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Coronavirus, ministro Finanze olandese: “No a coronabond. Mes? In passato ottimi risultati”. Sanchez: “Salva-Stati solo in fase iniziale. Poi serve solidarietà”. Bce: “Eurobond una tantum sono una possibilità”

Mentre dalla Banca centrale europea continuano ad arrivare segnali di apertura alle richieste dei Paesi del centro e sud Europa, tra cui l’Italia, rinnovando la disponibilità a fare tutto il necessario per sostenere gli Stati membri durante la crisi dovuta al coronavirus e mantenendo aperta la possibilità dei coronabond “una tantum”, è di nuovo il ministro delle Finanze olandese, Wopke Hoekstra, a mettersi alla guida del gruppo dei rigoristi. Dopo le dure critiche raccolte in seguito alla richiesta di un’indagine della Commissione Ue sulla gestione dei bilanci da parte di Paesi come l’Italia e la Spagna, il capo del Tesoro di Amsterdam è tornato a chiudere la porta agli eurobond e a sponsorizzare il Mes: “In passato ha dato ottimi risultati“.

Hoekstra: “La Bce sta facendo abbastanza, no ai coronabond”
In un’intervista a Repubblica, il ministro delle Finanze del governo guidato dal liberale Mark Rutte ha dichiarato che “nella strategia di lungo termine dobbiamo assicurarci che l’Unione Europa sviluppi resilienza e prosperità capaci di durare nel futuro. Concordo sul fatto che gli strumenti per riuscirci debbano essere comuni, ma ci sono differenti punti di vista. A nostro avviso la Bce sta facendo abbastanza e gli eurobond non rappresentano una soluzione“.

Quando gli viene chiesto quali siano i piani di Amsterdam e dei paesi del Nord che, insieme alla Germania, compongono il blocco dell’austerity, il ministro olandese risponde: “Per noi l’obiettivo è duplice. Rispondere alle esigenze immediate e assicurarci che a lungo termine gli stati membri e la zona euro siano resilienti. In passato il Fondo Salva-Stati o Mes ha dato ottimi risultati. Comunque è difficile dire come proseguirà la discussione, ne stiamo parlando con i partner Ue”.

All’appello dei Paesi del Sud, tra i quali anche quello del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che in varie interviste a quotidiani olandesi e tedeschi ha chiesto maggiore unità, solidarietà e collaborazione da parte di tutti i Paesi membri, ricordando che una crisi del Sud Europa metterebbe in difficoltà le economie di tutti gli altri Stati, Hoekstra risponde dicendo di credere “fermamente nella collaborazione europea. Concordo sul fatto che dobbiamo agire insieme visto che i nostri Paesi sono totalmente interconnessi dal punto di vista economico e dei valori. Dobbiamo creare più stabilità, non più instabilità. La grande domanda è come. E su questo abbiamo opinioni diverse, ma i Paesi Bassi lavorano per creare ponti, non per dividere”.

E sul futuro delle imprese disegna un quadro cupo: “In Parlamento mi è stato chiesto se posso garantire che nessuna azienda fallisca. La mia risposta è che come governi e come Unione saremo capaci di uscire da questo momento, ma in tutta onestà devo anche dire che in Olanda e in Europa alcune imprese finiranno nei guai“.

Sanchez: “Mes? Utile solo in una prima fase”
Al ministro Hoekstra, sempre dalle colonne di Repubblica, risponde il capo del governo spagnolo, Pedro Sanchez. Il Mes “può tornare utile in una prima fase per iniettare liquidità nelle economie europee tramite una linea di credito, qualora questa sia universale e senza condizionalità, ma non sarà sufficiente a medio termine – ha detto – È il momento di agire in modo solidale, creando un nuovo meccanismo di mutualizzazione del debito, agendo in blocco per l’acquisto di prodotti sanitari di prima necessità, stabilendo delle strategie coordinate sulla cybersicurezza e preparando un grande piano di intervento affinché la ripresa del continente sia veloce e solida”.

Non è certamente d’accordo sul fatto che in passato il Fondo Salva-Stati abbia portato a ottimi risultati, riferendosi implicitamente al caso greco: “Gli Stati Uniti hanno risposto alla recessione del 2008 con degli incentivi, mentre l’Europa rispondeva con l’austerità. I risultati sono noti a tutti. Oggi, in un momento in cui si presenta una crisi economica globale più profonda di quella, gli Stati Uniti hanno applicato la più grande mobilitazione di risorse pubbliche della loro storia. E l’Europa? È disposta a rimanere indietro? Questo è il momento di rompere i vecchi dogmi nazionali“.

In una situazione così eccezionale, aggiunge il premier di Madrid, “o siamo all’altezza delle circostanze o falliremo come Unione. Abbiamo bisogno di una solidarietà decisa. Senza solidarietà non ci sarà coesione, senza coesione ci sarà disaffezione e quindi la credibilità del progetto europeo verrà gravemente danneggiata”.

Schnabel (Bce): “Faremo tutto il necessario. Ok a coronabond una tantum”
La Bce, intanto, rinnova la propria apertura a ogni tipo di soluzione condivisa. Il membro tedesco del comitato esecutivo della Bce, Isabel Schnabel, in un’intervista al giornale greco To Vima, ha detto che il piano da 750 miliardi (Pepp) con il quale la Banca centrale europea comprerà titoli pubblici e privati rappresenta “la nostra risposta a questo shock economico straordinario causato dalla pandemia”. Si tratta di un piano “temporaneo, significativo per dimensioni ed elastico”, ha aggiunto precisando che “durerà fino a quando la crisi sarà finita, ma comunque almeno fino alla fine dell’anno”.

Ma non chiude alla possibilità di ricorrere ai coronabond: “L’emissione una tantum dei coronabond potrebbe essere una possibilità”, continua aggiungendo che “ci sono altri strumenti che potrebbero essere utilizzati, come un Fondo di salvataggio dell’Ue oppure misure che coinvolgono il Mes o la Banca Europea per gli Investimenti“.

E lancia un messaggio alle banche: “La crisi avrà certamente effetti negativi sulle banche, ma questa volta gli istituti di credito non sono la causa della crisi, ma piuttosto devono essere parte della soluzione visto che si trovano in una posizione migliore, con più capitale e liquidità”.

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Coronavirus, il teologo Mancuso: “Perché abbiamo così paura? E’ piccolo, ma sconosciuto: sembra più grande di noi. Ma può essere un’occasione per conoscere se stessi e diventare migliori”

Uno dei fenomeni che inevitabilmente ha accompagnato queste settimane di epidemia è stato quello della paura. Una paura gigante, che ha contagiato quasi ogni angolo della Terra e che ha atrofizzato la vita di milioni di persone. “Siamo al cospetto di qualcosa di molto più grande di noi” dice a ilfattoquotidiano.it Vito Mancuso, teologo milanese, estimatore ricambiato del cardinale Carlo Maria Martini, autore di molti libri di successo sulla religione e in senso più ampio sulla spiritualità. “Se riusciamo però a interpretare i segnali della paura – continua Mancuso – possiamo imparare a diventare liberi”.

