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Coronavirus, due mesi dal primo caso di Codogno: “Noi i primi a conoscere la quarantena. Eravamo spaventati ma fiduciosi, ora meno. Attendiamo il test anticorpale per sapere se siamo stati fortunati”

Venerdì 21 febbraio 2020: un risveglio che non dimenticheremo mai. La notizia che a 3 km dalle nostre case, all’ospedale di Codogno, era stato diagnosticato il primo caso di Coronavirus sul territorio nazionale, su un 38enne molto conosciuto, ha travolto tutta la nostra comunità. Uno choc. Siamo stati i primi, in Italia, a conoscere l’esperienza della quarantena. Poi ci sarebbero arrivati progressivamente anche gli altri, dopo un paio di settimane: ma intanto, in quei giorni, eravamo visti e trattati un po’ come degli extraterrestri. Ci chiamavano, ci chiedevano come stavamo. Noi eravamo molto preoccupati, certo, ma non riuscivamo a capire perché quelli fuori non si preoccupassero altrettanto per se stessi: viviamo in paesini, certo, ma tutt’altro che isolati, siamo al centro dell’attiva e produttiva Pianura Padana, centinaia di persone del Basso Lodigiano lavorano o studiano nelle province limitrofe. Si andava lontano da casa per assistere a eventi sportivi, per andare al cinema, per fare compere, per le vacanze o per ricongiungersi con i propri familiari. Non poteva essere solo un problema nostro. E oggi? Oggi, due mesi dopo, siamo ancora qui, questa volta tutti insieme, chiusi in casa.

Due mesi fa, il 21 febbraio, eravamo spaventatissimi ma fiduciosi: sembrava che ci saremmo dovuti sacrificare noi per il resto d’Italia, chiuderci in casa solo per un paio di settimane. E poi, se tutti avessero osservato le disposizioni, saremmo potuti tornare alla normalità. E invece… il 21 aprile ci ritroviamo meno spaventati, sì, perché i dati ci dicono che i contagi sono calati drasticamente (siamo sempre vicinissimi allo zero); ma anche meno fiduciosi. La normalità non è ancora dietro l’angolo e comunque sarà una normalità diversa. Certo non viviamo più un isolamento totale, come all’inizio. Progressivamente ho visto molti dei miei vicini uscire presto la mattina per andare a lavorare; alcuni negozi del paese riaprire, solo per le consegne a domicilio; e poi la capacità e la volontà di chi è stato costretto ad adattarsi alla nuova situazione per non fermarsi (le video lezioni delle palestre chiuse al pubblico, le prestazioni fornite da numerosi professionisti grazie al web).

Ma le scuole sono chiuse e non sappiamo ancora quando riapriranno. Si esce di casa esclusivamente per le urgenze, con autocertificazione. Non vediamo, se non in video chat, tutti i nostri affetti più cari. E poi ci sono i nostri bambini. Che avrebbero davvero tanto bisogno di uscire, correre, giocare con i loro amichetti. E invece, già alla scuola materna, si accontentano una volta alla settimana della video chat organizzata dalle maestre con i compagni di classe. Rivedersi, comunque, è sempre emozionante. Se all’inizio per loro stare sempre a casa con mamma e papà era semplicemente fantastico, adesso con maggior frequenza mi chiedono: “Ma quando va via il virus?”, “Quando posso invitare a casa mia i miei amici?”. Con una crescente angoscia vedo sui social che vengono pubblicizzate sempre di più le mascherine per bambini… Colorate, lavabili. L’idea che il futuro dei miei figli sia con la mascherina mi manda fuori di testa.

Del resto, nella classifica degli annunci alla cittadinanza più attesi da noi adulti, al primo posto ci sono i comunicati del sindaco su date e orari della distribuzione ai cittadini delle mascherine. Devo dire che abbiamo fatto passi da gigante: se le prime volte bisognava fare lunghe file presso il centro operativo della protezione civile di Casalpusterlengo, ora la distribuzione avviene per quartiere, in modo da creare meno assembramenti possibili. L’esperienza ci ha insegnato tante cose, soprattutto ha sensibilizzato il nostro senso civico. La maggior parte delle persone non si lamenta per i cambiamenti che rendono più scomodi la nostra quotidianità: anzi, apprezza quando si fanno sforzi per tutelare la salute di tutti. I rari casi di individui che ancora mostrano insofferenza per le file fuori dai supermercati, che magari vorrebbero fare i furbi per velocizzare le lunghe attese, vengono subito rimessi in riga dal buonsenso della maggioranza.

Questi sono giorni importanti per la ex Zona Rossa, fortunatamente perché stanno iniziando i controlli sul plasma della popolazione del Basso Lodigiano. Mio marito, donatore Avis, oggi (martedì) va in ospedale a Codogno per il prelievo anticorpale. Devo dire che sono un po’ emozionata, agitata, a riguardo: a parte che un membro della nostra famiglia non fa un viaggio così lungo da due mesi (da Casale a Codogno, 3 km!). Ma il responso dell’esame sul suo plasma ci dirà se lui (e quindi con molta probabilità anche io e i miei figli) è stato contagiato dal Coronavirus. Se tutta la nostra famiglia ha avuto il Covid-19, senza saperlo: insomma, quanto siamo stati fortunati.

