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Coronavirus, Lopalco: “Potremo andare in spiaggia, ma evitando gli assembramenti. Campionato di serie A? Difficile che riparta”

Riaperture graduali, ma solo se si possono garantire le distanze di sicurezza. È questa secondo Luigi Lopalco, epidemiologo dell’Università di Pisa e coordinatore scientifico della task force pugliese per l’emergenza coronavirus che ha parlato ai microfoni di 24 Mattino su Radio24, la linea da seguire per avviare la Fase 2 che consenta all’Italia di ripartire. E per salvare la stagione balneare dice: “In una situazione in cui turisti stranieri probabilmente non arriveranno e sarà limitato lo spostamento anche da regione a regione in Italia, se pensiamo a un turismo prettamente locale io credo che le spiagge potranno essere gestibili. L’importante è mantenere un po’ di distanza e non avere assembramenti. Poi speriamo che per questa estate la situazione epidemiologica si sia tranquillizzata, ci sarà probabilmente anche l’estate in sé a rallentare la corsa del virus e stare in casa non sarà più così stringente e consigliato”.

Se i dati degli ultimi giorni riguardanti la curva dei contagi sembrano essere incoraggianti, Lopalco vuole comunque specificare che questi non possono essere presi come unico metro per decidere eventuali riaperture: “Il bollettino quotidiano bisogna prenderlo per quello che è, un sistema di sorveglianza epidemiologica e in quanto tale non è un sistema completo – ha aggiunto – Deve dare l’idea dell’andamento dell’epidemia. Sapevamo dall’inizio che per ogni caso notificato ce ne sono probabilmente 3-4 non notificati. Potrebbero anche arrivare a 10 in una situazione grave come nel caso del picco della Lombardia, in cui non era oggettivamente possibile fare diagnostica a tutti”.

Il rischio, affidandosi esclusivamente a questi numeri, è quello di prendere decisioni che possono rivelarsi affrettate e controproducenti, come nel caso di alcuni Paesi. Tra questi, Lopalco cita la Francia, con il presidente Emmanuel Macron che lunedì ha annunciato il prolungamento del lockdown fino all’11 maggio, anticipando però che per quella data verranno riaperte le scuole: “Non abbiamo termini di paragone e non sappiamo cosa succederà una volta riaperte le scuole in piena fase epidemica, perché di questo stiamo parlando. In questo momento la Francia si trova in fase epidemica. I rischi sono due, per gli insegnanti e per la diffusione del virus da scuola a casa. Questi sono rischi oggettivi, poi come maneggiare questo rischio dipende dallo Stato e dalla struttura sanitaria. Come minimizzare questo rischio? Non è semplicissimo. Riducendo il numero di studenti in classe, aumentando i turni, scaglionando gli ingressi. Si tratta di ristrutturare completamente le procedure e i processi educativi”.

Sicuramente, dice l’epidemiologo, è da considerare impossibile la ripartenza del campionato di Serie A entro la fine dell’anno: “Sicuramente gli stadi non si possono riempire e su questo non si discute. I grossi assembramenti saranno gli ultimi a ripartire. Una partita di calcio a porte chiuse? Bisognerebbe comunque garantire la salute dei giocatori e di tutto lo staff che ruota intorno a loro, ma la vedo difficile”.

La principale speranza e obiettivo da perseguire rimane quello di scoprire un vaccino il prima possibile: “La sperimentazione di un vaccino è una scommessa – conclude – Avere un prototipo funzionante prodotto su piccola scala a settembre sarebbe un grosso passo avanti, se questo vaccino funziona, e così si può sperare che per l’inizio del prossimo anno si potrà avviare eventualmente una produzione su larga scala”.

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Coronavirus, serve collaborazione tra città ed entroterra. E la cultura può cambiare le regole del gioco

La crisi che sta portando il coronavirus ci ricorda quanto importante sia la collaborazione. Dobbiamo riprendere il concetto di comunità e investire sulle persone se vogliamo far crescere il benessere collettivo. La comunità è la base per creare ponti tra città ed entroterra. Abbandonare l’altro e lasciarlo annegare nei problemi porta solo scontri e guerre. Qualunque libro di storia potrebbe confermarlo. Creare, quindi, comunità nel nostro entroterra per sviluppare una reale sinergia con la città.

Dobbiamo dare vita a un processo di inclusione che distribuisca lavoro e benessere su tutto il territorio nazionale attraverso una decentralizzazione capace di dare forza a un nuovo progetto di vita in cui città e paesi, tecnologia e paesaggio vanno a braccetto e trovano sviluppo reciproco nella collaborazione. Dobbiamo investire in una convivenza basata su nuovi stili di vita e di produzione in cui tutto il territorio contribuisce al benessere collettivo e tutto il territorio va difeso e tutelato.

Si potrebbero migliorare i finanziamenti e i contributi a fondo perduto per le imprese agricole e per chi vuole aprire attività in campagna; snellire una assurda burocrazia che ignora ogni logica legata alla campagna; concedere terreni comunali abbandonati a famiglie che scelgono di occuparsene e vivere con ciò che producono e vendono; agevolare le aziende che decidono di creare sedi nell’entroterra piuttosto che nelle periferie urbane; non chiudere i piccoli ospedali nei paesi, come ci insegna il coronavirus; aumentare il numero di scuole nei piccoli centri o aumentare le navette che rendano più facile la vita agli studenti dell’entroterra; investire nell’offerta culturale attraverso biblioteche ed Ecomusei capaci di creare cultura, eventi e attrazione turistica in tutto l’arco dell’anno e non solo in estate.