La paura è una cosa negativa, ma molto spesso ne siamo affascinati. Penso ai film horror, ai luoghi abbandonati, alle esperienze estreme. Perché?
Penso che sia per una legge fisica, la legge dell’attrazione gravitazionale, quella in base alla quale una massa maggiore attrae una massa minore. Perché abbiamo paura? Perché è qualcosa più grande di noi. Il virus è piccolo ma moltiplicandosi diventa enorme e attrae la nostra massa minore.

Un’attrazione magnetica?
È quell’ambiguo rapporto di attrazione e repulsione, quell’allontanarsi ma al contempo andare a vedere, come di fronte a un burrone: con una gamba sto indietro, con l’altra invece mi avvicino e voglio vedere. Quest’ambiguità si riproduce oggi nella nostra situazione. Ci troviamo al cospetto di qualcosa di molto più grande di noi, qualcosa di sconosciuto, che fa tanta paura e soprattutto dolore per chi ha perso i propri cari. Nei suoi confronti però è possibile provare anche una sorta di attrazione che può diventare quasi fatale.

Possiamo dire che c’è qualcosa di bello nella paura?
La categoria estetica che costituisce la percezione più integrale della bellezza non è quella del bello ma quella del sublime. Nel sublime è presente anche quell’attrazione che viene generata dal brutto, dal disarmonico, l’orrido, il grottesco, quindi il pauroso e il terribile. Mentre l’estetica classica sottolinea il primato unilaterale dell’armonia, intesa come ordine, bellezza e proporzione, esiste anche una dimensione estetica che fa leva sulla disarmonia, la paura e il brutto.

Possiamo superare la paura?
Noi non siamo del tutto liberi, però lo possiamo diventare. La paura è l’emozione negativa che si produce in noi quando la mente capta dei segnali che generano un senso di pericolo nell’ambiente circostante. Captare questi segnali e decifrarli correttamente è fondamentale per capire di essere esposti a forze più grandi di noi; solo quando realizziamo di essere incatenati possiamo iniziare il percorso per sciogliere almeno in parte queste catene.

La paura c’entra qualcosa con il divino?
Se andiamo a vedere nella storia delle religioni come la religiosità umana si è configurata, certamente una delle due dimensioni costitutive del fenomeno divino ha a che fare con la paura. L’altra con il fascino. Questa è stata la grande lezione dello studioso Rudolf Otto, che ha spiegato come il sentimento del sacro nell’umanità si basi su due esperienze fondamentali, il mysterium tremendum e il mysterium fascinans, laddove tremendum va interpretato come ciò di fronte a cui devi tremare. Si trema di fronte alla paura, quindi timore e tremore, che può diventare anche terrore. Il senso del divino si genera anche da questa dimensione.

E l’altra dimensione?
È quella della tenerezza. Fascinans è da intendersi proprio come ciò che abbraccia, ciò che crea un fascio dentro al quale voglio essere avvolto, essere insieme, aggregarmi, abbracciarmi: è il sentimento proprio dell’intimità, che pure è alla base delle religioni mondiali. Questo contrasto tra paura e tenerezza vale per tutte le religioni.

E con la politica, invece, quale rapporto ha la paura?
È evidente che i politici hanno molto a che fare con le paure della gente, un po’ suscitandole, un po’ combattendole. Essendo la paura una componente essenziale della dimensione umana, è inevitabile che sia così. A mio avviso ci sono due tipi di acquisizione del consenso politico, irrazionale e razionale, e il primo fa molto leva sulla paura. Esige che le persone siano spaventate, che abbiano un nemico, per instillare in esse il bisogno della propria soluzione politica, che quasi sempre coincide con quella dell’uomo forte e dirigente. La gente deve sentire paura di fronte a qualcuno di specifico affinché ci si possa offrire come grandi guerrieri nei confronti del nemico.

L’altro tipo invece?
È quello razionale, che riconosce le paure ma fa in modo che non diventino fobie – perché la paura quando non viene riconosciuta ma viene nutrita diventa fobia, terrore, persino panico. È l’acquisizione che si basa su argomenti razionali, che considera i propri “nemici” come avversari e non come nemici, che cerca di favorire il bene comune, il dialogo, la cittadinanza critica, ecc. Questa è la via razionale e democratica. Naturalmente, quella che sta vincendo oggi è l’altra.

Secondo alcune scuole la filosofia e la scienza hanno la stessa origine antropologica: tenere sotto controllo la paura. Concorda?
Paura in greco si dice Phobos, ma si può anche dire Thauma, che significa “meraviglia” nel duplice senso del termine: positivo, come quando ci stupiamo della bellezza delle cose; negativo, come quando ci troviamo di fronte a uno scandalo che suscita indignazione e orrore. La filosofia nasce da queste due dimensioni, non solo dalla paura, ma anche dal senso del bello. E così anche la scienza. Da un lato si celebra il mondo come un orologio dove tutto fa tic-tac nel modo più regolare possibile, dall’altro si ha che fare con il disordine, la malattia, la morte.

La paura può avere un significato positivo nella nostra vita o dobbiamo evitarla in tutti i modi?
Non si può sfuggire la paura. Sottrarvisi significa cadere nell’estremo negativo della temerarietà. Le virtù secondo Aristotele, e io sono completamente d’accordo con lui, sono sempre il frutto di un punto di equilibrio, di una medietà. La paura si sconfigge con il coraggio, che è un punto di equilibrio tra l’estremo della vigliaccheria e quello della temerarietà. Il vigliacco è colui che diventa preda della paura, non la vince e scappa; il temerario è colui che non legge in alcun modo i segnali che la mente gli dà, e fa finta che non ci sia la paura.

Anche la temerarietà è negativa quindi?
Tanto quanto la vigliaccheria, perché non avvertire i segnali del pericolo significa andare a sbattere, annegare, naufragare. La paura è negativa ma importante, per questo non bisogna ignorarla. Essa arriva prima o poi nella vita, si tratta quindi di captarne il messaggio e di agire di conseguenza. La mente è vera quando è in relazione, è autentica quando è aperta. È un sistema che funziona nella misura in cui è aperto: solo in questo modo può ospitare i vari segnali della vita, uno dei quali è la paura.

La paura può essere un’occasione per diventare migliori?
Certamente. Una delle maniere per diventare migliori è conoscere se stessi. E come mi conosco? Chiedendomi ad esempio di cosa ho paura e in che misura. Ci sono diverse scale: un conto è la paura, un conto è la fobia, cioè la paura irrazionale di fronte alla quale perdo la capacità di agire. Un’altra cosa ancora è l’inquietudine, cioè la paura permanente che rimane sempre dentro di me e che diventa ansia, terrore, panico. È importante saper distinguere i vari gradi.