Dopo due mesi, qui a Casalpusterlengo, iniziano a circolare le proposte per la creazione di un monumento in memoria delle vittime del Coronavirus. Per non dimenticare. Forse è il segno che, nonostante tutte le incertezze sul futuro, nonostante le ferite per le gravi perdite brucino ancora tantissimo, ci stiamo preparando a pensare al dopo Coronavirus.

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Coronavirus, gli ispettori del ministero sul Trivulzio: “Inerzia dei vertici”. L’accusa alla Regione Lombardia: “Sulle Rsa si è mossa tardi”

Da una parte c’è stata “una certa inerzia” da parte dei vertici dell’Agenzia di tutela della salute (Ats) e del Pio Albergo Trivulzio, che “si sono attivati con consapevole ritardo“. Dall’altra, i ritardi sono imputabili anche alla Regione Lombardia che non ha “applicato in maniera tempestiva le misure” previste dal governo per tutelare gli ospiti delle residenze per anziani. Sono le accuse contenute nella relazione degli ispettori del ministero della Salute, riportata da Repubblica, su quanto accaduto al Pio Albergo Trivulzio di Milano. La Procura indaga sulla catena di scelte e responsabilità che ha portato i pazienti Covid nelle case di riposo della Lombardia, con tutto quello che questa mossa ha rappresentato in termini di contagio e numero delle vittime. Anche oggi, intanto, i carabinieri del Nas hanno effettuato ispezioni nelle residenze sanitarie assistenziali (Rsa) del Pavese e della Bergamasca.

Venerdì il governatore Attilio Fontana si è detto sereno per la maxi-inchiesta, perché “non abbiamo assolutamente sbagliato niente”. Il presidente della Regione più colpita dal coronavirus scarica le responsabilità sull’Ats e ha sottolineato che il provvedimento è stato preso “sulla base delle risultanze tecniche” e ha permesso di liberare “posti in ospedale“. È proprio questo l’errore che gli ispettori ministeriali imputano alla Regione, perché “le azioni di contenimento indicate dal ministero della Salute non sono state applicate in maniera tempestiva e hanno seguito un doppio binario a due velocità”, si legge nella relazione riportata da Repubblica. Mentre si tutelavano gli ospedali, nelle residenze per anziani “non sembra si sia creato un raccordo rapido e il massimo sforzo che sarebbe dovuto avvenire – sottolineano gli ispettori – anche per le caratteristiche di fragilità dei pazienti ricoverati”.

La relazione getta ombra però anche sull’operato dell’Ats e dello stesso Pio Albergo Trivulzio. “Pur consapevoli della fragilità dei pazienti e della necessità di proteggere loro e gli operatori sanitari, si sono attivati con considerevole ritardo“, recita la relazione. Che più nello specifico ricostruisce “l’inerzia dei vertici”, a partire da quella circolare ministeriale del 22 gennaio che dispone l’isolamento dei pazienti positivi in un’area dedicata e raccomanda la fornitura di dispositivi di protezione a tutti gli operatori sanitari. Secondo gli ispettori, passa un mese prima che queste disposizione vengano attuate, mentre “e attività ambulatoriali e i ricoveri sono stati sospesi solo il 13 marzo”. I ritardi che gli ispettori imputano ai vertici proseguono anche dopo questa data. Secondo la relazione riportata da Repubblica, le mascherine risultano distribuite solo il 24 marzo, quando arrivano i primi rifornimenti della Protezione civile.

Gli ispettori confermano quindi i ritardi, ma anche quella che loro ritengono una scelta grave compiuta dalla Regione Lombardia: lo spostamento dei malati Covid nelle strutture per anziani. A loro dire questa decisione ha violato le direttive nazionali: saranno le indagini della Procura a tentare di spiegare di chi sono le responsabilità e quanto questa scelta abbia contribuito a far esplodere la diffusione del coronavirus e aumentato il numero delle vittime.

Proseguono le indagini e proseguono anche le ispezioni dei Nas in Lombardia. L’Eco di Bergamo riporta delle visite dei carabinieri nelle Rsa bergamasche per “creare una lista di strutture da sottoporre eventualmente alla Procura“. Un’altra ispezione alla residenza per anziani “La Certosa di Pavia”, nella frazione Samperone del comune di Certosa (Pavia), dove dall’inizio dell’epidemia di Coronavirus si sono registrati 33 morti. La Rsa, gestita dal gruppo Korian (che fornisce assistenza ad altre 44 strutture in Italia), ha 120 posti letto. Attualmente sono ospitati 86 anziani e buona parte del personale è a casa in malattia, in attesa di poter effettuare il tampone per rientrare al lavoro. Il Giornale di Brescia riferisce invece di un incontro avvenuto tra il direttore di Ats Brescia, i Nas e i vertici della Procura che hanno aperto nove inchieste e che vogliono fare luce sui decessi nelle Rsa: in Provincia sono 168 le morti accertate Covid e più di 500 complessivamente.