Ma soprattutto bisognerebbe investire nella Formazione prendendo ad esempio l’Alto Adige: in Val d’Ultimo esiste la “Winterschule Ulten”, una scuola che recupera antichi lavori artigianali attraverso la valorizzazione di prodotti del territorio. Il risultato è che molti giovani hanno trovato lavoro grazie a questa scuola. Tanti ragazzi restano in valle lavorando, guadagnando e tenendo in ordine il paesaggio perché sanno che la loro sopravvivenza dipende da quanto rispetteranno la natura. In questo processo di maestria artigiana la tecnologia riveste un ruolo di primissimo piano aiutando a produrre meglio, con meno fatica e con un impatto diverso sugli ecosistemi.

Insomma, bisogna semplificare la vita a chi sceglie di vivere in montagna, in campagna o comunque in piccoli centri.
Dobbiamo creare le condizioni che possano aiutare i disoccupati di città a cercare lavoro in campagna perché ne avrebbe beneficio sia la loro vita, sia l’ecosistema. Se non rendiamo più accettabile la vita nell’entroterra nessuno mai abbandonerà la città dove è più facile trovare supermercati, farmacie, cinema e gente da incontrare per strada o al bar.

In questa interazione tra città e entroterra anche la cultura riveste la sua importanza, perché solo facendo passare il concetto che il paesaggio è uno straordinario patrimonio della nostra civiltà potremo rendere appetibile la vita in piccoli centri. Si pensi all’Unesco che, decretando i muretti a secco Patrimonio Immateriale dell’Umanità, restituisce rispetto e dignità alla maestria artigiana e al lavoro in campagna.

La cultura cambia le regole del gioco, ricordo un documentario sull’Ilva di Taranto in cui si vedevano degli ulivi pronti ad essere estirpati per far spazio alla cattedrale di acciaio e vetro dell’industria siderurgica. Ebbene, i testi che presentavano la campagna come “miseria”, come qualcosa di vecchio e da abbandonare, erano di Dino Buzzati e la voce che li leggeva era di Arnoldo Foà. Un grande scrittore e un grande attore per sradicare la gente dalla campagna e farne operai. Quegli operai che oggi patiscono mille e un problema. La cultura è stata e sarà sempre di primaria importanza nel far passare un concetto piuttosto che un altro.

Quindi si deve investire nel lavoro, nella sanità, nella scuola, nella formazione e nella cultura rendendo visibile, attraverso ogni canale, una alternativa di vita alla disoccupazione delle periferie urbane. Certo, nessuno si illude di invertire la rotta, ma offrire occasioni reali di lavoro ai disoccupati di città e salvaguardare il paesaggio è già un obiettivo straordinario. Collaborazione attiva tra città ed entroterra significa provare a nutrire un pianeta in cui l’ecosistema sta precipitando.

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Benvenuti a scuola nell’Anno Tre post coronavirus!

Come è gestita nelle vostre città l’emergenza Coronavirus? Come si comportano le autorità e i cittadini? E nelle vostre vite, c’è qualche aspetto positivo o inatteso nell’isolamento forzato? Abbiamo chiesto ai nostri Sostenitori di raccontarcelo, inviando testimonianze, osservazioni e spunti per la redazione al Blog Sostenitore. Mai come stavolta il contributo della nostra comunità è fondamentale: con il Paese in zona rossa, ogni segnalazione è importante. Abbiamo bisogno di voi. Sosteneteci: se non siete ancora iscritti, ecco come potete farlo.

di Antonio Deiara

Le mascherine di protezione venivano ancora indossate dai tredici alunni della quarta “M”, in quel caldo ottobre nell’Anno Tre Post Covid-19. Faceva impressione vedere altri tredici banchi vuoti, quasi irreali nello spazio non più conteso di fronte alla cattedra. Le lezioni, rigorosamente “in presenza”, si susseguivano ordinatamente nel silenzio e nella massima attenzione.

Anche l’Aula musica si presentava ricca di spazio, con la batteria collocata nel rispetto del distanziamento socio-strumentale, leggii e microfoni, chitarre e amplificatori, tastiere elettroniche e bassi elettrici collocati oltre il metro per ciascuna postazione. In Palestra cerchi confinanti, di diametro superiore a due metri, delimitavano lo spazio ginnico-sportivo, mentre strani contenitori di matite, pennarelli e tempere campeggiavano sui moderni banchi a losanga con le ruote, ben distribuiti nell’Aula di Arte.

Le cuffie con microfono spuntavano dagli zaini dei singoli alunni, affiancate ai “Quaderni e album del giorno” e al Kindle-Scuola pesante appena qualche etto, che celava al proprio interno tutti i libri di testo in formato digitale. L’Aula di Lingue ricordava le postazioni delle centraliniste di una vecchia trasmissione televisiva, Portobello: tra una postazione e l’altra un alto “scudo” di plastica trasparente proteggeva i singoli alunni e i docenti.

Le lezioni si frequentavano la mattina, con ore da cinquanta minuti che imprimevano ritmo all’apprendimento; di pomeriggio si curavano lo studio e le “AE (Attività Elettive)”, Sport, Musica, Arte, Teatro, Giornalismo, etc. Non si sprecava neppure un minuto: chi osava disturbare la lezione veniva immediatamente allontanato dalla Scuola e affidato nuovamente ai genitori. Questi ultimi dovevano pagare una multa per “Culpa in educando”, che raddoppiava progressivamente, a partire da 100 euro, con la seguente motivazione: “Allontanamento didattico temporaneo per interruzione di pubblico servizio”.

Erano sparite le bocciature: lo studente che non raggiungeva un livello di preparazione almeno sufficiente, era obbligato a frequentare “Corsi di pronto soccorso didattico” pagati dalla famiglia d’origine; il costo di un “CPSD” ammontava a 1.000 euro per materia.
I nuovi docenti, dopo aver superato un concorso, venivano preparati attraverso la frequenza post-laurea di un “CDT (Corso di Didattica con Tirocinio)” di durata annuale, nel quale insegnavano maestre e maestri, professoresse e professori “anziani”, tutte e tutti di chiara fama (con 30 anni di servizio e pubblicazioni a carattere didattico), suddivisi per ordine di Scuola.