In questo modo è possibile conoscersi meglio.
Certo, la paura però può anche essere un’occasione per diventare peggiori, nella misura in cui non leggo i vari segnali e non li interpreto. A mio avviso il criterio che ci fa capire che stiamo diventando migliori è la luce della conoscenza. Non è l’unico, ce ne sono anche altri, come la qualità delle relazioni, la capacità delle generosità, eccetera, ma è il più importante. Conoscere se stessi nelle proprie paure quindi è certamente una via per diventare migliori.

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Coronavirus – Viaggio nella Milano sospesa: tra conta delle vittime, danno economico e nuovi poveri. “Ma pronti quando si potrà ripartire”

Alle 10 in punto lungo la banchina della stazione di Porta Genova non c’è nessuno. Sui vagoni della linea verde viaggiano in otto. Uno in più da Sant’Agostino in poi, un altro sale a Sant’Ambrogio, due a Cadorna e Lanza. Zero a Garibaldi, solitamente crocevia di migliaia di vite della Milano che andava a cento all’ora e oggi vive sospesa nel silenzio. Il calo dei passeggeri nella metropolitana è una fotografia nitida del rallentamento della città: 70mila al giorno rispetto agli 1,4 milioni trasportati normalmente. Meno -95%. Appena fuori dalle scale mobili della fermata Gioia resistono le locandine del Bergamo Jazz Festival in programma dal 15 al 22 marzo. Una settimana in cui tra capoluogo e provincia, nella Bergamasca, sono stati scoperti 2.800 casi di coronavirus e i decessi ufficiali sono stati centinaia. Poco dopo è arrivata l’ondata anche in città, con oltre mille morti nello scorcio finale del mese.

La piazza simbolo svuotata. E la torre Unicredit quasi deserta
È mercoledì mattina e lungo le viuzze della Biblioteca degli alberi scodinzolano tre cani con i padroni e un runner, imperterrito, scappa via verso il Bosco Verticale. I prati che in primavera ospitano le prime pause pranzo al sole e le aree giochi per i bambini sono delimitate con il nastro rosso e bianco della Polizia Locale, come fossero una scena del crimine. Piazza Gae Aulenti, simbolo della Milano che negli ultimi dieci anni si è rifatta il trucco, è vuota. Sono sbarrati tutti i grattacieli. La torre Unicredit con il suo pennacchio è quasi deserta. “A regime qui lavorano più di 4mila dipendenti. Oggi la presenza è ben sotto al 10%”, dice la banca assicurando che a chi entra in sede o negli altri edifici di direzione viene misurata precauzionalmente la temperatura con il termoscanner. Nelle poche filiali rimaste aperte – ne sono state chiuse 33 su 55 – si lavora su turni e i clienti entrano solo su appuntamento. Sarà qui e nelle altre sedi dei grandi istituti bancari che si giocherà una fetta della ripartenza di Milano e, dietro alla locomotiva, del resto dell’Italia. “La sfida è sostenere le piccole e medie imprese, che sono il tessuto economico e produttivo e la base della ricchezza del Paese rappresentando il 60-70% dei posti di lavoro – spiegano da Unicredit – E devono quindi essere messe in condizione di attraversare questa fase di secca, anche per tutelare l’occupazione”. Che sarà la prossima preoccupazione della Milano che “fà e desfà l’è tut un laurà”. Tra turismo dall’estero che, con ogni probabilità, resterà ancorato al palo a lungo e un pezzo di città che ruota attorno a servizi di ristorazione ed eventi. Il Salone del Mobile, principe degli appuntamenti milanesi, è stato cancellato e nei prossimi mesi sarà difficile tenere insieme le ‘Week’ con le misure anti-Covid.







Gli ultimi ora visibili ma sempre più soli (e in aumento)
Senza contare la vita notturna, caratteristica e altro motore della città. Tra corso Como e largo La Foppa, una delle zone più frequentate dello struscio serale, solo Eataly resiste alla chiusura. In piazza Venticinque Aprile non c’è nessuno se non quattro clochard e i loro fagotti all’ombra di Porta Garibaldi. Nella quotidianità perduta di Milano erano gli invisibili, invece, insieme ai rider che sfrecciano lungo le strade deserte, oggi sono più visibili e soli che mai. Si è fermato Pane Quotidiano, punto di riferimento per centinaia di poveri ogni giorno, mentre l’Opera San Francesco ha chiuso la mensa di corso Concordia e distribuisce circa 2.400 pasti in un sacchetto invitando a consumarli altrove. E le richieste aumentano, come testimonia il +30% di pacchi di viveri offerti dalla Caritas ambrosiana. La crisi, evidentemente, sta toccando anche chi fino a poche settimane fa riusciva a mettere un piatto in tavola senza essere costretto a chiedere. La sfida del Comune, per ora, è riuscire ad assistere tutti con i 7,2 milioni messi a disposizione del governo per i buoni spesa, grazie alle donazioni dei privati e al lavoro della rete di associazioni solidali. Poi verrà la scommessa cruciale: far coesistere e avvicinare la Milano al di là dei viali ora vuoti delle circonvallazioni con quella più vicina alla cerchia delle mura.

Pubblicità e orologi, la città ferma al 9 marzo
Puntando verso Brera, gli unici rumori sono le sirene delle ambulanze, lo sferragliare dei tram e quello di una perpetua che passa l’aspiravolvere sui marmi della chiesa del Carmine. La città si è fermata nella notte tra il 7 e l’8 marzo. Lo raccontano vecchie pubblicità, il cartellone che annuncia il concerto mai nato di Brunori Sas in programma il 13 marzo al Forum di Assago e l’orologio a led di un negozio di articoli sportivi che segna le 9.58 quando mancano 2 minuti alle 11. Come se l’ora legale non fosse mai tornata. Il consueto brulicare tra negozi di design e scintillanti locali turistici si è trasformato in code mute fuori da un forno e davanti al lampeggiare delle luci verdi delle farmacie. Quella all’angolo con via Pontaccio ha la serranda abbassata: “Battenti chiusi, servizio attivo”, hanno scritto sui cartelli all’esterno con i quali annunciano che le mascherine ci sono. Fanno 2,50 euro l’una per quelle chirurgiche usa e getta. La Milano che sa cavalcare le mode ha trovato il suo pertugio anche nell’emergenza.