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Coronavirus, ecco come chiedere la sospensione del mutuo e accedere al fondo di solidarietà

di Vittorio Buonaguidi *

Lo stato di emergenza innescato dall’epidemia del Coronavirus ha stimolato come noto a tutti l’introduzione di numerose misure urgenti a partire dal 23 febbraio 2020. Per semplificare la ricorrente produzione normativa di questi giorni, illustriamo in maniera accessibile in stile domanda e risposta le misure del governo in favore di chi ha un mutuo in essere, con specifico riferimento alla possibilità di sospenderlo e di accedere al cosiddetto “fondo di solidarietà”.

Di cosa si tratta?

Al ricorrere di specifiche condizioni, il mutuatario può richiedere la sospensione del pagamento delle rate. Durante la sospensione, il 50% degli interessi maturati sarà corrisposto alla banca da un apposito fondo di solidarietà già istituito con la L. 244/2007. La domanda di sospensione deve essere presentata dal cliente alla propria banca.

Quali condizioni devono sussistere per poter accedere ai benefici?

Il mutuo deve riguardare l’acquisto di un’abitazione principale; l’importo non deve essere superiore ad euro 250.000,00 e il mutuo deve essere in ammortamento da almeno un anno al momento della presentazione della domanda.

L’immobile non deve rientrare nelle categorie catastali A1 (abitazione di tipo signorile, caratterizzate da particolari rifiniture pregiate anche a carattere storico), A8 (abitazioni in villa con rifiniture di alto livello con grandi giardini o parchi a servizio esclusivo) e A9 (Castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici).

Quali eventi devono verificarsi affinché la sospensione sia accolta?

Cessazione del rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato; morte, sopravvenienza di un handicap grave o di un’invalidità pari almeno all’80%; sospensione dal lavoro per almeno 30 giorni lavorativi consecutivi (ipotesi di lavoro subordinato); riduzione dell’orario di lavoro per un periodo di almeno 30 giorni lavorativi consecutivi, corrispondente ad una riduzione almeno pari al 20% dell’orario complessivo (ipotesi di lavoro subordinato).

Per i lavoratori autonomi e liberi professionisti, prima esclusi dai benefici della L. 244/2007, il D.L. 18/2020 ha stabilito che è consentito l’accesso al fondo fino ai 9 mesi successivi all’entrata in vigore del decreto (17 marzo 2020).

Per queste categorie di lavoratori, lo specifico evento elevato a condizione per la domanda di sospensione e per l’accesso al fondo è un’autocertificazione che attesti un calo del proprio fatturato, in un trimestre successivo al 21 febbraio 2020 ovvero nel minor lasso di tempo intercorrente tra la data della domanda e la predetta data, superiore al 33% del fatturato dell’ultimo trimestre 2019, in conseguenza della chiusura o della restrizione della propria attività operata in attuazione delle disposizioni adottate dall’autorità competente per l’emergenza coronavirus.

Come dimostrano i lavoratori subordinati l’effettiva riduzione o sospensione?

Allegando alla domanda di sospensione, alternativamente:

– una copia del provvedimento amministrativo di autorizzazione dei trattamenti di sostegno del reddito;

– la richiesta del datore di lavoro di ammissione al beneficio;

– la dichiarazione del datore di lavoro che attesti la sospensione e/o la riduzione dell’orario di lavoro.

Quante volte e per quanto tempo può essere domandata la sospensione?

Normalmente può essere domandata per non più di due volte e per un periodo complessivo non superiore a 18 mesi.
Tuttavia, per le particolari ipotesi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa (ipotesi di lavoro subordinato), il beneficio potrà essere concesso per: 6 mesi complessivi se il periodo di sospensione del lavoro o di riduzione dell’orario è compreso tra 30 e 150 giorni lavorativi consecutivi; 12 mesi, se è compreso tra 151 e 302 giorni lavorativi consecutivi; 18 mesi, se ha una durata superiore a 303 giorni lavorativi consecutivi.

La sospensione è azionabile anche se il mutuo è cointestato?

In caso di mutuo cointestato, il beneficio opererà anche se l’evento grave investe uno solo dei mutuatari.

Può la situazione economica del mutuatario influire sull’esito della domanda?

Il D.L. 18/2020 ha reso del tutto ininfluente il precedente limite pari a euro 30.000 riferibile all’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (Isee).

Chi non può beneficiare della sospensione delle rate e del fondo di solidarietà?

Il mutuatario che abbia maturato un ritardo di pagamento superiore a 90 giorni consecutivi al momento della presentazione della domanda o che abbia ricevuto dalla banca una richiesta di pagamento di tutte le rate scadute e a scadere (decadenza dal beneficio del termine) o che abbia ricevuto un atto di precetto (atto propedeutico al pignoramento) o che abbia subito un’esecuzione forzata sull’immobile oggetto del mutuo; chi abbia contratto un mutuo con agevolazioni pubbliche, ad esempio il Fondo di garanzia per la prima casa, istituito con L. 147/2013, rivolto a giovani coppie o nuclei familiari monogenitoriali con figli minori conduttori di alloggi di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari, nonché a giovani di età inferiore ai 35 anni titolari di un rapporto di lavoro atipico di cui all’articolo 1 della legge 28 giugno 2012, n. 92; chi abbia stipulato un’assicurazione a copertura (anche) delle rate oggetto di sospensione); il mutuatario il cui mutuo sia in ammortamento da meno di un anno al momento della presentazione della domanda.

