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Sono le Venti (Nove), dall’analisi del decreto scuola al cantiere del Ponte Morandi (ancora attivo): rivedi il programma di Gomez

Rivedi l’ultima puntata di Sono le Venti, la nuova trasmissione di informazione condotta da Peter Gomez sul Nove.

SONO LE VENTI, il nuovo programma di Peter Gomez, è prodotto da Loft Produzioni per Discovery Italia e sarà disponibile anche su Dplay (sul sito www.it.dplay.com – o scarica l’app su App Store o Google Play) e su sito www.iloft.it e app di Loft. Nove è visibile al canale 9 del Digitale Terrestre, su Sky Canale 149 e Tivùsat Canale 9.

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Coronavirus, ex cancelliere tedesco Schröder: “Dopo la guerra la Germania è stata aiutata, ora tocca a lei. Sì a strumento debito comune”

“Se c’è un Paese che deve capire che dopo una crisi esistenziale è indispensabile avere un sostegno paneuropeo per la ricostruzione, questo è la Germania. Noi siamo stati aiutati molto dopo la Seconda guerra mondiale, nonostante fossimo stati proprio noi a causarla”. L’ex cancelliere tedesco, Gerhard Schröder, si schiera contro il rigorismo dei paesi del Nord Europa e sostiene che anche la ‘sua’ Germania, in una crisi così imprevedibile e globale, causata da fattori non legati alla gestione dei conti da parte di un singolo Paese, dovrebbe aprirsi maggiormente alle richieste degli Stati europei più in difficoltà, come Italia e Spagna, anche sulla creazione di strumenti di debito comune: “Ho l’impressione che l’atteggiamento della Germania sul debito stia cambiando – ha detto al Corriere l’ex leader socialista – Sono convinto che come prossimo passo abbiamo bisogno anche di uno strumento di debito comune europeo. Possono essere gli eurobond, anche se non sono veloci da realizzare, oppure può essere un’obbligazione comune e una tantum”, come proposto ultimamente dalla membro tedesco del Comitato esecutivo della Banca centrale europea, Isabel Schnabel.

Il focus della gestione della crisi, sostiene Schröder riprendendo le parole di alcuni leader delle istituzioni europee, è “solidarietà”: “Siamo scioccati dalle immagini che vengono dall’Italia, in particolare da Bergamo. E sono felice che la Germania abbia deciso di accogliere e curare pazienti italiani e di inviare materiale sanitario. La parola del momento è solidarietà, per tutti, anche a livello europeo e internazionale. Perché se l’Unione e i Paesi membri non vincono questa sfida, allora l’intero progetto europeo è in pericolo. Non dobbiamo permetterlo e penso anche che non succederà. L’Europa è una comunità di destini”.

Anche lui, come richiesto in particolar modo dall’Italia, ritiene che il ricorso al Meccanismo europeo di stabilità (Mes), in questo momento, non debba prevedere particolari condizioni, al fine di evitare il riproporsi di situazioni come quella greca dopo la crisi del 2008: “Dev’esserci una risposta veloce e la stiamo dando – ha detto – Per questo bisogna usare quello che già esiste. Il Meccanismo europeo di stabilità senza particolari condizionalità, la Banca europea degli Investimenti (Bei) e la Commissione. Il pacchetto da 540 miliardi di euro in discussione è un segnale forte. In più c’è l’azione della Bce che sta acquistando titoli pubblici e privati per stabilizzare i mercati finanziari”.

Solo dopo questa primissima fase ne serve una seconda, con la quale si può pensare anche agli eurobond: “Molti economisti tedeschi, gli stessi che finora avevano sempre osteggiato gli eurobond, esprimono l’opinione che siano proprio questi la direzione da prendere”, conclude.