Il precariato ormai non esisteva più: la programmazione dei “CDT” risultava raccordata con il “Piano pluriennale dei pensionamenti (PPP)”. Gli insegnanti di Sostegno si specializzavano col “TFAS (Tirocinio Formativo Attivo per il Sostegno)” annuale post-concorso, in numero pari alle cattedre. I Presidi c’erano ancora e dirigevano un “SP (Staff di Presidenza)”, formato da insegnanti in semi-esonero o in esonero totale, che si occupava di diversi aspetti della vita scolastica di ciascun istituto. La storica “Bidella Candida” dello Zecchino d’Oro si era trasformata in “CEVIP (Collaboratrice educativa per la vigilanza e la pulizia)”, mentre la Segreteria aveva assunto l’aspetto di Cape Canaveral: super-computer e zero carta.

Il ministro della Pubblica Istruzione appariva raggiante, nella Conferenza Stampa del 12 ottobre: “Ringrazio la Scuola Pubblica della Repubblica Italiana per l’eccellente lavoro svolto in questo avvio dell’Anno Terzo Post Covid-19. Abbiamo realizzato un possente investimento nell’Istruzione, pari a quello riservato alla Sanità Pubblica. Il futuro del nostro Paese poggia su solide basi: le potenzialità, lo studio e l’entusiasmo delle nostre studentesse e dei nostri studenti!”.

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Eroi, guerre, catastrofi e #andràtuttobene: come se la passano le parole durante il Carogna-virus

Come si stanno comportando le parole nel tempo del Carogna-Virus?

A guardare (e a leggere) anche superficialmente, ciò che salta all’occhio (e all’orecchio) è che certe parole, certe espressioni, stanno dilagando, alcune parole, determinate metafore ne scacciano altre, mentre ce ne sono che sembrano svanite.

Per esempio, c’è qualcosa di intimamente perverso e vergognoso nel paragonare il tentativo di fermare la pandemia e di salvare più vite umane possibile a una guerra. Che è l’esatto opposto di questo. Come facevamo prima, chiamando le guerre ‘missioni di pace’. Anzi addirittura peggio.

Un medico e un soldato non hanno nulla in comune: uno sta lì per salvare vite, l’altro per annientarle. Dunque chi metaforizza così sta, probabilmente, usando il linguaggio per mascherare la verità, per nascondere a tutti ciò che in realtà sta avvenendo.

In cosa ci guadagna la nostra comprensione di ciò che sta accadendo se, invece di concentrarci sul fatto che il nostro è, prima di tutto, un problema sociale, politico, medico, immaginiamo di essere al centro di una guerra, con soldati al fronte che sterminano il nostro supposto nemico (che sarebbero i bis-miliardi di Carogna-Virus che sono in giro)? Un surplus d’odio nelle nostre giornate recluse?

Certo odiare qualcosa o qualcuno ci aiuta, orwellianamente, a gestire le nostre rabbie e soprattutto le nostre desolazioni e il senso d’impotenza che ne deriva, ma difficilmente aiuta a risolvere i problemi, anzi tende ad aggravarli.

Chi la gestirà, tutta questa rabbia contro il ‘nemico invisibile’, se per caso dietro l’angolo ci aspettasse una Bio-Caporetto?

Definire la decisione di investire enormi capitali in welfare come ‘un’enorme potenza di fuoco’, non rischia di solleticare la pancia di ogni stolto sovranismo, quando invece potrebbe essere indicata meglio facendo riferimento a ben altro, che so? Alla ‘social catena’ leopardiana?

Una guerra è, in buona misura, un evento volontario, una scelta che si dichiara. A chi dovrei arrendermi, visto che sarei in guerra, se volessi alzare bandiera bianca di fronte al Carogna-Virus?

Immagino che tutto questo stia là per impedirci di vedere che l’unica guerra che qui si sta combattendo è quella dell’ultraliberismo capitalista contro se stesso e soprattutto contro di noi, nella pretesa ‘stupida e sciocca’ di continuare a imporci stili di vita dissennati con alla base solo la voracità violenta del profitto. Un’operazione, per stare al linguaggio militare, di ‘disguised flag’. La metafora, errata e tendenziosa, distraente, sta lì apposta per illuderci, mentendo, che la fine del capitalismo sia anche, necessariamente, la fine del mondo, di ogni società.

Una parola di cui invece si sono perse le tracce, anche se mi sarei aspettato di sentirla risuonare e di doverla leggere a ogni pie’ sospinto, è la parola ‘catastrofe’.

Tutti, quando non utilizzano la metafora in mimetica, parlano innanzitutto di crisi, di emergenza, al limite di tragedia, ma non di catastrofe.

Ora a stare al significato proprio di queste parole, una crisi è un punto di svolta, che può creare un’emergenza e finire addirittura in una tragedia.

Ma la crisi resta, sostanzialmente, un momento di scelta: le crisi sono un momento strutturale dei cicli economici capitalistici, sono insomma perfettamente compatibili con quelle che Leopardi chiamò le ‘magnifiche sorti e progressive. Dove c’è crisi, c’è progresso. La crisi è in qualche modo la garanzia che superata la svolta, tutto riprenda come prima e meglio di prima. Come si dice di questi tempi: #andràtuttobene.

Catastrofe significa, invece, ben altro: dal greco καταστρέϕω, cioè ‘capovolgere’ e ha per sinonimi ‘rivolgimento’ o ‘rovesciamento’. In buona misura, cioè, catastrofe è sinonimo di rivoluzione.