Come e a chi presentare la domanda?

La domanda, da compilare su apposito modulo messo a disposizione dal Mef o nel comunicato Abi del 30 marzo 2020, dovrà essere presentata alla propria banca.

* Sono un avvocato con significativa esperienza nel settore del Diritto Bancario, Finanziario e della Crisi di Impresa. Nel corso degli anni mi sono occupato di numerosi casi nell’ambito del rapporto contrattuale Banca-Cliente. Mi sono occupato di Crisi di Impresa e di ristrutturazione del debito, tutelando sia aziende che persone fisiche. Negli ultimi anni ho aggiunto una ulteriore competenza specializzata nel settore del Distressed Immobiliare. Redattore per Il Sole 24 Ore, Il Fatto Quotidiano e Centro Anomalie Bancarie. Componente del Comitato Scientifico CEPI (Confederazione Europea Piccole Imprese). Componente del Comitato Scientifico Fondazione School University. Già cultore e co-docente presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano) e l’UNIBS di Brescia Facoltà di Scienze Giuridiche.

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Sono le Venti (Nove), dalla ripartenza della Germania all’intervista al presidente della Regione Marche: rivedi la puntata

Rivedi l’ultima puntata di Sono le Venti, la nuova trasmissione di informazione condotta da Peter Gomez sul Nove.

SONO LE VENTI, il nuovo programma di Peter Gomez, è prodotto da Loft Produzioni per Discovery Italia e sarà disponibile anche su Dplay (sul sito www.it.dplay.com – o scarica l’app su App Store o Google Play) e su sito www.iloft.it e app di Loft. Nove è visibile al canale 9 del Digitale Terrestre, su Sky Canale 149 e Tivùsat Canale 9.

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One World Together, il megaconcerto organizzato da Lady Gaga: come vederlo in tv e sui social e tutti i cantanti che partecipano

Domenica 19 aprile, in diretta dall’1.45 di notte su Rai1 e Rai Radio 2, Ema Stokholma e Fabio Canino condurranno per l’Italia la cronaca di “One World Together At Home”, il megaconcerto benefico organizzato da Lady Gaga insieme a Global Citizen per sostenere l’Organizzazione Mondiale della Sanità nella lotta al coronavirus. L’evento vedrà in onda dalle proprie case, alcune delle più grandi star della musica mondiale. Oltre a Lady Gaga ci saranno Elton John, Lizzo, Billie Eilish, Billie Joe Armstrong dei Green Day, Alanis Morissette, Chris Martin, David Beckham, Eddie Vedder, Idris Elba, John Legend, Keith Urban, Kerry Washington, Lang Lang, Paul McCartney, Priyanka Chopra Jonas, Stevie Wonder, Taylor Swift, Shawn Mendes, Camila Cabello, Céline Dion, Jennifer Lopez, Sam Smith. Per l’Italia, Zucchero e Andrea Bocelli. I telespettatori , inoltre, potranno interagire in diretta con loro attraverso i social.

Il megaconcerto verrà trasmesso in diretta in tutto il mondo da diverse emittenti e piattaforme: Abc, Cbs, Nbc, Bbc Music, Mtv, Prime Video, Youtube, Twitter, Facebook, Raiplay e tante altre. Presentatori della serata, per il pubblico anglofono, con il compito di passare la linea da un artista all’altro, saranno Jimmy Fallon, Jimmy Kimmel e Stephen Colbert. Non è una semplice maratona televisiva ma un evento mondiale unico nel suo genere realizzato per celebrare l’impegno eroico degli operatori sanitari e sostenere l’Organizzazione Mondiale della Sanità nella lotta contro il Covid-19. Lo speciale proporrà storie di medici e infermieri in prima linea, racconterà l’impegno di governi e aziende per equipaggiare gli operatori sanitari di tutto il mondo, con maschere, abiti e altre vitali attrezzature di protezione e lo sforzo delle associazioni di beneficienza per fornire cibo, alloggio e assistenza sanitaria a chi ne ha più bisogno.

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Sono le Venti (Nove), tutte le giravolte della Regione Lombardia: dalle misure più stringenti di quelle del governo alla corsa alla riapertura

Prima la scelta di chiudere tutto, anche di più rispetto alle direttive del governo, poi la corsa per riaprire “il 4 maggio”. A Sono le Venti, il programma di Peter Gomez in onda sul Nove, il servizio sulle “giravolte” della Regione Lombardia.

SONO LE VENTI, il nuovo programma di Peter Gomez, è prodotto da Loft Produzioni per Discovery Italia e sarà disponibile anche su Dplay (sul sito www.it.dplay.com – o scarica l’app su App Store o Google Play) e su sito www.iloft.it e app di Loft. Nove è visibile al canale 9 del Digitale Terrestre, su Sky Canale 149 e Tivùsat Canale 9.

