calo verso l’1,4%. Intanto il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ha presentato all’assemblea il bilancio 2019: l’utile è stato il più alto nella storia dell’istituto, 8,2 miliardi di euro, 2 in più rispetto al precedente esercizio grazie agli interessi sui titoli di Stato acquistati da via Nazionale per conto della Bce. Lo Stato riceverà 7,8 miliardi di dividendi più 1 miliardo di imposte di competenza, per un totale di 8,9 miliardi: anche questa cifra supera di 2 miliardi l’incasso dello scorso anno. Risorse che saranno preziose in questa fase di emergenza, con il governo a caccia di coperture per il decreto di aprile.

I 143 azionisti privati – banche, fondazioni , assicurazioni e fondi pensione che non hanno voce in capitolo sulla governance e in base alla riforma del 2014 stanno devono ridurre la propria quota a non oltre il 3% – avranno 340 milioni complessivi, come l’anno scorso.

“L’impatto” del coronavirus e del lockdown “sul sistema economico-finanziario sarà di proporzioni molto ampie e profonde“, scrive Visco nella relazione che accompagna i risultati del 2019. “Nell’ambito del nostro mandato” all’interno del sistema delle banche centrali “siamo disposti ad aumentare il volume degli acquisti, a modificarne la composizione e a esplorare tutte le possibili opzioni per sostenere l’economia. Si è anche deciso di considerare la possibilità di rivedere i limiti che ci eravamo imposti in passato (…) non si tollereranno impedimenti tali da compromettere l’efficace trasmissione della politica monetaria“.

Fmi: “Pil cala del 3% per ogni mese di lockdown” – Ieri il Fondo monetario internazionale aveva ribadito che in Europa “l’impatto economico della crisi sarà grave”, stimando che ogni mese in cui i servizi non essenziali restano chiusi “si traduce in un calo del 3% del PIL annuale“, previsione peggiore rispetto a quella Ocse di -2%, “e questo senza neppure valutare gli altri problemi e le ricadute sul resto dell’economia”.

Cina verso crescita del 2,3%. “Torneranno in povertà 11 milioni di persone” – La Cina invece si avvia verso un recupero, con l’indice Pmi manifatturiero di marzo che rimbalza a 52 dai minimi storici di 35,7 segnati a gennaio-febbraio per il blocco anti Covid-19. Ma la Banca mondiale prevede che la crescita 2020 si fermerà al 2,3% “riportando in povertà 11 milioni di persone nell’intera regione” dell’Asia orientale e Pacifico. Solo due mesi fa il pil cinese era dato in aumento del 5,9 per cento quest’anno, valore che peraltro avrebbe rappresentato la peggiore performance dal 1990.

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Popolare di Bari, Visco: “Bankitalia ha svolto bene la sua vigilanza. Pronti a rendere conto su tutte le informazioni nelle sedi istituzionali”

La Banca d’Italia ha sempre svolto il proprio compito rispettando le regole, ha sempre collaborato e continuerà a farlo ed è pronta a fornire, “come sempre”, tutte le informazioni disponibili, così come è pronta a rendere conto del proprio operato, nelle sedi istituzionali. Intervistato in apertura di prima pagina dal direttore del Corriere della Sera, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco interviene sul caso della Popolare di Bari. E spiega che il commissariamento è stato disposto “quando le perdite hanno ridotto i livelli di capitale al di sotto dei minimi stabiliti dalle regole prudenziali“. Nella lunga intervista a Luciano Fontana ribadisce: “Abbiamo fatto il nostro dovere e vigilato rispettando le regole”.

Dopo le critiche arrivate in questi giorni sui compiti di Bankitalia, Visco osserva che “bisogna esaminare individualmente le due attività: quella di vigilanza e quella di gestione e risoluzione delle crisi, che sono cose diverse. La vigilanza sulle banche ha svolto il suo compito, con il massimo impegno e io reputo positivamente. La scelta di porre in amministrazione straordinaria questa banca è il risultato, come sempre in questi casi, di un’attenta analisi, è un atto possibile in termini di legge solo dopo aver rilevato gravi perdite o carenze nei sistemi di governo societario. Ma la vigilanza non può intervenire nella conduzione della banca, che spetta agli amministratori scelti dagli azionisti. La banca deve seguire delle regole, la vigilanza verifica che ciò effettivamente accada”.

Banca d’Italia, continua il governatore, dal 2007 ha posto “in amministrazione straordinaria circa 80 intermediari: più della metà è tornata alla gestione ordinaria, per quelli liquidati o aggregati con altre banche, non vi sono state, nella generalità dei casi, perdite per depositanti e risparmiatori. La soluzione ordinata delle crisi bancarie, di per sé non semplice, è complicata dal nuovo approccio europeo in materia di gestione delle crisi e aiuti di Stato. Ma questo non ha niente a che fare con l’essere arbitro e giocatore“. Comunque, puntualizza Visco, “sono stati difesi correntisti e risparmiatori“. E sulla Tercas, aggiunge, la Popolare di Bari paga la mancata trasformazione in società per azioni. Poi osserva che l’intervento del Fondo interbancario e del Mediocredito centrale è volto “a evitare scenari liquidatori e possibili perdite per i risparmiatori che detengono depositi e obbligazioni”.

Bankitalia ha sempre collaborato e continuerà a farlo, insomma, sottolinea il governatore, aggiungendo che si lavora “a stretto e continuo contatto con il governo, con tutti i governi”. “Anche al ministro Gualtieri – rileva Visco – abbiamo fornito e continueremo a fornire, come sempre, tutte le informazioni disponibili”. Ed evidenzia che Bankitalia è pronta a rendere conto del proprio operato, come ha sempre fatto, nelle sedi istituzionali.

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