Mi rendo conto che la questione imbarazzi chi governa in nome del danaro e della produzione e che quindi la si eviti (magari per evitare il panico) e mi rendo anche conto che forse c’è un pizzico di ingenuo ‘millenarismo’ nel tirarla fuori ora.

Probabilmente non crollerà tutto adesso, probabilmente di catastrofi così ce ne vorranno altre per convincerci infine che così non va e non è possibile continuare così all’infinito, ma certamente quanto sta accadendo ha aspetti molto ‘catastrofici’, nel suo dimostrarci una serie di cose che fino a ieri ci siamo dannati a negare. Nel rallentarci brutalmente e nel reimporre lo scorrere del tempo della vita, liberandoci dal tempo, forsennato, della produzione. Ricordandoci che non è e non può essere l’economia la chiave di ogni nostra decisione, di ogni possibile scelta. Che essa non è un valore etico, ma solo una contingenza storica e che essere vivi è più importante di essere ricchi, o che riunirci liberamente è più importante di consumare tanto e sempre un po’ in più di altri, che siamo mortali, fragili e che non abbiamo affatto colonizzato il pianeta con le nostre tecnologie, che restiamo, insomma, esattamente come quelle formiche della ‘Ginestra’, sterminate dalla semplice caduta di una mela “che maturità, senz’altra forza, atterra”.

La buona notizia è che poi codesta catastrofe riguarda prima di tutto LorSignori. Molto meno noi altre formiche.

La buona notizia è che, ora che lo sfruttamento del lavoro dei poveri è diventato diffusione dolosa del contagio, forse potremo tornare a urlare nelle piazze: lavorare meno, lavorare tutti!

E, visto che ci siamo, potremo aggiornare lo slogan di anni lontani con una chiosa, che male non ci sta: vivere tutti, morire meno!

Così sarà inoppugnabile.

Pubblico qui alcune delle mie Noterelle dai luoghi del Carogna-Virus. Chi fosse interessato a seguirmi con continuità e completezza le troverà tutte su questa pagina Facebook che sarà aggiornata ogni 2 o 3 giorni.

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Coronavirus, in Marocco oltre 5600 amnistiati. Ma attivisti, blogger e rapper restano in carcere

Mentre crescono le preoccupazioni per la diffusione della pandemia da Covid-19 nei centri di detenzione del paese, Amnesty International ha sollecitato il governo del Marocco a rilasciare urgentemente e senza condizioni tutti i prigionieri che stanno scontando condanne per aver preso parte a manifestazioni pacifiche o aver espresso le loro opinioni: tra questi, gli esponenti del movimento Hirak el-Rif, rapper, blogger e giornalisti.

L’organizzazione per i diritti umani ha anche chiesto che i detenuti anziani e quelli che manifestano problemi di salute siano sottoposti a misure alternative e che viga la presunzione d’innocenza per quelli sospettati di aver commesso un reato e ancora in attesa di giudizio.

Negli ultimi sei mesi le autorità marocchine hanno mostrato una crescente intolleranza nei confronti di coloro che esprimono opinioni critiche: tra novembre 2019 e gennaio 2020, almeno 10 persone – tra cui un giornalista e due rapper – sono state arrestate per “offesa a pubblico ufficiale o alle istituzioni” e sette di loro stanno scontando condanne a pene detentive.

Per questi reati, oltre che per quello di “incitamento all’odio”, i blogger Moul El Hanout e Youssef Moujahid sono stati condannati a quattro anni dopo che avevano espresso le loro opinioni in una serie di video pubblicati online.

Abdelali Bahmad (alias Ghassan Bouda) è stato condannato a due anni, dimezzati in appello, per “offesa alla monarchia” dopo che aveva manifestato appoggio alle proteste di Hirak el-Rif sui suoi profili social.

Ci sono poi i 43 militanti di Hirak el-Rif, giudicati colpevoli di una serie di reati a seguito di processi irregolari segnati da denunce di tortura e le cui condanne sono state confermate in appello alla fine del 2018.

Il 22 febbraio due di loro, Nabil Ahamjik e Nasser Zefzafi, hanno intrapreso uno sciopero della fame per chiedere il rispetto del diritto di visita e migliori cure mediche. Lo hanno sospeso solo il 17 marzo, per il timore che le loro critiche condizioni di salute li esponessero al rischio di contrarre il coronavirus.

Secondo l’Associazione marocchina per i diritti umani, alla fine di marzo i prigionieri in carcere per aver espresso le loro opinioni erano 110.

Le prigioni del paese sono sovraffollate, anche a causa dell’elevato numero di detenuti in attesa di giudizio, circa il 40 per cento del totale.

Lo scorso novembre il ministro per i Diritti umani e per i rapporti col Parlamento, Mustapha Ramid, aveva riferito che alla fine del 2018 la popolazione carceraria era di 83.747 persone, con un tasso di sovraffollamento del 138 per cento.

Il 5 aprile, per decongestionare le carceri come misura di contrasto al Covid-19, re Mohammed VI ha amnistiato 5654 detenuti. Tra loro però non vi è alcun prigioniero di opinione.

Nel frattempo, ai sensi dello stato d’emergenza, sono state arrestate almeno 450 persone per aver violato le norme sul confinamento e la quarantena. Rischiano da uno a tre anni.

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Coronavirus, a New York morti seppelliti in una fossa comune: decine di lavoratori assunti per scavare

A New York sono stati 7mila i morti di coronavirus, 4mila solo nell’ultima settimana. I corpi non reclamati vengono sepolti ad Hart Island, nel Bronx, luogo dove riposa chi non ha parenti o la cui famiglia non è in grado di sostenere le spese per il funerale e la sepoltura. Giovedì ne sono stati interrati circa 40. Decine di lavoratori sono stati assunti a contratto proprio per scavare una grande tomba che potesse contenere chi ha perso la vita a causa del Covid-19.