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Coronavirus, in Portogallo il presidente de Sousa alle banche: “E’ ora di ricambiare gli aiuti pubblici ricevuti negli ultimi 13 anni”

È ora di ricambiare. Così si è rivolto il Presidente del Portogallo Marcelo Rebelo de Sousa alle banche lusitane, che negli ultimi 13 anni hanno beneficiato di 25 miliardi di euro di aiuti pubblici, circa il 10% del Pil, dopo la profonda crisi economico-finanziaria e il terremoto del settore del credito che ha colpito il Paese. Una proposta che, nonostante le prime aperture degli istituti bancari, non sarà così semplice da portare a compimento. Le banche temono di ricadere nel domino dei crediti inesigibili che ha portato buona parte del comparto a fallimenti e ristrutturazioni, e chiedono invece aiuto al governo e all’Unione Europea per stimolare l’economia e rendere solvibili i loro debitori.

Con l’economia di fatto congelata, il Presidente della Repubblica ha chiesto alle banche di “rendere indietro ai portoghesi” il supporto che hanno avuto durante il passato decennio. “Ciascun portoghese ha contribuito a rendere sostenibili le banche. Sapendo che le banche si sono stabilizzate, questa è un’occasione per restituire ai portoghesi quello che è stato fatto”. Dopo un appello iniziale nell’ultimo fine settimana, lunedì Marcelo Rebelo de Sousa ha incontrato in conferenza i presidenti delle cinque banche maggiori: Caixa Geral de Depósitos, Millennium/Banco Comercial Português, Novo Banco, Santander e Banco Português de Investimento.

Al termine delle consultazioni il Presidente si è detto fiducioso della collaborazione, convinto che “il settore bancario stia seguendo la realtà del Paese da molto vicino”. Quanto hanno ricevuto le banche portoghesi negli ultimi anni? I dati della Banca centrale mostrano che tra il 2007 e il 2018 gli istituti lusitani hanno ricevuto 23,8 miliardi di euro, una cifra che si aggira attorno al 10% del Prodotto interno lordo. A questi valori vanno aggiunti 1,15 miliardi che nel 2019 il Fondo di Risoluzione ha concesso a Novo Banco, per un totale di 24,95 miliardi di euro. Nel 2020 Novo Banco ha chiesto ulteriori 1,037 miliardi al Fondo di Risoluzione, che se dovessero essere trasferiti porterebbe l’ammontare delle risorse pubbliche ricevuto dalle banche portoghesi a 25,98 miliardi di euro.

In alcuni casi questi capitali sono rientrati. Nel 2012 Millennium/BCP aveva ricevuto un aiuto di 3 miliardi di euro, poi restituito insieme a 1 miliardo di interessi. Oppure gli 1,5 miliardi ricevuti dal Banco Português de Investimento, rientrati con un guadagno dello Stato di 100 milioni di euro. Per la maggior parte, però, sono stati utilizzati per far fronte a una crisi sistemica molto profonda, in alcuni casi riuscendo a permettere il salvataggio, in altri costringendo a fallimenti e ristrutturazioni. Caixa Geral de Depósitos, la seconda banca portoghese e la maggiore banca pubblica – paga dunque i dividendi allo Stato – è l’istituto ad aver ricevuto i maggiori aiuti, con una serie di ricapitalizzazioni per un totale di 6,25 miliardi di euro. Al Banco Português de Negócios andarono invece 5 miliardi, ma non sopravvisse alle accertate irregolarità e ai perversi legami politici che coinvolsero finanche l’allora presidente del Paese, Cavaco Silva.

La banca, nazionalizzata, fu poi venduta al Banco BIC dell’Angola per 40 milioni di euro. Destini difficili anche quelli di Banco Espirito Santo (BES) e Banco Internacional do Funchal (Banif), entrambi passati per le forche caudine della nazionalizzazione prima della creazione di banche-ponte e “bad bank” in cui far confluire le perdite. Nel caso del BES le attività salvate furono trasformate in quello che oggi è Novo Banco che, al di là degli aiuti richiesti negli ultimi 15 mesi, vide il coinvolgimento dello Stato per 4,33 miliardi di euro. Banif, invece, beneficiò di 3,355 miliardi di euro, ma a dicembre 2015 vide vendere i propri attivi a Banco Santander per 150 milioni di euro.