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Coronavirus, Azzolina: “Troppo rischioso tornare a scuola. Pagelle vere, anche con i 5. Maturità? Auspicabile l’esame a scuola”

A scuola, per ora, non si torna: la decisione ufficiale, spiega la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina in un’intervista sul Corriere della Sera , verrà presa “a giorni” dal governo ma “con l’attuale situazione sanitaria ogni giorno che passa allontana la possibilità di riaprire a maggio“. Troppo rischioso nello scenario attuale, dunque, perché “significherebbe far muovere ogni giorno oltre 8 milioni di studenti”.

La data spartiacque era stata fissata per il 18 maggio: in base a la situazione di quel momento, sarebbe cambiato lo scenario per i maturandi. L’ipotesi più concreta, quindi, è che sia un esame solo orale: un esame in classe, in “presenza” per adesso è “auspicabile” ma non è ancora una certezza “Escludo l’ipotesi mista – aggiunge – studenti a scuola e professori a casa”. Per gli studenti di tutte le altre classi la promozione è assicurata, ma “con pagelle vere: se lo studente merita 8 avrà 8, se merita 5 avrà 5“. Niente 6 politico quindi, e a settembre si lavorerà per recuperare le insufficienze.

“La didattica a distanza ci ha permesso di mettere in sicurezza l’anno che altrimenti sarebbe andato perso. Alla fine tutti avranno un voto. Chi risulta insufficiente recupererà il prossimo anno con attività individualizzate”, dice ancora al Corriere. Se, come sembra ormai certo, non si tornerà a scuola a maggio per le famiglie ci sarà un aiuto con “un’estensione del congedo parentale e del bonus baby-sitter”. Impossibile invece prolungare le lezioni ai mesi estivi: “La scuola ha chiuso ma non si è mai fermata. Significherebbe non riconoscere il lavoro di queste settimane. E l’Italia ha già uno dei calendari più lunghi d’Europa”.

Si lavora quindi per settembre: un’ipotesi per evitare l’affollamento delle ‘classi-pollaio’ era di fare doppi turni, ma la ministra la esclude: “Sono contraria all’idea di raddoppiare l’orario del personale scolastico. Smettiamo di pensare che un docente lavori solo 18, 24 o 25 ore alla settimana”. Possibile invece una combinazione di lezioni fisiche e online. “Se sarà necessaria la didattica a distanza – precisa – ci faremo trovare pronti. Oltre ai fondi già stanziati arriveranno presto altri 80 milioni”. E aggiunge: “Non mi piace l’idea di studenti con la mascherina a scuola”.

La ripartenza sarà gestita da una commissione guidata da Patrizio Bianchi. Lavoriamo per la riapertura ma anche per la scuola che dovrà nascere da questa emergenza. Serve un grande progetto di innovazione”. A settembre “dedicheremo le prime settimane al lavoro per chi è rimasto indietro o ha avuto insufficienze. Ma non abbiamo stabilito le date, lo faremo insieme alle Regioni”. Per i professori necessari in cattedra a settembre: “I concorsi si faranno. È l’unico modo per poter assumere a settembre. Quello straordinario per 24mila precari si svolgerà appena le condizioni lo permetteranno. I docenti casomai saranno assunti dal primo settembre”.

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Coronavirus, il direttore dell’Oms: “Ecco le indicazioni che devono seguire i Paesi se vogliono allentare le misure restrittive”

“Ogni governo deve valutare la propria situazione”, ha detto Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore dell’Oms, “tutelando al contempo tutti i cittadini, soprattutto i più vulnerabili”. Chi sta valutando la possibilità di togliere le restrizioni dovrà valutare sei criteri fondamentali: per prima cosa la trasmissione deve essere sotto controllo. Le capacità del sistema sanitario devono essere in grado di rilevare, testare, isolare e trattare ogni caso di nuovo coronavirus e rintracciare ogni contatto. I rischi di epidemia, inoltre, devono essere sono ridotti al minimo in contesti come strutture sanitarie e case di cura. Devono essere adottate misure preventive nei luoghi di lavoro, nelle scuole e in altri luoghi dove le persone devono recarsi. Infine, è necessario che i rischi di importazione siano gestibili e che le comunità siano consapevoli, impegnate e pronte ad adeguarsi alle “nuove norme”.

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Coronavirus, oltre 2 milioni di casi nel mondo. Trump taglia fondi all’Oms: “Ha fallito”. La replica dell’Onu: “Non è questo il momento”. Critiche anche da Russia e Cina: “Approccio egoistico, li ripristini”

I casi di coronavirus nel mondo hanno superato i due milioni. Solo negli Stati Uniti sono più di 609 mila, con 26mila morti, 2375 nelle ultime ventiquattr’ore. Alla luce di questi dati, il presidente Donald Trump ha annunciato che sospenderà i fondi all’Organizzazione mondiale della Sanità, accusandola di aver “portato avanti la disinformazione della Cina riguardo al coronavirus” di aver “sottovalutato la portata dell’epidemia”. Una decisione condivisa anche dal segretario di Stato, Mike Pompeo. La mossa del presidente americano era attesa, e la sospensione sarà valida per un periodo tra i 60 ed i 90 giorni ma non è ancora chiaro se gli Stati Uniti se fisseranno condizioni per la ripresa dei versamenti all’organizzazione internazionale concentrata nella lotta alla pandemia.