Qui, di norma, una volta alla settimana i detenuti del carcere di Rikers Island seppelliscono in media 25 cadaveri. Ma il numero ha iniziato ad aumentare a marzo con la diffusione del nuovo coronavirus a New York, diventata l’epicentro della pandemia. E ora si stima che sull’isola, al largo del Bronx, vengano seppelliti una ventina di corpi al giorno, cinque giorni la settimana. Si ritiene che il numero delle sepolture sia quadruplicato nella Grande Mela dall’inizio della diffusione del Covid-19.

“Queste sono persone per le quali, in due settimane, non siamo stati in grado di rintracciare nessuno che dicesse’ conosco quella persona, amo quella persona, mi farò carico della sepoltura“, ha detto alla Cnn Freddi Goldstein, ufficio stampa del comune di New York. “Sono persone che hanno zero contatti con la famiglia”.

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Coronavirus, Gualtieri dopo Eurogruppo: “Ieri ottimo primo tempo, ora vincere la partita. Da Salvini e Meloni accuse grottesche”

Per Gualtieri “è stato un ottimo primo tempo, ora dobbiamo vincere la partita”. Pd e M5s soddisfatti e fiduciosi, Lega e Fratelli d’Italia all’attacco, Forza Italia nel mezzo. L’intesa raggiunta ieri all’Eurogruppo sui fondi per gestire l’emergenza coronavirus come da pronostico viene vista in maniera opposta da maggioranza e opposizione, con Salvini e Meloni che negli stessi minuti in cui veniva trovato l’accordo hanno attaccato il governo e il ministro delle Finanze, parlando di Caporetto per l’Italia.

Il ministro dell’Economia risponde alle opposizioni – A poche ore dagli attacchi e all’indomani dell’Eurogruppo, il ministro Roberto Gualtieri ha deciso di rispondere a tono ai leader di centrodestra, parlando di “accuse grottesche”: “Forse Salvini e Meloni ignorano che Mes già esiste, e che ci sono le condizionalità, cioè il controllo della troika – ha detto – L’Eurogruppo ha proposto, e non deciso, che il Mes possa offrire, oltre al meccanismo della troika, anche uno strumento incondizionato dal quale, i Paesi che lo vorranno, non l’Italia, potranno prendere dei soldi senza condizione”. Il titolare delle Finanze, poi, ha voluto precisare ancora alcuni aspetti del Fondo salva-stati su cui si sono concentrate le critiche delle minoranze: “L’Italia e il premier Conte hanno detto e ripetuto che il Mes non è adatto affrontare la crisi. E’ stata eliminata ogni condizionalità – ha aggiunto – si è introdotto uno strumento facoltativo, una linea di liquidità fino al 2% del pil, che può essere attivato senza condizione”.

“La posizione coraggiosa dell’Italia alla fine prevarrà” – La partita, però, si gioca tutta sul cosiddetto recovery plan e non sarà una sfida agevole. Ne è consapevole anche il ministro, ribadendo che l’Italia chiede l’emissione di Eurobond: “Il pacchetto esiste per noi se ci sono tutti e quattro gli elementi – ha detto – C’è un cambiamento di prospettiva significativo, non chiediamo la mutualizzazione del debito passato ma che le risorse per affrontare questa emergenza siano comuni. Più saranno tante, più saremo forti per superare la crisi e far ripartire l’economia”. A livello politico, poi, Gualtieri si è detto convinto che “la posizione che coraggiosamente l’Italia sta sostenendo alla fine prevarrà, già sta prevalendo”, parlando anche dei fondi Bei e di Shure “che si finanziano emettendo titoli”.

“Ottimo primo tempo, ora bisogna vincere la partita” – Insomma, a chi chiedeva un giudizio politico e tecnico sulla riunione dell’Eurogruppo, il ministro ha risposto con una metafora calcistica: “È stato un ottimo primo tempo, ora dobbiamo vincere la partita”. Poi la spiegazione: “Si è passati da un testo originario, su cui avevamo messo il veto, che conteneva un’unica proposta, il Mes con alcune condizioni. Grazie alla nostra battaglia – ha ribadito – siamo arrivati ad un testo con 4 strumenti e per la prima volta mette sul tavolo la proposta di un fondo per la ripresa finanziato con titoli comuni, che è esattamente la proposta dell’Italia”. Ci sono poi i fondi Bei, lo Shure e una quota del Mes senza condizioni.

Crimi (M5s): “Basta bufale, non è stato attivato nessun Mes. Eurobond? Conte ci stupirà” – A rispondere a Salvini e Meloni ci ha pensato anche Vito Crimi, il capo politico reggente del Movimento 5 Stelle: “Chiariamo bene una cosa: il Mes non è stato attivato. Chi lo dice fa male al paese. Il Mes non è stato attivato è stata solo fatta una proposta” ha spiegato Crimi. Che poi ha ribadito la posizione dei pentastellati sul fondo salva-Stati: “Noi non accettiamo il Mes perché le condizioni non ci sono ora ma ci saranno – ha detto – Il testo dice di no ma il Trattato dice di sì. Noi riteniamo il Mes uno strumento non idoneo ad affrontare la crisi: non adesso ma nel futuro. Certo – ha aggiunto – potremmo avere un atteggiamento opportunistico, procediamo ora, poi un domani si vedrà: ma non lo faremo”. E ancora, sempre sul fondo: “Noi non vogliamo che il Mes ci sia nel testo e comunque se anche ci fosse non la voteremmo mai. Questo significa che Conte non può sottoscrivere la proposta? Sentiamo cosa ci dice il presidente Conte oggi – ha sottolineato – Dobbiamo ancora ascoltarlo per sapere qual è il risultato e come lui si è posto all’interno dell’Eurogruppo. Credo che Conte ci stupirà anche in questa occasione”. Per Crimi, inoltre, l’Italia avrà una “una posizione forte al Consiglio europeo”.