Dal canto loro, le banche hanno promosso un comunicato congiunto in cui hanno espresso un “impegno inequivocabile nel supportare l’economia portoghese”, tuttavia senza pregiudicare “il necessario rigore” e “mettere a repentaglio gli interessi e la sicurezza dei depositanti”. Una serie di condizionalità che rendono l’obiettivo del Presidente di non semplice realizzazione. E infatti non deve essere stato agevole l’incontro con il presidente dell’associazione bancaria, l’Abi portoghese, in programma martedì, insieme a una consultazione con la Banca centrale. Nonostante le assicurazioni offerte al capo dello Stato, il settore bancario è ancora scottato dall’esperienza dell’ultimo decennio e potrebbe non mollare facilmente la presa.

Prima del confronto con Marcelo Rebelo de Sousa, il presidente dell’Associação Portuguesa de Bancos, Fernando Faria de Oliveira, ha chiesto a gran voce al governo e all’Unione Europea di stimolare l’economia per evitare un nuovo effetto domino sui prestiti in pancia agli istituti. Il comparto ha portato, secondo le ultime stime di dicembre, il totale dei propri non-performing-loans a 17,2 miliardi di euro, dopo un picco di 50 miliardi del giugno 2016. Quattro anni fa i crediti inesigibili rappresentavano il 17,9% del totale, oggi sono al 6,1%, il doppio della media europea. “È cruciale adottare misure per mitigare gli effetti di questa situazione sanitaria sulla capacità delle aziende e delle famiglie di continuare a poter garantire i pagamenti delle loro responsabilità creditizie”, ha detto Fernando Faria de Oliveira.

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Coronavirus, Mattarella: “Diritto alla salute è universale e ci chiama a corresponsabilità globale. I servizi sanitari nazionali sono capisaldi essenziali delle comunità”

La valenza universale del diritto alla salute ci chiama a un impegno, a una corresponsabilità di carattere globale”. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione della Giornata mondiale della salute che quest’anno cade nel mezzo della pandemia da coronavirus, ha voluto ricordare la necessità che a tutti i cittadini sia garantito l’accesso alle cure. E nel farlo ha ricordato quella “corresponsabilità” di carattere globale che più volte ha invocato nelle ultime settimane, rivolgendosi all’Europa e non solo, perché di fronte alla grande emergenza non ci siano divisioni, ma cooperazione. Perché, ha dichiarato, tutti siamo chiamati a “mettere da parte egoismi nazionali e privilegi di sorta al fine di dare alla cooperazione mondiale un impulso di grande forza per ciò che riguarda le cure, la ricerca, lo scambio di informazioni, la fornitura di strumenti capaci di salvare vite umane”.

E, proprio in questa giornata, il capo dello Stato ha voluto ricordare l’importanza del servizio sanitario nazionale e il suo ruolo nella lotta alla pandemia: “I Servizi Sanitari Nazionali costituiscono capisaldi essenziali delle comunità“, si legge sempre nel messaggio. “La qualità della vita e gli stessi diritti fondamentali della persona sono strettamente legati alle capacità e all’universalità del servizio alla salute”. Perché questo diritto sia garantito, servono aiuti e sostegni che durino nel tempo: “Le strutture da sole non basterebbero senza l’umanità e la responsabilità di chi vi opera: per questo il ringraziamento di oggi deve tradursi in un sostegno lungimirante e duraturo da parte delle nostre comunità”.

Proprio agli operatori sanitari si è poi rivolto Mattarella: “Le vicende drammatiche di questi giorni hanno mostrato di quanta generosità, professionalità, dedizione sono capaci gli operatori sanitari. Il nostro pensiero grato e riconoscente va alle infermiere e agli infermieri in prima linea, e con loro a tutti i medici degli ospedali e dei servizi territoriali, agli assistenti, ai ricercatori, a quanti operano nei servizi ausiliari: li abbiamo visti lavorare fino allo stremo delle forze per salvare vite umane e molti di loro hanno pagato con la vita il servizio prestato ai malati”.

In questi giorni, si legge ancora, “tanti lutti e sofferenze hanno reso ancor più evidente il valore della salute, componente essenziale del diritto alla vita, presidio da preservare e rafforzare nella solidarietà tra i popoli, gli stati, i continenti”. “L’umanità ha le risorse per debellare questo nuovo virus, come le ha per contrastare malattie e disagi particolarmente diffusi nelle aree più povere e dove l’ambiente ha subito danni maggiori”. E proprio questo impegno “solidale” per la salute “può diventare un vettore di pace e amicizia, capace di influenzare positivamente le relazioni tra i Paesi”.