Le reazioni internazionali – All’annuncio del presidente Usa ha fatto subito seguito la replica del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres che ha fatto sapere che “non è questo il momento di smettere di sostenere l’Oms, organo assolutamente fondamentale” per lo sforzo globale di combattere il Covid-19. Guterres ha affermato che è possibile che enti diversi leggano i fatti in modo diverso, ma che il momento opportuno per una revisione sarà “una volta che abbiamo finalmente voltato pagina su questa pandemia. Ma ora non è quel momento”, ha aggiunto, sottolineando che non è il momento di ridurre le risorse per le operazioni dell’Oms o di qualsiasi altro gruppo umanitario che sta lavorando per combattere il virus. Contro la decisione di Trump si è scagliata anche Mosca, che l’ha definita un segno dell’approccio egoistico di Washington nella lotta contro il coronavirus: “Consideriamo molto allarmante la dichiarazione di Washington di ieri sulla sospensione dei finanziamenti all’Oms”, ha detto. “Questo è il segno di un approccio egoista delle autorità statunitensi a ciò che sta accadendo nel mondo nel pieno della pandemia”, ha dichiarato alla Tass il vice ministro degli Esteri russo Serghei Ryabkov. Dalla Cina è arrivato invece un monito “ad adempiere ai doveri” verso l’Organizzazione mondiale della sanità: Bloccando i fondi all’Oms, gli Usa mineranno la capacità d’azione dell’Oms e la cooperazione globale nella lotta al Covid-19. Tutti i Paesi, inclusi gli Usa, ne saranno di conseguenza colpiti”, ha detto in conferenza stampa il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian. E Bill Gates ha lanciato l’allarme: “Lo stop dei finanziamenti durante una crisi sanitaria mondiale è pericoloso come sembra. Il loro lavoro sta rallentando la diffusione del Covid-19 e se tale lavoro verrà interrotto nessun’altra organizzazione potrà sostituirli. Il mondo ha bisogno dell’Oms ora più che mai”, ha scritto il fondatore di Microsoft su Twitter.

Le motivazioni di Trump –Non siamo stati trattati in modo giusto“, ha detto ancora, nella conferenza stampa alla Casa Bianca la notte scorsa, Trump che addossa all’Oms la responsabilità di aver sottostimato la portata del coronavirus all’inizio inducendo quindi la sua iniziale sottovalutazione del pericolo per gli Stati Uniti che è diventato il Paese con il maggior numero di contagi e vittime. Lo stato più colpito è quello di New York, con 10.834 decessi, secondo quanto ha reso noto ieri il governatore Andrew Cuomo. “Si sarebbe potuto contenere l’epidemia all’origine come molte poche vittime – ha detto ancora Trump puntando il dito contro l’Oms – questo avrebbe salvato migliaia di vite ed evitato danni economici in tutto il mondo. Il mondo ha scelto di affidarsi all’Oms per informazioni accurate, tempestive ed indipendenti per fare importanti raccomandazioni e prendere decisioni sulla salute pubblica – ha detto ancora il presidente Usa – se non ci possiamo fidare del fatto che questo è quello che otteniamo dall’Oms, il nostra Paese dovrà essere costretto a trovare altri modi di lavorare con le altre nazioni per questi obiettivi”. I repubblicani al Congresso ora chiederanno all’Oms i documenti delle sue relazioni con Pechino per avviare un’inchiesta. L’obiettivo principale è l’attuale leadership dell’organizzazione internazionale e ieri Trump si è fermato un attimo prima di chiedere le dimissioni del direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, che sono state chieste da molti esponenti repubblicani suoi alleati. Gli Stati Uniti sono il principale finanziatore dell’organismo dell’Onu che ha sede a Ginevra, sia attraverso i versamenti obbligatori che con più consistenti contribuiti volontari per finanziare progetti specifici o risposte a crisi sanitarie. Dal dipartimento di Stato fanno sapere che gli Usa attualmente sono impegnati a versare 893 milioni di dollari in un periodo di due anni. In realtà, anche prima della polemica per il coronavirus, l’amministrazione Trump aveva in passato tentato di tagliare i fondi all’Oms, ma il Congresso ha sempre ignorato la richiesta mantenendo da anni sui 400 milioni di dollari, o di più, i fondi stanziati per l’organismo sanitario.

I dati nel mondo – I casi di coronavirus a livello mondiale hanno superato la soglia dei due milioni: è quanto emerge dal conteggio aggiornato del sito worldometers (Dadax), che partecipa al Progetto Real Time Statistics gestito da un team di ricercatori e sviluppatori internazionale. Nel complesso, i casi sono ora a quota 2.000.743, mentre il numero dei decessi è salito a 126.776 e quello delle persone guarite a 484.781. La Russia supera i 24mila contagi con il record di casi in 24 ore (oltre 3380) e si attrezza per allestire altri 21mila posti letto a Mosca nei prossimi dieci giorni. Boom di contagi a Singapore: ieri 386 nuovi casi, oggi altri 334 nuovi, per un totale di 3.252, inclusi 10 decessi. Gli scenari nella città-stato sono tornati a essere critici negli ultimi giorni dopo un lungo periodo di stabilizzazione del contagio, considerato tra i più riusciti con Hong Kong e Taiwan.