Orlando (Pd): “Veri patrioti lavorano per concretizzare” – Anche l’altro alleato di governo, il Pd, ha espresso parole positive per l’accordo raggiunto e criticato l’atteggiamento delle opposizioni: “Le forze politiche che sbraitano contro il Mes fanno finta di non capire che l’attuale versione è senza condizionalità, ma soprattutto il nostro Paese non sarà tenuto a utilizzarlo” ha detto il vicesegretario Andrea Orlando, secondo cui “tutta questa canea serve a nascondere il fatto che nel documento finale sono previsti strumenti che fino a qualche settimana fa sarebbero stati inimmaginabili”. Non solo. L’ex ministro sulla sua pagina Facebook ha sottolineato la bontà e mi contenuti dell’accordo raggiunto: “Un programma per affrontare la disoccupazione, nuovi strumenti di intervento della Bei e soprattutto il documento dell’Eurogruppo prevede quello su cui ancora ieri veniva ribadito il veto tassativo dagli alleati olandesi di Salvini e della Meloni: un fondo ‘per preparare e sostenere la ripresa’. I leader – ha scritto ancora – dovranno definire nel dettaglio il funzionamento di questo fondo, ma oggi si è deciso che ci sarà e sarà proporzionato all’intervento necessario. Chi si definisce patriota – ha concluso – in questo momento lavora per concretizzare un risultato che da stasera è a portata di mano, e non per fare saltare il banco, facendo pagare il prezzo più alto agli italiani”.

Gelmini (Forza Italia): “Accordo ha evitato deflagrazione Ue” – Per quanto riguarda le opposizioni, invece, da segnalare la posizione di Forza Italia, distante anni luce da Lega e Fratelli d’Italia. “Ritengo che ieri si sia fatto un passo avanti, nel senso che l’accordo tra i ministri dell’Eurogruppo ha evitato la deflagrazione dell’Unione – ha detto Mariastella Gelmini – È chiaro, però, che quell’accordo deve essere poi siglato dal Consiglio europeo, e si tratta di capire in che tempi verrà realizzato questo Recovery Fund”. Per il capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati “questa non è un’incognita indifferente, perché se ai ritardi dei provvedimenti del governo Conte si sommano i ritardi decisionali e di attuazione del Recovery Fund, nel frattempo l’economia va a picco. Sono molto preoccupata – ha sottolineato Gelmini – perché ricevo continue sollecitazioni di imprenditori, soprattutto piccoli e medi, che non ce la fanno più. Questa crisi e questo fermo rischiano di far saltare un milione di aziende”.

Salvini (Lega): “Se il governo olandese festeggia, vuol dire che è una seconda Caporetto” – Toni incendiari, invece, da Matteo Salvini, il primo a commentare il risultato raggiunto dalla riunione dell’eurogruppo: “Non ci sono gli Eurobond che voleva Conte ma c’è il Mes, una drammatica ipoteca sul futuro, sul lavoro e sul risparmio dei nostri figli – ha detto il leader della Lega – Dal 1989 ad oggi l’Italia ha versato all’Europa 140 miliardi, ora per averne a prestito 35 ci mettiamo nelle mani di un sistema di strozzinaggio legalizzato. Oltretutto, senza nessun passaggio in Parlamento – ha aggiunto – Siamo fuori dalla legge, siamo alla dittatura nel nome del virus. Presenteremo mozione di sfiducia al ministro Gualtieri. P.S. Se il governo olandese festeggia, vuol dire che è una seconda Caporetto”.

Meloni (Fratelli d’Italia): “Hanno vinto i diktat di Germania e Olanda” – ulla stessa linea d’onda la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni: “Il ministro Gualtieri ha firmato per attivare il Mes, niente Eurobond e Italia messa sotto tutela. Alla fine hanno vinto i diktat di Germania e Olanda – ha spiegato – Il Governo in questi giorni ha fatto finta di alzare la voce ma, tanto per cambiare, si è piegato ai dogmi nordeuropei. Non permetteremo a nessuno di banchettare sulla nostra Nazione come già successo in Grecia. Lo abbiamo preannunciato e lo ribadiamo – ha concluso – ora Conte, Gualtieri e Di Maio dovranno affrontare il Parlamento, dove Fratelli d’Italia è già schierato per impedire questo atto di alto tradimento verso il popolo italiano”.

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Covid-19 e idrossiclorochina: un altro problema nella gestione dell’emergenza

L’andamento dell’infezione da coronavirus e le modeste possibilità terapeutiche ormai, a livello internazionale, seguono la linea del master plan qui di seguito riportato:

In modo non omogeneo, le singole Regioni italiane si stanno muovendo secondo questo schema ognuna in rapporto alle proprie caratteristiche socio-geo-morfologiche e alle proprie disponibilità di risorse. Abbiamo ormai chiaro tutti che la guerra si vince sul fronte del combattimento sul territorio e si perde nell’affrontare l’epidemia solo sul piano delle cure ospedaliere. Due fenomeni stanno infatti emergendo in maniera significativa in Italia rispetto al resto del mondo:
l’eccesso di contagi tra il personale sanitario e l’eccesso di letalità tra i contagiati.

Secondo i dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità, in Italia dall’inizio dell’epidemia i professionisti sanitari che hanno contratto un’infezione da coronavirus sono pari a circa il 9% del totale delle persone contagiate, una percentuale più che doppia rispetto a quella cinese del 3,8%. Tutte le analisi internazionali sugli errori commessi puntano il dito contro l’uso delle strutture ospedaliere e non territoriali nel tentativo di contenimento del contagio.