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Coronavirus – Nuova Zelanda, ministro Sanità viola la quarantena: “Sono un idiota”. Ma le sue dimissioni vengono respinte

Ha violato il lockdown imposto dal suo stesso governo per contrastare la diffusione del coronavirus, andando con la sua famiglia a circa 20 chilometri dalla sua abitazione. Anche se nelle ultime settimane postava sue foto sui social con lo slogan “stay home”, promuovendo il distanziamento sociale. Protagonista della vicenda è il ministro neozelandese della sanità David Clark che ha ammesso: “In un momento in cui chiediamo ai neozelandesi di fare dei sacrifici di portata storica io ho deluso la mia squadra. Sono stato un idiota“. Quindi ha presentato le dimissioni alla premier Jacinda Ardern che però sono state respinte. Nonostante la gravità del comportamento del ministro, ha spiegato la premier, la situazione è tale da non consentire una destabilizzazione proprio sul fronte della sanità. Clark è stato però rimosso dal ruolo di vice alle Finanze e ‘retrocesso’ nella gerarchia interna al governo.

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Francesca Verdini, la fidanzata di Matteo Salvini racconta: “Un uomo mi urlava contro, sono scappata. Ho avuto paura, questo mondo vuoto inizia a terrorizzarmi”

Questa versione del mondo vuota sta iniziando a terrorizzarmi“. Inizia così il racconto di Francesca Verdini, figlia di Denis e fidanzata di Matteo Salvini, che su Instagram si è sfogata, rivelando di esser stata inseguita da un uomo che le urlava contro, carico di rabbia, mentre rientrava a casa dalla spesa, in pieno centro a Roma.

“Sono scesa a fare la spesa, (c’è un sole bellissimo) e ho deciso, per vedere se la chiesa qui accanto ha lasciato rametti di ulivi benedetti, di prevedere una strada diversa, piccolina piccolina, stretta stretta, in discesa – inizia a raccontare Francesca Verdini -. Mentre la percorro, vedo un uomo che suona ripetutamente ad un campanello e guarda verso qualche finestra, proseguo. Quando siamo vicini, mentre ci incrociamo, mi accorgo che ha smesso di suonare e che si è girato a guardarmi. Non so perché ho avuto un secondo di paura. Abbasso gli occhi e proseguo. Mi grida qualcosa. Proseguo. Grida più forte con tono arrabbiato, ma non lo capisco. Però mi fermo; siamo solo io e lui. Prego? Urla ancora più forte e molto arrabbiato, ancora non capisco, ma intuisco che mi chiede soldi, perché mi sventola sguaiatamente un bicchiere e delle sue parole distinguo chiaramente ‘un euro’, ‘un euro”‘.

“Ho solo la carta e comunque molta paura, scusa, non ho niente e proseguo. Riparto accelerando, ma la strada è lunga e stretta. Lui prende a urla furiosamente, come un matto, un urlo profondo stracolmo di rabbia. Fa sicuramente passi nella mia direzione. Ho abbastanza paura – ammette – per non capire per più di qualche secondo che cosa fare. Ho continuato ad accelerare il passo – prosegue la figlia di Denis Verdini – ma la voce era sempre troppo vicina. Non so quando, ho iniziato a correre. E finalmente la voce si è fatta mano a mano sempre più lontana. Per tutto il tragitto ho guardato terrazze, finestre, ho sperato di incrociare persone. Fino a casa, arrivata ho fatto le scale così velocemente che mi è sembrato di non averle neanche fatte. Ho chiuso la porta e sono corsa alla finestra, ho continuato a cercare persone affacciate”.

“Non è successo niente, e forse non era neanche pericoloso, ma solo arrabbiato. Ma ho avuto paura, e all’improvviso ho realizzato perché è tanto importante vedere i nostri vicini che cantano e salutano; Perché abbiamo bisogno di speranza. In tutte le sue forme. Ma in qualsiasi forma la vediamo, la speranza è umana e si trova solo attraverso le persone. È sempre così ovvio, ma sempre cosi poco evidente; Nessuno si salva da solo. Neanche quel signore arrabbiato”, conclude Francesca.