I dati in Europa – In Europa sono oltre 1 milione i contagi, secondo un conteggio dell’Afp. Si tratta della metà dei casi registrati in tutto il mondo. Preoccupa la Francia, che registra il suo record negativo: 762 decessi nelle ultime 24 ore. Sale così a 15.729 il totale delle vittime, mentre i casi confermati sono arrivati a 103.573. In Spagna torna a salire il numero dei morti: 567 i decessi nelle ultime 24 ore, rispetto ai 517 confermati ieri e le vittime in tutto sono 18.056. I casi confermati sono 172.541, 3.045 dei quali nelle ultime 24 ore. In Svezia, che finora non ha deciso nessuna misura di lockdown e dove il premier socialdemocratico Stefan Lofven l’11 aprile ha ammesso per la prima volta di “non avere fatto abbastanza”, 1.033 persone, di cui 594 uomini e 439 donne, sono morte.

Cina – “Sono cessate le attività” dell’ospedale da campo allestito in dieci giorni nella città di Wuhan, epicentro dell’epidemia di coronavirus. Gli ultimi quattro pazienti, scrive il China Daily, “sono risultati negativi ai test per il coronavirus, ma sono in condizioni gravi a causa di altre patologie e ieri sono stati trasferiti all’Ospedale Zhongnan dell’Università di Wuhan”. La chiusura dell’ospedale, inaugurato l’8 febbraio con 1.500 posti letto, è uno sviluppo importante nella lunga battaglia della città cinese focolaio del virus contro il Covid-19. Oggi nella provincia di Hubei, dove si trova Wuhan, un’altra persona è morta a causa della pandemia di coronavirus, ma le autorità locali non hanno segnalato nuovi casi. I dati ufficiali parlano di 3.342 morti con coronavirus nel gigante asiatico.

Russia – 3.388 nuovi casi in un giorno, un nuovo preoccupante record per il Paese. I dati ufficiali riportati stamani dall’agenzia Tass parlano ormai di un totale di 24.490 casi in 84 regioni. Ieri erano stati segnalati 2.774 nuovi casi. In Russia sono 198 i morti con coronavirus, dopo che nelle ultime 24 si sono registrati altri 28 decessi, e 1.986 le persone guarite dopo aver contratto l’infezione.

Danimarca – Dopo un mese di chiusura per l’emergenza coronavirus, oggi riaprono nidi, scuole materne ed elementari. La decisione di far ritornare a scuola circa 10mila bambini è stata presa per aiutare le famiglie che in queste settimane hanno dovuto prendersi cura dei figli continuando ad andare al lavoro.
Alle scuole è stato chiesto di rispettare certe regole, compresa quella di mantenere le distanze tra i bambini. Ed alcuni istituti non riapriranno fino al prossimo lunedì per poter approntare le misure. La riapertura delle scuole è il primo passo del governo che ha agito velocemente di fronte alla pandemia chiudendo i confini il 14 marzo, dopo aver registrato i primi casi. Rimarrà in vigore fino almeno il 10 maggio la chiusura per ristoranti, caffè, bar ed altri luoghi di ritrovo.

L’articolo Coronavirus, oltre 2 milioni di casi nel mondo. Trump taglia fondi all’Oms: “Ha fallito”. La replica dell’Onu: “Non è questo il momento”. Critiche anche da Russia e Cina: “Approccio egoistico, li ripristini” proviene da Il Fatto Quotidiano.

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Università, al ministro e ai rettori: i docenti non sono ‘droni’ della didattica. Le lezioni online sono una pallida alternativa

In forma di lettera aperta.

Illustre ministro, cari colleghi rettori,
in questi giorni, così amaramente difficili, abbiamo letto mirabilie sul nostro sistema universitario. Abbiamo letto che “l’Università regge”, che “nessun giovane perderà tempo”, abbiamo letto dell’eccellenza della ricerca medica, tirata in ballo non per la sua strenua rincorsa, ma per sostenere come la lotta al virus potesse contare su armi eccezionali.

Insomma, abbiamo ascoltato una interpretazione tutta tesa a descrivere la straordinaria capacità universitaria di far fronte a una sfida perfettamente affrontabile. Non abbiamo sentito nulla sulla realtà rocambolesca di questi sforzi, né tantomeno sulle difficoltà croniche di finanziamento e di funzionamento che tenevano già in grave tensione il sistema universitario (come, del resto, il sistema sanitario).

Un singolare approccio trionfalistico.

Tuttavia, siamo anche noi orgogliosi. Nel senso che sentiamo gratitudine perché se l’ “Università regge” (se cerca comunque di reggere) ciò dipende soprattutto dalla dedizione, dal lavoro e anche da una generosa improvvisazione di chi negli Atenei lavora, a tutti i livelli, anche in condizioni estreme. E continua a lavorare, con motivazione profonda, pur vedendo da molti anni il sistema “picconato” da ogni lato, sommerso da procedure burocratiche sempre più assurde che provano in ogni modo a distoglierlo dalle sue funzioni: ricerca, didattica, riferimento per la società. Ciò avviene perché le funzioni formative, didattiche e sociali sono radicate in modo profondo nelle persone che svolgono quel mestiere, nonostante ogni tentativo di recidere quelle radici.