Secondo un grafico postato il 22 marzo da @theworldindex, l’Italia ha il maggior numero di morti per milioni di persone dovuti al coronavirus rispetto al resto del mondo (79.84).

Seguono a distanza Spagna, Iran e Francia. Il 48% dei deceduti italiani aveva 3 o più patologie in corso: sono le patologie a essere il reale fattore di rischio, più che l’età da sola, che già conta. L’Iss calcola che in oltre il 50% dei casi mortali registrati da infezione da Covid-19 si evidenzia la presenza di 2.7 comorbilità importanti.

L’idrossiclorochina, farmaco antimalarico oggi utilizzato in indicazione per combattere l’artrite reumatoide, nome commerciale Plaquenil, si è dimostrato efficace già nell’epidemia di Sars nel 2003 e oggi in questa epidemia da Covid-19 mostra attività terapeutica non per azione diretta antivirale o schizonticida, bensì perché in grado di modulare la risposta infiammatoria eccessiva e mortale a livello polmonare.

I dati scientifici lo hanno fatto inserire nelle linee guida Fimmg italiane per la cura domiciliare precoce di Covid-19 e la Regione Veneto ne sta proponendo con efficienza ed efficacia un utilizzo precoce domiciliare. Questi farmaci immunomodulatori, oltre ad avere un costo irrisorio, hanno un’attività terapeutica proporzionalmente maggiore quanto più precoce è stata la loro somministrazione in caso di accertata infezione virale.

Purtroppo il fatto allarmante è che tale farmaco, da assumere esclusivamente sotto prescrizione del medico curante, pare oggi introvabile nelle farmacie. Nonostante questo tipo di farmaci sia nel mondo tra i più utilizzati, specie per le cure domiciliari precoci, risultano ancora poche sperimentazioni cliniche controllate a supporto: come mai? Perché sono farmaci generici, fuori brevetto ormai da decenni e non esiste quindi nessun interesse da parte di nessuna ditta farmaceutica privata a fare sperimentazioni cliniche.

Ci stiamo rendendo conto tutti oggi di quanto siano strategiche anche in Italia industrie destinate alla Sanità pubblica. Stiamo pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane per la assenza di industrie italiane nella produzione di Dpi (dispositivi di protezione individuale a norma), come la mascherine, e per la mancanza di industrie italiane produttrici di ventilatori polmonari. Farmaci generici efficaci e a basso costo come la idrossiclorochina sono reperibili con estrema difficoltà anche in indicazione per i pazienti con artrite.

L’industria farmaceutica a partire dal 2008 è stata l’unica industria al mondo con una crescita costante anche oltre il 10% annuo. L’Italia è diventata in questi anni il primo produttore di farmaci in Europa, ma non dispone di un’industria nazionale o a partecipazione statale strategica per la produzione prioritaria e immediata di qualunque farmaco generico, come la industria ‘Teva’ israeliana, che in ebraico significa “Arca”. Gli israeliani negli ultimi venti anni hanno portato sulla propria “Arca” tutti i farmaci generici potenzialmente utili nel mondo per una immediata produzione di qualità a basso costo.

Accade così che la Teva (divenuta in soli 20 anni tra le prime al mondo) con ben cinque grandi fabbriche in Lombardia e Piemonte, oltre 1600 dipendenti diretti ed almeno altri 6000 nell’indotto, produca in Italia ma esporti circa il 93% della propria produzione rispetto ad una media nazionale (comunque elevatissima) del 73%. E così, mentre da noi si cerca di sminuire l’importanza di terapie domiciliari precoci con farmaci come la idrossiclorochina, forse perché manca, forse perché costa troppo poco e nessuno ha interesse a produrla, la Teva internazionale ne dona circa sedici milioni di pezzi al governo Usa di Trump per poterne fare uso precoce in terapie non solo ospedaliere.

E’ l’ora di migliorare il rapporto dello Stato italiano con le industrie farmaceutiche private in Italia a vantaggio degli italiani. Siamo i primi produttori di farmaci in Europa, ma come cittadini siamo i minori destinatari d’uso dei farmaci prodotti sul nostro territorio nazionale! E’ giunta l’ora che “prima gli italiani” lo si dica ben chiaro alle industrie farmaceutiche che producono in Italia nel rispetto dell’art 32 della nostra Costituzione. L’industria farmaceutica è una industria strategica anche e soprattutto per l’Italia, oggi più che mai.

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Coronavirus, da questa pandemia c’è una lezione che va imparata in fretta

Un dato è certo. Da un giorno all’altro, nel ventunesimo secolo, nell’era dei computer e di internet, della tecnologia spinta, della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale, ci scopriamo del tutto indifesi di fronte ad una mortale pandemia imprevista e sconosciuta che ci ricorda il Medioevo e fa vacillare le nostre certezze di uomini moderni, i nostri valori, il nostro modo di vivere quotidiano, la nostra economia, il nostro futuro.

Ci siamo ritrovati all’improvviso confinati in casa, con divieto di avvicinamento, senza poterci riunire e senza poterci allontanare, salvo che per soddisfare le necessità più elementari – salute e cibo – in un mondo dove le città sono deserte, le fabbriche e i negozi sono chiusi, e dove il solo lavoro ammesso fuori casa è quello di preminente interesse collettivo.

Oggi viviamo aggrappandoci ansiosamente alla speranza che presto questo incubo finirà e tornerà tutto come prima.
Ma è proprio questo il punto. Siamo certi che si tratta solo di una tragedia isolata e che tutto può tornare “normale”? E siamo certi che è auspicabile la “normalità” di prima?