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La didattica a distanza non può sostituire l’aula. E da contratto certi docenti non sono obbligati

Come è gestita nelle vostre città l’emergenza Coronavirus? Come si comportano le autorità e i cittadini? E nelle vostre vite, c’è qualche aspetto positivo o inatteso nell’isolamento forzato? Abbiamo chiesto ai nostri Sostenitori di raccontarcelo, inviando testimonianze, osservazioni e spunti per la redazione al Blog Sostenitore. Mai come stavolta il contributo della nostra comunità è fondamentale: con il Paese in zona rossa, ogni segnalazione è importante. Abbiamo bisogno di voi. Sosteneteci: se non siete ancora iscritti, ecco come potete farlo.

di Antonio Deiara

Quarant’anni fa, un amico mi raccontò che, quando esplose il boom economico, per troppo tempo si nutrì quasi esclusivamente di carne e sostituì l’acqua e un buon bicchiere di vino con litri e litri di Coca Cola. Finì in ospedale. Fabula docet: il neofita è manicheo, per cui tutto quello che ha preceduto la sua “conversione” è il “nero-non-buono”, l’intera gamma di cose disponibili nel “post-conversione” rappresentano il “bianco-buono”.

La didattica a distanza, risposta ineludibile nel breve periodo alla sospensione della didattica in presenza, è stata intesa da troppi “proseliti neofiti” dello scranno, della scrivania e della cattedra come panacea per tutti i mali della scuola pubblica della Repubblica italiana. I neofiti della nuova religione pedagogico-didattica hanno commesso tre errori sostanziali: sopravvalutare la disponibilità e l’efficacia degli strumenti informatici, sovraccaricare di lavoro gli studenti davanti all’equivalente della Play-Station, equiparare un’ora di lezione in aula ad un’ora di lezione dietro lo schermo.

Escludiamo dal ragionamento gli ultimi anni delle superiori, l’Università, il Conservatorio e l’Accademia di Belle Arti. Fino ai sedici anni, cioè fino al biennio della Scuola Secondaria di secondo grado, l’alunno deve adempiere all’obbligo dell’istruzione previsto dalla legge; dal triennio, invece, si entra nella dimensione della “scelta”, cioè nel seguire un percorso scolastico che ho scelto, proteso verso il mio futuro, e nel quale investo risorse economiche della mia famiglia, il mio tempo e le mie energie.

Normativamente, non esiste un “obbligo” per gli scolari delle elementari e gli studenti delle medie di seguire con correttezza, impegno e rielaborazione personale (studio) la didattica a distanza. In verità, contrattualmente, non esiste neppure un “obbligo” per i docenti della scuola dell’obbligo a porre in essere lezioni e interrogazioni attraverso computer e connessioni Wi-fi.

Se il Parlamento ritiene che la nuova religione pedagogico-didattica debba diventare obbligatoria, vanno studiate con estrema attenzione tempi e modalità, obbligate le famiglie a far “frequentare” i figli, e inserite le nuove modalità a tempo della funzione docente nel nuovo Contratto Collettivo nazionale di lavoro scuola. Dimenticavo: nel rispetto della Costituzione, si prevedano anche computer e connessioni a costo zero per tutti gli alunni, nessuno escluso!

La lezione online, per essere efficace nei confronti dei discenti più piccoli, deve rispettare i tempi televisivi. Sono da evitarsi rigorosamente, pertanto, gli interminabili monologhi del docente, la programmazione di un numero di ore pari a quello delle lezioni in presenza, l’insegnamento teorico delle discipline “pratiche” come la Musica. I tutorial, oggi largamente presenti su Internet, non costituiscono una modalità di insegnamento ma di “ammaestramento”. L’elemento educativo e quello formativo posti in essere dalla scuola, rientrano in altre categorie pedagogiche e didattiche.