La moda ibernata. Capasa: “Danni enormi”
Quella dei lustrini e dell’abito all’ultimo grido è invece ibernata. Da corso Buenos Aires a via Montenapoleone le uniche buste piene sono quelle della spesa nei supermercati. Idem nel cuore di una corso Vittorio Emanuele spettrale, dove un senzatetto ha piantato una tenda verde sotto il porticato a due passi da piazza San Babila: le grandi griffe hanno vetrine già quasi demodé, tra ultimi fuoritutto marzolini e primi capi primaverili. “In città ci sono 800 showroom che rappresentano 3mila brand”, fa di conto Carlo Capasa, presidente della Camera della Moda. Dietro le vetrine immobili, c’è un motore fermo. “Parliamo della seconda industria italiana, che da sola rappresenta il 41% della produzione europea – spiega a Ilfattoquotidiano.it – Una catena chiusa che ha già perse l’ultima coda della produzione primavera-estate. Non siamo riusciti a mandare la merce nei Paesi orientali, dove il mercato sta ricominciando. Un danno enorme”. Anche perché sono diversi gli appuntamenti mancati: “Le collezioni crociera di maggio sono ormai andate. La Fashion Week uomo di giugno è stata spostata a settembre – elenca Capasa – E abbiamo posticipato all’autunno una round table sulla sostenibilità che solitamente si tiene a maggio”. Il settore chiede di tutelare innanzitutto le piccole aziende e di fare ognuno la propria parte: “Imprenditori, governo e Unione Europea remino nella stessa direzione, altrimenti non se ne esce – ragiona Capasa – E permettiamo di pagare le imposte direttamente a fine anno o impicchiamo chi è già a corto di liquidità”.

Senza Salone del Mobile e fiere, il lamento degli albergatori
Problemi che il virus ha replicato di settore in settore. “La situazione è tirata, speriamo che il mercato italiano riparta presto. L’estero resterà una chimera fino agli ultimi mesi dell’anno”, lamenta Maurizio Naro di Federalberghi. Il comparto a Milano conta 400 strutture con 35mila camere per un totale di 55mila posti letto e 12mila occupati diretti, ai quali bisogna aggiungere i servizi in outsourcing, dalla ristorazione alle pulizie e alle manutenzioni. “Gli studi dei consulenti ci hanno prospettato diversi scenari. Tutto concordano in un ritorno, forse, al segno più nel 2021. Ci aspettiamo un tasso di occupazione delle camere molto basso nei prossimi 7-8 mesi”. Senza Salone del Mobile, secondo Federalberghi, sono già scomparsi circa 120 milioni di euro di fatturato. A marzo sono evaporati altri 100 milioni. “E parliamo solo di camere. Se aggiungiamo ristorazione e convegni la cifra lievita attorno ai 350 milioni. Sono soldi che non recupereremo”, dice Naro spiegando che il coronavirus ha fatto tabula rasa di congressi e fiere già programmati fino a luglio. “C’è la speranza di vedere delle conferme da settembre. E poi bisognerà capire cosa rimarrà in tasca ad aziende e famiglie per viaggi di lavoro e di piacere. Un punto, quest’ultimo, sul quale ci siamo già fatti sentire”. L’idea degli albergatori è quella di “permettere di detrarre dalla dichiarazione dei redditi le vacanze fatte in Italia, facendo riscoprire il nostro Paese e aiutando le imprese senza ossigeno”. Solo attorno al Duomo sono una trentina ad aver sbarrato le porte.







Il Duomo deserto tra militari e piccioni
“Non siamo fatti per fermarci, ma solo per ripartire ancora più forti”, si legge sulle vetrine della vicina Rinascente che, alla vigilia dell’inaugurazione nel 1917, venne distrutta da un incendio e oggi è ancora lì. La piazza di fronte alla basilica è presidiata da poliziotti, carabinieri e militari. Sfreccia qualche corriere, volano i piccioni. Dentro la Galleria Vittorio Emanuele rimbomba ogni passo e davanti a Palazzo Marino due agenti della Polizia Locale ricordano a un cittadino in cerca di informazioni che non è proprio possibile entrare nella sede del Comune. Le camionette dell’Esercito sono accanto alle barriere di cemento, posizionate agli accessi di piazza Duomo nell’agosto 2017 dopo gli attentati di Barcellona. Dovevano servire a riparare dallo spettro del terrorismo, una minaccia che oggi appare lontana di fronte al coronavirus che Milano ha visto arrivare e non è riuscita a stoppare.

I pubblici esercizi e la paura per il turismo estero in calo
Lungo via Torino, davanti alle colonne di San Lorenzo e risalendo corso di Porta Ticinese #Milanononsiferma sembra ieri. Ora c’è una mamma a spasso con il figlio per una boccata d’aria e due finanzieri che chiedono l’autocertificazione a quei pochi che passano. Pokè house, ristoranti, hamburgerie e pizzerie si arrangiano come possono con il delivery. Un palliativo. “Prevediamo una perdita di fatturato nei pubblici esercizi di circa il 40 per cento nel corso del 2020”, stima Lino Stoppani, presidente di Fipe-Confcommercio. “Circa 5mila posti di lavoro aggiuntivi che il settore genera nel periodo febbraio-giugno sono già andati in fumo e se la contrazione sarà confermata sono a rischio altre 20mila persone”, aggiunge. Il comparto a Milano conta circa 9mila attività, spiega Stoppani, che ogni settimana producono un fatturato di “oltre 100 milioni” e un valore aggiunto di circa 88. “Il cibo, dopo l’arte, è la maggiore attrazione turistica del Paese – aggiunge – e il primo per il quale si torna in Italia una seconda volta. Se impoveriamo l’offerta, nel lungo periodo rischiamo di perdere attrattività. Chiediamo tutele perché sarà già difficile sopportare nei prossimi mesi l’assenza degli stranieri”. A Milano, dati Istat, gli arrivi dall’estero sono stati 12,1 milioni nel 2018 rappresentando il 64,9% dei turisti in città.

I Navigli immobili e i ristoratori al servizio della trincea
La scorsa estate passeggiavano a frotte tra la Darsena e il Naviglio Grande, dove prima del decreto una catena di vinerie stava per aprire un nuovo punto vendita. L’opening soon sulla facciata resterà lì per un po’ e lo stesso faranno gli ombrelloni chiusi delle altre decine di locali affollati fino ai primi di marzo. In questa e in altre zone, da Porta Romana a Isola, gli ultimi cinque anni sono stati un fiorire di inaugurazioni e ristrutturazioni sulla spinta di Expo 2015. Spesso giovani imprenditori, che ora si reinventano. Alberto Cartasegna, ceo e fondatore di miscusi, cinque locali in città e 300 dipendenti in Italia, ha chiuso prima che il governo imponesse la serrata. “Abbiamo lanciato la miscusi bottega, un negozio virtuale nel quale poter acquistare la pasta ed i condimenti per poi replicare a casa propria i piatti e siamo attivi con il delivery. Quella che verrà sarà una Milano diversa, mi auguro più attenta alle imprese e ai piccoli negozi”, spiega. Coinvolgimento viene chiesto anche da Stefano Saturnino, fondatore di Pizzium, 17 locali in città e 8 aperture previste nel 2020: “Sarà necessario sedersi a un tavolo con la Regione, che pare curerà la ripartenza. Milano è da sempre spinta da imprenditori preparati e sicuramente, in un modo o nell’altro, tornerà a essere la città che tutti conosciamo, a patto che queste persone vengano davvero coinvolte nella ricostruzione”. Nel frattempo entrambi, con altri 8 ristoratori, da metà marzo consegnano pasti gratuiti a medici e infermieri negli ospedali. Un servizio alla città. Silenziosamente, da settimane, ne svolgeva uno simile il tassista Giuseppe Allegri, 63 anni, portando i sanitari dalla zona di Famagosta al San Paolo. Poi si è ammalato e in quello stesso ospedale è deceduto. Come lui altre centinaia di contagiati da Niguarda a Lorenteggio negli ultimi dieci giorni di marzo. Nel silenzio di una Milano sospesa.