“Ci siamo illusi di poter essere sani in un mondo malato” ha detto Papa Francesco, un grande uomo del nostro tempo. Ha ragione: questa pandemia non è un incidente ma è la migliore dimostrazione che la nostra salute dipende direttamente dalla salute degli altri e dalla salute del mondo in cui viviamo. La deforestazione, i danni di un inquinamento sempre crescente, l’uso sconsiderato della chimica e della tecnologia stanno rapidamente distruggendo migliaia di specie animali e vegetali e con loro la biodiversità.

La nostra specie diviene, quindi, sempre più quella dominante e sempre più, quindi, sarà l’obiettivo privilegiato dei vari virus che sono in grado di replicarsi e modificarsi per superare le nostre difese. Proprio mentre, come da anni ci ripete l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), il crescente riscaldamento del globo ci porterà nuove pandemie tropicali. E non basterà lavarsi le mani, mettersi le mascherine e allontanarsi di un metro. Ma non basterà neppure un vaccino sempre più difficile da creare. Se c’è una lezione che dobbiamo imparare in fretta da questa pandemia è che dobbiamo iniziare a combatterne le cause, non le conseguenze.

E dobbiamo farlo subito, nel momento in cui destiniamo centinaia di miliardi per ricostituire la nostra economia e possiamo propiziare, quindi, una riconversione del tipo di sviluppo oggi dominante. Ma questo potremo farlo solo se lo capirà, e in fretta, la politica. Come ci ricorda l’Enciclica “Laudato si”, “non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti della crisi attuale”.

Tanto più che ”una strategia di cambiamento reale esige di ripensare la totalità dei processi, poiché non basta inserire considerazioni ecologiche superficiali mentre non si mette in discussione la logica soggiacente alla cultura attuale. Una politica sana dovrebbe essere capace di assumere questa sfida”, rifuggendo da una “concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese e degli individui”; così come finora è avvenuto.

In sostanza, per evitare nuove, insostenibili “emergenze”, occorre un ritorno alla politica vera che inizi a ripensare il senso dello sviluppo vero e sostituisca le scelte oggi operate e imposte dall’economia di mercato con quelle mirate al soddisfacimento dei bisogni veri degli individui in un quadro di pacifica convivenza tra l’uomo e l’ambiente e tra uomo ed uomo. Occorre, cioè, ripartire da beni e bisogni veri e fondamentali come la salute, l’ambiente, la biodiversità, la cultura, l’eguaglianza.

Nella consapevolezza che un “bene” non deve essere necessariamente “utile” o monetizzabile: un parco, una barriera corallina o un ghiacciaio, per l’uomo hanno un valore unico e immensurabile di per sé, a prescindere dalla circostanza se creano occupazione, fanno “fare soldi” o accrescono il Pil. E così è per un tramonto, per un paesaggio, per una emozione, per lo “stare insieme” che oggi ci è negato. Insomma occorre passare dalla quantità alla qualità, dall’avere all’essere. E su questi valori riprogrammare la nostra società e la nostra economia.

Del resto, proprio l’esperienza di questi giorni dimostra che, se necessario, molte produzioni industriali possono essere agevolmente riconvertite a obiettivi di tutela della salute. L’importante è, dunque, frenare le scelte aziendali troppo spesso oggi finalizzate solo al massimo profitto attraverso la creazione di consumatori in batteria, sostituendole con scelte più rispettose del bene comune e dei bisogni fondamentali dell’individuo.

Si porrà così un freno anche ai pericoli per la democrazia connessi con un aumento intollerabile delle diseguaglianze, prodotto inevitabilmente a carico dei più deboli da una pandemia come quella che stiamo vivendo e da quelle prossime future.

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Coronavirus, Die Welt: “Merkel non ascolti l’Italia, la mafia aspetta i soldi da Bruxelles”. Di Maio: “Vergognoso, Berlino si dissoci”

“Un’affermazione vergognosa e inaccettabile“. Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, attacca il quotidiano tedesco Die Welt e chiede al governo tedesco di dissociarsi dopo un articolo in cui si chiede all’esecutivo di Berlino di non cedere alle richieste italiane al tavolo dell’Eurogruppo e del prossimo Consiglio Ue, nei quali si cercherà di prendere una decisione condivisa sui provvedimenti economici a livello europeo per il contrasto alla pandemia di coronavirus. Nel testo si legge che “in Italia la mafia è forte e sta adesso aspettando i nuovi finanziamenti a pioggia da Bruxelles“.

Nell’articolo del quotidiano conservatore, dal titolo “Frau Merkel resti ferma”, si esplicita che “la solidarietà è un elemento importante dell’Europa”, ma “la sovranità nazionale nei confronti degli elettori è centrale”. Ma questa solidarietà può essere “senza limiti e controlli?”, si chiede l’autore dell’articolo. “Dovrebbe essere chiaro che in Italia, dove la mafia è forte e sta adesso aspettando i nuovi finanziamenti a pioggia da Bruxelles, i fondi dovrebbero essere versati soltanto per il sistema sanitario e non per il sistema sociale e fiscale. E naturalmente gli italiani devono essere controllati da Bruxelles e usare i fondi in modo conforme alle regole”, si aggiunge. “Anche nella crisi del coronavirus i principi fondamentali devono valere ancora”, conclude.

Parole che hanno provocato la reazione di Di Maio che ha chiesto al governo tedesco di prendere le distanze da “un’affermazione vergognosa e inaccettabile”: “L’Italia piange oggi le vittime del coronavirus, ma ha pianto e piange le vittime della mafia. Non è per fare polemica ma non accetto che in questo momento si facciano considerazioni del genere”, ha dichiarato a Uno Mattina. “È inaccettabile – ha insistito Di Maio – che in un momento in cui l’Italia sta chiedendo di poter spendere tutti i soldi necessari per aiutare i propri cittadini, i propri imprenditori, i lavoratori, i disoccupati, i giovani e i meno giovani, si facciano considerazioni del genere”.

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