In conclusione, la didattica a distanza non può sostituire, se non per brevissimi periodi e cum grano salis, il dialogo educativo-formativo e le esperienze concrete di apprendimento che caratterizzano la vita scolastica di docente e discente. Socrate docet (e Asimov narra)…

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Jennifer Lopez se ne frega delle regole di isolamento e va ad allenarsi in una palestra (chiusa)

La palestra non è aperta, restate a casa vostra, restate al sicuro“. Chiaro il messaggio appeso sulla porta di una palestra a Miami, in Florida. Anche lì, infatti, tutti sono obbligati a stare in isolamento e le palestre naturalmente hanno dovuto sospendere la propria attività. La cosa non sembra però aver avuto alcun effetto sullo stile di vita di Jennifer Lopez che è stata paparazzata insieme al marito proprio all’ingresso della palestra. Inutile dire che molti utenti hanno espresso la loro rabbia sui social.

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Coronavirus, positiva una tigre dello zoo di New York: contagiata probabilmente da un dipendente

Una tigre dello zoo del Bronx, a New York, è risultata positiva al test del coronavirus. A darne notizia la fondazione Wildlife Conservation Society che lavora in tutto il mondo a progetti mirati per tutela della vita naturale. I risultati del tampone sono stati confermati dal Servizio veterinario nazionale.

La tigre malese si chiama Nadia, ha 4 anni ed è il primo animale a risultare contagiato negli Usa. Sotto osservazione anche altre tre tigri (la sorella Azul e due esemplari di tigre siberiana) e tre leoni africani ospitati nella stessa struttura: tutti hanno mostrato sintomi simili a quelli di Nadia, a partire da una tosse secca e da una crescente inappetenza, spiegano gli esperti. I sospetti su chi abbia potuto trasmettere il virus al felino ricadono su di un membro dello staff del Bronx Zoo addetto alla cura dei grandi animali, inizialmente asintomatico ma che di recente ha mostrato alcune difficoltà respiratorie legate alla presenza del Covid-19.
I problemi di Nadia sono iniziati intorno al 27 marzo e ora l’animale sta ricevendo gli adeguati trattamenti. Non si teme per la sua vita e le previsioni dei veterinari sono di una pronta guarigione. Nessun test è stato effettuato sugli altri animali sotto osservazione perché nei felini è necessario ricorrere all’anestesia generale che comporta molti rischi per la loro vita.

Al momento non c’è alcuna prova che i grandi felini, altri animali esotici o anche gli animali domestici possano trasmettere il virus e infettare un essere umano. Comunque, hanno chiarito i responsabili del Bronx Zoo, “adeguate misure preventive” sono state messe in campo per tutto lo staff che si occupa degli animali ospitati nella grande struttura di 107 ettari e realizzata nel 1899. Misure volte anche a proteggere gli altri animali presenti. Nessun pericolo invece per il pubblico, visto che lo zoo, come gli altri giardini zoologici di New York (compreso quello dentro il Central Park di Manhattan) è chiuso dal 16 marzo a causa della pandemia.
Il Dipartimento dell’agricoltura americano ha quindi rassicurato che non ci sono rischi per nessuno.

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Coronavirus, morto un operatore sanitario di Londra: pochi giorni fa aveva incontrato il principe William e Kate

Con la regina Elisabetta isolata nel castello di Windsor, il principe Carlo risultato positivo al tampone e Harry fuori dai giochi, a William e Kate è toccato prendere in mano le redini e rappresentare la Famiglia Reale in queste difficili settimane di emergenza coronavirus. I Duchi di Cambridge sono andati così il 20 marzo scorso a far visita alla sede dell’NHS 111, il servizio di primo soccorso che raccoglie le chiamate di emergenza, e poi il primo aprile hanno visitato due ospedali di Londra per sostenere medici e infermieri. Poi però gli è arrivata la notizia che uno degli operatori sanitari incontrati proprio durante quell’ultima visita è deceduto per complicazioni da Covid-19.

Come riporta il quotidiano britannico Express, il sanitario deceduto lavorava nel Queen’s Hospital di Burton, struttura visitata da William e Kate motivo per cui sono in corso indagini per escludere un possibile contagio dei Duchi. Intanto però, William e Kate hanno confermato il loro impegno a sostegno dell’Sistema Sanitario britannico durante questa pandemia anche se questo dovesse significare farlo attraverso un telefono perché le visite potrebbero diventare presto troppo rischiose.

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