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Il Mes è il prestito di tuo suocero, i coronabond sono i soldi che ti regala tuo padre

Il “banchese”, ancor più del “politichese”, è un linguaggio difficile da comprendere. Criptico, talvolta subdolo, è utilizzato dal popolo dei banchieri/bancari per confondere i cittadini italiani che, comunque, hanno la corresponsabilità di essere gli ultimi in Europa in termini di cultura ed educazione finanziaria. Una miscela esplosiva che spesso viene sottovalutata anche dai media che riportano frasi, dichiarazioni e interviste di addetti ai lavori nella piena consapevolezza che non solo non saranno capite dai lettori, ma probabilmente neanche da chi le pubblica senza le opportune didascalie e i relativi “sottotitoli”.

Prendiamo ad esempio l’intervista rilasciata da Antonio Patuelli, presidente dell’Abi (Associazione Bancaria Italiana) per il Dubbio. Cosa ha voluto dire? Quali messaggi ha lanciato?
Cercheremo di decriptarli. In sostanza si tratta di 7.500 battute utilizzate per affermare solo due concetti. Il resto è fuffa.

Innanzitutto Patuelli ha ribadito che la crisi post-pandemia sarà finanziata con una iniezione di liquidità che le banche metteranno in circolo solo dietro garanzia “piena” dello Stato. In altri termini se il governo ha deciso di aiutare anche chi, secondo gli schemi bancari, non è meritevole di credito deve assumersi l’onere di restituire quanto ottenuto dal singolo cittadino (lavoratore autonomo o dipendente) o dalla impresa “a prima chiamata”, cioè dietro semplice richiesta della banca anche dopo il mancato pagamento di una sola rata di rimborso del prestito.

Solo per inciso occorre ricordare che il “merito del credito”, attualmente stabilito dal sistema bancario secondo l’accordo interbancario di Basilea, è abbastanza rigido e prevede che un cittadino o impresa non possa accedere ad alcun finanziamento anche se non ha pagato una sola rata del prestito, ottenuto magari per pagare il materasso acquistato da Mastrota in tv.

In secondo luogo Patuelli esprime la sua opinione sulla classica domanda che in questi giorni si sta ponendo una percentuale molto bassa del popolo italiano: Mes o euro(corona)bond? Da dove prenderanno i soldi i paesi dell’Eurozona per sostenere le misure straordinarie di sostegno dovute alla pandemia? Io credo che agli italiani, sempre poco attenti alle dinamiche finanziarie, interessi poco. È importante che quei soldi arrivino. E in fretta. Il resto non conta.

Ad ogni modo Patuelli dà una sua affermazione (“…se un privato fa i debiti, non può scaricarli sulla comunità. Vale anche per gli Stati…”) lascia percepire che il suo orientamento è pro Mes. Vogliamo rendere quanto più semplici, se non semplicistici, questi concetti? Volendo esasperare il pensiero, possiamo dire che la differenza tra le due forme di assistenza è quella che passa tra i soldi prestati da tuo suocero e quelli che ti regala tuo padre.

Il Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) nasce nel 2010-2011 quando alcuni paesi Ue si trovarono sull’orlo del fallimento finanziario. All’epoca ci si scontrava con l’art. 123 dei Trattati Europei che vieta agli stati membri (e alla Bce) di ‘salvare’ paesi in difficoltà basandosi sulla logica che gli stati membri non devono essere incentivati a indebitarsi nella convinzione che altri paesi correranno in loro soccorso.

Ma i tempi erano eccezionali e la crisi mordeva l’economia reale e tagliava posti di lavoro. Da qui l’aggiramento dell’art. 123 prima con un fondo temporaneo (l’Efsf che aveva già concesso 175 miliardi di euro di prestiti a Irlanda, Portogallo e Grecia) e poi con uno permanente, il Mes, peraltro, ricordiamolo, dietro forte richiesta dell’Italia che rischiava di non avere ancore di salvezza europee nel caso i suoi titoli del debito pubblico (Bot, Btp, Cct) non venissero più sottoscritti.

Il Mes (o Fondo Salva Stati) ha un capitale di 700 miliardi di euro a cui gli stati membri contribuiscono pro-quota con la Germania come primo contributore (quasi il 27%) e l’Italia con il 18%. Il Mes può concedere prestiti ai paesi in difficoltà – e lo ha fatto finora con Cipro (€ 6,3 miliardi), Grecia (€ 61,9 miliardi) e Spagna (€ 41,3 miliardi) – ma a fronte di una rigida condizionalità. In pratica chi riceve i prestiti si obbliga ad approvare un memorandum d’intesa (MoU) che definisce con precisione e rigore quali misure si impegna a prendere in termini di tagli al deficit/debito e di riforme strutturali. Chi prende i soldi diventa schiavo. Soprattutto della Germania, azionista di maggioranza del Fondo.

Gli eurobond o coronabond sono, invece, un ipotetico (perché ancora mai attuato) meccanismo solidale di distribuzione dei debiti tra gli Stati dell’Eurozona, attraverso la creazione di obbligazioni del debito pubblico dei Paesi stessi. In parole povere, uno Stato membro chiede soldi in prestito per poter finanziare le proprie opere di intervento – quelle classiche (sanità, infrastrutture, spese militari, etc) e quelle straordinarie, non programmate, com’è appunto il caso dell’emergenza coronavirus – e il debito viene spartito tra tutti gli Stati membri.

Ed è per questo che la Germania, che è considerata virtuosa, per via dei suoi conti in ordine, rispetto a Paesi come l’Italia e più in generale i Paesi del Sud dell’Europa, ancora una volta frena su questo progetto.

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Coronavirus, oltre mille morti in Germania. Usa, scorta al ‘virologo in chief’ Anthony Fauci. Nel mondo più di 53mila vittime

Oltre 1100 vittime nelle ultime 24 ore – 6.058 in tutto – e più di 245mila contagi. I numeri dell’epidemia negli Stati Uniti continuano a salire, con un solo stato, il Wyoming, non ancora toccato dal Covid-19. Intanto è stata aumentata la sicurezza personale per il virologo Anthony Fauci, dopo le minacce di morte ricevute online, arrivate dopo avere contraddetto il presidente americano Donald Trump e per questo accusato di voler ostacolare una sua rielezione promuovendo misure per il distanziamento sociale. In tutto nel mondo sono più di un milione i casi di contagio – 1.016.128 -, i morti 53.146 e le persone guarite 211.615.