Leggiamo anche che si starebbe pensando di usare questa drammatica emergenza come un volano. La grande “prova generale” per trasformare lo “stato di eccezione” in normalità. Si pianifica sin d’ora l’uso permanente di surrogati telematici al posto della didattica in presenza. Una comoda soluzione anche per la carenza d’aule e il rapporto numerico docente/studenti.

D’altro canto è una tentazione inarrestabile per un manovratore che si trova particolarmente libero dal vincolo di condivisione delle scelte: premere sull’acceleratore dei suoi piani, cogliendo nella crisi sanitaria un’opportunità (senza aver troppe mosche al naso). E poi, qualsiasi rettore sa bene che il personale universitario si mobilita raramente e spesso sembra un ventre molle, assuefatto a incassare ogni colpo, come un sacco da allenamento per boxeurs in quarantena…

Perché mai, quindi, non cogliere un’occasione? Perché mai non procedere (così come con la privatizzazione della sanità) verso un sistema nazionale con un numero sempre più ridotto di “hub” di riferimento, in competizione tra di loro per eliminarsi a vicenda?

Il tutto – che male c’è? – progettando di lasciare molte migliaia di studenti ancora a lungo (o per sempre?) incollati agli schermi del pc di casa 10 ore al giorno, satelliti connessi con reti traballanti ma sempre più sconnessi dalle relazioni sociali e dalla prossimità umana che caratterizza l’esperienza universitaria, magari avendo anche la protervia di presentare pubblicamente la cosa come una grandiosa e splendida novità, il progresso “in loro favore”.

Chiunque abbia avuto la fortuna di esercitare l’antica arte dell’insegnamento, del trasferimento di conoscenze ed esperienze, sa che la didattica a distanza è una pallida alternativa non in grado di restituire la pienezza di un’azione educativa e pedagogica. Ma quanti proclami ascolteremo ancora per indurci a scambiare un fantasioso sperimentalismo di mezzi con il nostro fine formativo?

Che sia in corso un tentativo per trasformare “l’emergenza in opportunità” di portare avanti la dissennata politica universitaria in atto da almeno un paio di decenni in questo Paese risulta plasticamente se si mette assieme questo acritico entusiasmo per la didattica a distanza con l’indefesso procedere organizzativo dell’Anvur nell’organizzazione dello stolido esercizio di valutazione della qualità della ricerca (VQR).

Attenzione: la VQR non è solo una valutazione del lavoro dei ricercatori/docenti; esso è anche – e soprattutto – un orientamento per la distribuzione delle risorse (posti e finanziamenti). E quindi perché mai un perverso, ottuso e disfunzionale meccanismo di distribuzione dei finanziamenti su un sistema sottofinanziato dovrebbe essere fermato? Perché mai levare le zavorre agli atenei nello tsunami? Suvvia, così si aumenta la selezione darwiniana!

Lo stolido blocco Anvur/Crui/Miur, non si smentisce neanche nella tragedia attuale; non senza provocarci genuino stupore, accompagnato a profonda irritazione.

Nominatosi interprete delle comunità universitarie (ovviamente senza consultarle per nulla, siamo nell’emergenza) persegue ancora la strada del rigore travestito da meritocrazia. Si cimenta con un certo godimento nell’obiettivo di modificare le modalità didattiche (perché, sapete, c’è l’emergenza); ma continua imperterrito i giochi competitivi valutativi (perché, sapete, l’emergenza per quello non conta).

Una emergenza da vedersi quindi in modo elastico: serve a imporre cambiamenti estremi, senza discussioni; oppure a mantenersi nel business as usual, senza discussioni. L’emergenza a geometria variabile, a seconda del tema e del momento.

A noi non piace questo uso perverso di una grave emergenza reale. Vogliamo che la si guardi in faccia e si osservi bene ciò che regge (con fatica) e ciò che non regge. Noi lo vediamo. Chi invece ha in mente di fare di questa storica emergenza sanitaria e sociale non una vera occasione di riflettere e ripensare le politiche accademiche, ma una occasione tattica per accelerare i progetti che erano già nel cassetto (ovviamente virtuale) si accorga per tempo della miseria di questa intenzione

Crediamo con forza nel fondamentale ruolo degli Atenei, nello sviluppo del territorio e nella formazione di cittadine e cittadini consapevoli e competenti. Con tante e tanti colleghi abbiamo fatto, facciamo e faremo l’impossibile per loro e per questi valori. Adesso a maggior ragione.

Chi ha in mente un’idea di docenti/ “droni” della didattica o della ricerca, buoni per esser pilotati a distanza verso singoli obiettivi, anziché docenti/interpreti attenti della realtà (che l’attuale realtà con forza ci richiede) non ha in mente l’Università (universi cives) che abbiamo in mente noi; e ci troverà, come dieci anni fa (29 aprile 2010), fermamente indisponibili.

Rete29Aprile

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