La Germania, intanto, dopo avere superato la Cina per numero di contagi, registra oltre 1.017 morti. È invece salito a 79.696 le persone che hanno contratto l’infezione.

Usa – Con 1.169 vittime nelle ultime 24 ore, gli Stati Uniti hanno ora il triste primato del maggior numero di vittime in un giorno dall’inizio della pandemia, superando il record italiano dei 969 morti del 27 marzo. Gli Usa hanno al momento 243.453 casi positivi, più del doppio dell’Italia, e quasi 6.000 decessi, secondo i dati della Johns Hopkins University.

Cina – 870 casi ‘importati’ dall’inizio dell’emergenza in Cina, primo Paese al mondo a fare i conti con Covid-19. La Commissione sanitaria nazionale ha precisato che tra gli 870 casi ci sono 19 persone in gravi condizioni, mentre sono 160 quelle dimesse dagli ospedali. Oggi le autorità sanitarie hanno confermato 29 nuovi casi ‘importati’, quattro dei quali a Shanghai: due persone rientrate dalla Russia, una dal Regno Unito e una dall’Olanda. La Commissione sanitaria nazionale ha inoltre confermato che sono in totale 1.027 i soggetti asintomatici. Nella Repubblica Popolare il bilancio complessivo parla di 3.322 morti con coronavirus e 81.620 contagi. Diversi i dati della Johns Hopkins University, che riferisce invece di 82.464 casi e 3.326 morti nel gigante asiatico.

Corea del Sud – La diffusione del Covid-19 si stabilizza, ma restano criticità sulle infezioni importate e sui focolai a Seul e nelle zone limitrofe: i casi di giovedì si attestano a 86, superando quota 10mila nel complesso, a 10.062. I decessi salgono a 174 (+5) e sono 22 i casi importati, per totali 647, ha aggiunto la Kcdc. I dimessi dagli ospedali sono 193, a 6.021, pari al tasso di guarigione del 59,8%. Allo stato, sono 3.867 le persone ancora in cura, in calo sulle 3.979 di mercoledì.

Israele – 7030 positivi e 36 decessi. Al momento 95 malati sono in rianimazione e altri 115 sono giudicati in condizioni gravi. Quasi 4000 dei contagiati si curano in casa ed altri 700 in stanze di albergo messe a loro disposizione dalle autorità. Il numero dei guariti e dimessi è intanto salito a 357.

Giappone – A Tokyo la situazione è “sempre più grave”, avverte la governatrice della città, Yuriko Koike, mentre nella capitale continua a crescere rapidamente il numero di casi di coronavirus. Ieri le autorità ne hanno confermati 277 in tutto il Paese, 97 dei quali a Tokyo, un brutto record per la città. “Ho detto molte volte che Tokyo è in una situazione grave, che potrebbe verificarsi un’esplosione” di casi di coronavirus e “questa situazione è diventata ancora più grave”, ha avvertito la governatrice, che da giorni chiede agli abitanti di rimanere in casa e che anche in queste ore ha rilanciato il suo appello. Ad oggi in Giappone i casi confermati di coronavirus sono 3.508, compresi – secondo la tv Nhk – i 712 a bordo della nave da crociera Diamond Princess che è stata in quarantena a febbraio nel porto di Yokohama. Sono 84 i morti con coronavirus in Giappone. Il governo è pronto ad approvare un piano di sostegno economico per far fronte all’emergenza che prevede l’erogazione di 200mila yen in contanti, l’equivalente di 1.700 euro, alle famiglie con un basso reddito, per ravvivare i consumi.

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Coronavirus, la diretta – Borrelli: “Credo che staremo a casa anche il 1 maggio e per molte settimane”. Il viceministro Misiani: “Non siamo in condizioni di dare date per la riapertura di attività produttive”

Oltre a Pasqua e Pasquetta, anche il 1 maggio lo passeremo chiusi in casa? “Credo proprio di sì, non credo che passerà questa situazione per quella data. Dovremo stare in casa per molte settimane”. Così ha detto il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli ribadendo la necessità di continuare a tenere “comportamenti rigorosissimi”. D’altra parte i dati di ieri dimostrano che la curva dei contagi è tornata sì ad appiattirsi con oltre 4mila nuovi casi e un tasso di crescita del 4,22%, ma il numero delle vittime resta ancora alto, con 760 persone decedute nelle ultime 24 ore (leggi gli aggiornamenti della Protezione civile). Per questo, ha proseguito Borrelli, spiegando che il coronavirus “cambierà il nostro approccio ai contatti umani e interpersonali” e “dovremo mantenere le distanze” per diverso tempo: “Dobbiamo andare avanti con il massimo rigore e usare misure forti e precauzionali”, anche perché non è esclusa la possibilità che vi possa essere un ritorno del virus, come dimostrano le nuove misure in Cina.

È quindi ancora presto per pensare alla riapertura delle attività produttive: “Non siamo in condizioni di dare date per la riapertura di attività economiche e produttive attualmente ferme”, ha ribadito Antonio Misiani viceministro dell’Economia e delle Finanze, a 24 mattino su Radio24. “Abbiamo sempre detto che ciò che conta è il parere delle autorità mediche e scientifiche, quando ci diranno che l’epidemia è sotto controllo e la curva è su livelli di stabilizzazione allora potremo passare a quella che Conte ha definito ‘fase 2’ che va progettata da subito – ha proseguito – perché la riapertura sarà graduale e connessa alla necessità di garantire la sicurezza ai lavoratori e bisogna iniziare a immaginare chi potrà riaprire e dovrà restare fermo. La stessa Cina ha attivato una riapertura graduale”. Così, dopo l’ufficializzazione che la quarantena per gli italiani durerà almeno altre due settimane, il governo prepara i provvedimenti in discussione sul tavolo del prossimo consiglio dei ministri in programma oggi nel pomeriggio ma che potrebbe slittare nel weeekend.

CRONACA ORA PER ORA

10.45 – Francia, il ministro Le Maire: “Decisioni non chiacchiere dall’Ue”
“Decisioni, non chiacchiere”: questo il monito lanciato ai partner dell’Unione europea dal ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire, che intervistato questa mattina da France 24 e RFI ha sottolineato la cruciale necessità che la riunione dei ministri delle Finanze Ue di martedì prossimo possa sfociare su delle “decisioni” e non resti alle “chiacchiere”, in un contesto in cui Germania e Paesi Bassi si oppongono all’introduzione degli eurobond invocati a gran voce da Paesi come l’Italia e la Francia.

10.30 – Borrelli: “La fase 2 a metà maggio? Potrebbe essere prima o dopo, dipende dai dati”
La cosiddetta ‘fase 2’ di convivenza con il coronavirus potrebbe iniziare a metà maggio, anche se al momento non c’è alcuna certezza. Lo ha spiegato il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli a ‘Circo Massimo’ su Radio Capital ricordando che se si faranno tamponi a tappeto, indagini sierologiche e demoscopiche sulla rete di contagi, spetterà agli esperti del comitato-tecnico scientifico deciderlo. E su questo si sta già lavorando. Il 16 maggio potrebbe essere la data giusta per la fase 2? “Se l’andamento non cambia, potrebbe essere, come potrebbe essere prima o dopo, dipende dai dati” ha risposto Borrelli sottolineando che al momento la situazione è stazionaria”. “Dobbiamo vedere quando questa situazione inizia a decrescere. Non vorrei dare delle date, però da qui al 16 maggio potremo aver dati ulteriormente positivi che consigliano di riprendere le attività e cominciare quindi la fase 2.

10.20 – Crolla al minimo storico indice Pmi della Germania
Crolla al minimo storico l’indice Pmi composito della Germania che sintetizza l’andamento dell’attività manifatturiera e dei servizi. A marzo l’indice rilevato da Ihs Markit è sceso a 35 punti dai 50,7 di febbraio, un livello mai registrato nelle serie storiche. Minimo storico anche per i nuovi ordini calati a 31,2 punti da 50,2 del mese prima e per l’indice dei servizi crollato a 31,7 punti da 52,5 di febbraio.

10.15 – Istat: reddito e potere d’acquisto in calo a fine anno
Il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e dello 0,4% in termini reali, ovvero di potere d’acquisto. Lo rileva l’Istat, sottolineando che il reddito disponibile in termini nominali segna un calo “dopo la crescita osservata nei primi nove mesi dell’anno”. Quanto alla capacità di spesa, la riduzione “è stata più accentuata – si spiega – per la dinamica positiva dell’inflazione”.

10.00 – Borsa di Milano apre in calo
La Borsa di Milano (-1,4%) prosegue in calo, in linea con gli altri listini del Vecchio continente. A Piazza Affari soffrono le banche e i titoli legati al petrolio, dopo il calo del prezzo del greggio. Lo spread tra Btp e Bund sale a 192 punti base con il rendimento del decennale all’1,47%. In fondo al listino principale Azimut (-3%). Male anche Unipol (-2,8%), dopo lo stop al dividendo per l’emergenza coronavirus. In rosso Eni (-2,06%), Snam (-2,4%) e Tenaris (-1%). Scivola anche il comparto dell’auto con Fca (-1,5%), Ferrari (-2,9%) e Cnh (-1,4%). Soffrono le banche con Unicredit (-2,3%), Banca General (-2,2%), Mediobanca e Intesa (-1,9%). In controtendenza Atlantia (+4,1%), con il susseguirsi delle indiscrezioni su una possibile soluzione che riguarda Aspi. Bene anche Nexi (+2,2%), Leonardo (+2,1%) e Buzzi (+1,9%).

9.50 – Più dimessi che ricoverati a Bergamo
Ieri sono state 26 le persone che hanno lasciato l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e 20 i nuovi ricoveri. E’ la prima volta dall’inizio dell’emergenza. A riportare il dato è ‘L’Eco di Bergamò che registra anche una diminuzione delle pagine dei necrologi: sette, mentre nei giorni scorsi erano arrivate anche ad essere una dozzina. “E’ un segnale – ha spiegato il direttore sanitario dell’ospedale Fabio Pezzoli che ha commentato il dato degli accessi e delle dimissioni – ma la guardia deve restare alta”.

9.30 – 80enne positiva al virus scappa dall’ospedale di Pontedera
Una donna di 80 anni, vestita con il pigiama e un camice azzurro, è scappata dall’ospedale di Pontedera (Pisa), dove era ricoverata perché positiva al coronavirus, ma è stata bloccata a circa due chilometri di distanza dalla struttura sanitaria e riportata nel reparto di degenza. È accaduto ieri mattina: è stato un funzionario del Comune di Pontedera a notarla e a dare subito l’allarme al comando della polizia locale che aveva già ricevuto la segnalazione della scomparsa dal reparto dell’ospedale. Sul posto sono state inviate le pattuglie della stessa polizia locale, dei carabinieri e della polizia. Militari e agenti hanno chiuso la strada, deviato il traffico per evitare qualsiasi tipo di vicinanza con la donna. L’anziana è stata nuovamente ricoverata nel reparto del Lotti.

9.15 – Pregliasco: “Lombardia sconta almeno 12 giorni di ritardo nelle chiusure”
“Sicuramente la Lombardia sconta almeno 12 giorni di ritardo nelle chiusure. E non per colpa sua”. Lo afferma il virologo dell’Università di Milano Fabrizio Pregliasco, che al ‘Corriere della Sera’ precisa: “A me risulta che dalla Lombardia fosse stato subito chiesto di bloccare tutto, ma Roma ha temporeggiato. Lo dico con rammarico”. Nel frattempo sono stati moltiplicati i posti nelle Terapie intensive. Ma la situazione sul territorio sembra sfuggita di mano. “Al di là degli sforzi encomiabili di medici di famiglia che in alcuni casi ci hanno rimesso anche la vita, la medicina del territorio non ha funzionato al meglio”. Con quale risultato? “Il virus può progredire in modo grave da un momento all’altro: il rischio è che i malati possano arrivare già gravi in ospedale, il posto migliore per curare il Covid-19. Non è una malattia domestica”. La Lombardia conta un numero di decessi impressionante. Ma “calcolare oggi il tasso di mortalità non ha senso perché è rapportato al numero di tamponi eseguiti che sottostima, fino a dieci volte, il numero reale di malati. Lombardia e Veneto, le due Regioni non sono minimamente paragonabili per gravità della situazione di partenza”. Quanto ai tamponi agli operatori sanitari, “ai sintomatici viene fatto. Per gli altri, allora, ci vorrebbe per tutti il tampone quotidiano. Perché chi oggi non è infetto lo può essere domani”.

9.00 – Misiani: “Non ancora date per riapertura attività produttive”
“Non siamo in condizioni di dare date per la riapertura di attività economiche e produttive attualmente ferme”. Così Antonio Misiani viceministro dell’Economia e delle Finanze, a 24 mattino su Radio24. «Abbiamo sempre detto che ciò che conta è il parere delle autorità mediche e scientifiche, quando ci diranno che l’epidemia è sotto controllo e la curva è su livelli di stabilizzazione allora potremo passare a quella che Conte ha definito “fase 2” che va progettata da subito”, ha spiegato “perché la riapertura sarà graduale e connessa alla necessità di garantire la sicurezza ai lavoratori e bisogna iniziare a immaginare chi potrà riaprire e dovrà restare fermo. La stessa Cina ha attivato una riapertura graduale”.

8.52 – Lazio, infermiera positiva torna in ospedale, denunciata
Ha violato la quarantena per tornare in ospedale dove, a suo dire, avrebbe voluto aiutare i colleghi in difficoltà. Una scusa che certo non ha evitato ad un’infermiera che presta servizio presso l’ospedale civile Santa Scolastica di Cassino, una denuncia. La donna, infatti, risultata positiva al Covid-19, era stata messa in quarantena dall’Azienda Sanitaria proprio per evitare il propagarsi del virus nella struttura. Inspiegabile il suo comportamento. I colleghi quando l’hanno vista entrare hanno immediatamente allertato i carabinieri che l’hanno denunciata e riaccompagnata a casa.

8.40 – Gallera: “C’è miglioramento ma ancora non un crollo dei contagi”
Nei pronto soccorso della Lombardia “la situazione è in netto miglioramento e anche negli ospedali il numero dei ricoverati sta scendendo. La situazione è in evoluzione positiva, siamo in una fase di miglioramento, ma non c’è un crollo” del numero dei contagiati da coronavirus e “lo sforzo che dobbiamo compiere è ancora impegnativo e forte, ma siamo sulla strada giusta”. Lo ha detto l’assessore al Welfare di Regione Lombardia, Giulio Gallera, a Mattino Cinque.

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Coronavirus, Conte scrive a Von der Leyen: ‘Serve coraggio. Si insiste su Mes: è inadeguato. Anticipazioni lavori consiglio Ue non all’altezza’

“È il momento di mostrare più ambizione, più unità e più coraggio“. Mentre si conclude la prima settimana di trattative in vista del prossimo Consiglio europeo e a una settimana esatta dalla spaccatura tra gli Stati membri sulle misure economiche per superare lo choc, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha scritto una lettera aperta alla presidente della commissione Ue Ursula Von der Leyen. Il testo, pubblicato su Repubblica, è una risposta alla missiva della stessa presidente che sullo stesso quotidiano si era rivolta all’Italia. “Di fronte a una tempesta come il Covid-19 che riguarda tutti, non serve un salvagente per l’Italia”, è il messaggio del premier, “serve una scialuppa di salvataggio solida, europea, che conduca i nostri Paesi uniti al riparo”. Insomma, la linea del governo italiano non è cambiata: di fronte a un’emergenza straordinaria, si chiedono risposte “straordinarie”. E, come già detto una settimana fa, non intende accettare soluzioni del passato, nonostante il fronte dei falchi non sembri intenzionato a cedere. Dopo l’ultimo Consiglio europeo, si legge ancora nella lettera di Conte, “alcune anticipazioni dei lavori tecnici che ho potuto visionare non sembrano affatto all’altezza del compito che la storia ci ha assegnato. Si continua a insistere nel ricorso a strumenti come il Mes che appaiono totalmente inadeguati rispetto agli scopi da perseguire”.

Conte ha quindi rilanciato la proposta di un European Recovery and Reinvestment Plan, necessario anche per “non perdere la sfida della competizione globale”. “Si tratta”, scrive, “di un progetto coraggioso e ambizioso che richiede un supporto finanziario condiviso e, pertanto, ha bisogno di strumenti innovativi come gli European Recovery Bond: dei titoli di Stato europei che siano utili a finanziare gli sforzi straordinari che l’Europa dovrà mettere in campo per ricostruire il suo tessuto sociale ed economico”. Questo tenendo presente il concetto, già espresso in una intervista a inizio settimana alla tv pubblica tedesca, che gli eurobond “non sono volti a condividere il debito che ognuno dei nostri Paesi ha ereditato dal passato, e nemmeno a far sì che i cittadini di alcuni Paesi abbiano a pagare anche un solo euro per il debito futuro di altri”.

In gioco, secondo il premier, c’è il futuro stesso dell’Unione europea. “Si tratta, piuttosto, di sfruttare a pieno la vera ‘potenza di fuoco’ della famiglia europea, di cui tutti noi siamo parte, per dare vita a un grande programma comune e condiviso di sostegno e di rilancio della nostra economia, e per assicurare un futuro degno alle famiglie, alle imprese, ai lavoratori, e a tutti i nostri figli”.

E, come già detto più volte dall’inizio della crisi, ha ribadito: “Siamo chiamati a compiere un salto di qualità che ci qualifichi come ‘unione’ da un punto di vista politico e sociale, prima ancora che economico”. Per questo, è il suo ragionamento: “Deve essere la solidarietà l’inchiostro con cui scrivere questa pagina di storia: la storia di Paesi che stanno contraendo debiti per difendersi da un male di cui non hanno colpa, pur di proteggere le proprie comunità, salvaguardando le vite dei loro membri, soprattutto dei più fragili, e pur di preservare il proprio tessuto economico-sociale”.

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Sono le Venti (Nove), sindaco di Brescia a Fontana: “Estendiamo platea dei tamponi”. E sui test ai medici le istituzioni vanno in ordine sparso

Sette sindaci lombardi del centrosinistra hanno scritto al presidente leghista Fontana, sollevando la questione dei tamponi. Nel gruppo anche il primo cittadino di Brescia, Emilio del Bono, che in un servizio di Sono le Venti, sul Nove, ribadisce le richieste: “Estendiamo platea dei test”. Finora sui tamponi ai medici, al personale sanitario e a quello a rischio le istituzioni sono andate in ordine sparso. Ecco la cronologia delle diverse disposizioni, dall’inizio dell’emergenza a oggi

SONO LE VENTI, il nuovo programma di Peter Gomez, è prodotto da Loft Produzioni per Discovery Italia e sarà disponibile anche su Dplay (sul sito www.it.dplay.com – o scarica l’app su App Store o Google Play) e su sito www.iloft.it e app di Loft. Nove è visibile al canale 9 del Digitale Terrestre, su Sky Canale 149 e Tivùsat Canale 9.

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Coronavirus, il monologo di Luca Zingaretti per la Protezione civile: “Combattono per noi con la paura di portare il virus a casa. Sono i nostri eroi”

Luca Zingaretti ha ricordato la nascita della Protezione civile nello speciale #lamusicacheunisce, che risale alla tragedia di Vermicino, nella quale perse la vita Alfredino il 10 giugno del 1981. “Con le dovute differenze, riconosco oggi lo stesso senso di impotenza di allora. Certo, la situazione è diversa. Lì era la tragedia di un bambino caduto in un pozzo e oggi la battaglia contro un virus bastardo. Ma in tutte e due le occasioni l’Italia si è fermata. E poche volte come in questi due momenti ci siamo sentiti come parte di una sola, unica, e, per certi versi, meravigliosa famiglia”.

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Coronavirus, dal carcere di Poggioreale 20 minuti di “battitura” dei detenuti per chiedere l’indulto

Hanno fatto sentire la loro “voce” i detenuti del carcere di Poggioreale, a Napoli, squarciando il silenzio surreale di un quartiere popoloso ma ieri desolato come a Ferragosto a causa del coronavirus. Per 20 minuti hanno colpito con forza le sbarre delle loro celle, con qualunque oggetto avessero a portata di mano, per chiedere libertà e l’indulto, parole gridate con forza da tutti i padiglioni.

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