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Covid, i dati: 1.400 contagi con 208.419 test, tasso di positività rimane stabile allo 0,67%. Altre 12 vittime, scendono ancora i ricoverati

Rimane stabile il numero dei contagi giornalieri da coronavirus, passando dai 1.390 di ieri ai 1.400 di oggi. I tamponi molecolari e antigenici effettuati nelle ultime 24 ore sono 208.419, leggermente in crescita rispetto al dato di ieri (196.922). Sostanzialmente stabile il tasso di positività, che passa dallo 0,7% di ieri allo 0,67% di oggi. Gli attuali positivi scendono a 41.015, in calo di 381 nelle ultime 24 ore. In calo anche il numero delle vittime: 12 quelle di oggi, rispetto alle 25 di ieri. Scende (di 7 unità) anche il numero dei ricoverati in terapia intensiva, 161 oggi contro i 169 di ieri: gli ingressi giornalieri sono 6, mentre ieri erano stati 8. Secondo il bollettino, il totale dei contagi è di 4.269.885 dall’inizio della pandemia. I guariti da ieri sono 1.763, in lieve aumento rispetto a quelli di ieri (1.434).

La circolare del ministero della Salute rende nota la situazione di allerta: le segnalazioni di casi di variante Delta aumentano in tutta Europa, in particolare fra tifosi e turisti. “Sulla base delle ultime evidenze disponibili, si prevede che in Europa il 70% delle nuove infezioni da Sars-CoV-2 sarà dovuto alla variante Delta (B.1.617.2) entro l’inizio di agosto e il 90% entro la fine di agosto”, così il ministero che riporta le stime dell’incremento dei casi in diversi Paesi Ue già diffuse dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattia (Ecdc). “Qualsiasi allentamento durante i mesi estivi della severità delle misure non farmacologiche in atto nell’Ue/Spazio economico europeo all’inizio di giugno, senza un contemporaneo aumento dei livelli di vaccinazioni complete nella popolazione – si legge nel documento firmato dal direttore generale Prevenzione, Giovanni Rezza – potrebbe portare ad un repentino e significativo aumento dei casi Covid-19 giornalieri in tutte le fasce d’età, e soprattutto in quelle sotto i 50 anni, con un incremento associato dei ricoveri e decessi”.

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Cina, vaccini in quantità ma dubbi sull’efficacia. Contro il virus prevale il contenimento. Il futuro? In allerta e lontano dal pre-Covid

Zhang Wenhong è un epidemiologo, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’ospedale Huashan di Shanghai e membro del Partito comunista. Nell’ultimo anno e mezzo è diventato popolare in Cina – ha 3,5 milioni di follower sul suo account Weibo – grazie a un parlare schietto. Mutuato dal linguaggio dei laobaixing, la gente comune, a cui si pregia di appartenere dato che si è definito – secondo quanto riporta il South China Morning Post – “un campagnolo”. Per promuovere il distanziamento sociale, ha detto: “A casa ti annoi a morte, quindi anche il virus si annoierà a morte” e “stai lontano dal fuoco, dai ladri e dai tuoi colleghi”. Tuttavia si è opposto ai lockdown eccessivi, coniando la formula “speriamo di prendere i topi senza rompere la porcellana e che la prevenzione non abbia un grande impatto sulla vita sociale”, per poi confessare che nel tempo libero si rilassa “guardando serie TV senza cervello”. Insomma, una pop-star di Partito che quando parla, molto probabilmente veicola concetti molto vicini al vero.

In un recente forum organizzato dalla rivista Caixin, Zhang ha detto: “Quello che stiamo cercando di fare non è sradicare la malattia, ma eliminarne la prevalenza”. Il concetto di prevalenza è la fotografia dell’epidemia in un dato momento, mentre l’incidenza è il trend espresso dai nuovi casi. Insomma, “eliminare la prevalenza” significa abbassare fino a un livello controllabile sia i casi di Covid effettivi, sia il numero di persone potenzialmente esposte al virus anche se non ce l’hanno. Far diventare il Covid “come un’influenza”, ha specificato Zhang Wenhong. All’atto pratico, le conclusioni che si possono trarre dalle affermazioni di Zhang appaiono scontate e sono in linea con quando i cinesi stanno facendo da mesi: contenimento e vaccinazione, vaccinazione e contenimento.

Alternanza aperture-lockdown – Da settimane, le autorità sanitarie del paese dichiarano che è necessario vaccinare quanto prima almeno l’80 per cento dei cinesi per raggiungere l’immunità di gregge – cioè, un miliardo e cento milioni – ma intanto, entro la fine di giugno, bisogna averne vaccinati almeno 560 milioni, cioè il 40 per cento. Per ridurre i “potenzialmente esposti” resta intanto in auge l’arte del contenimento, cioè la mobilitazione del personale sanitario e dei quadri di Partito per alternare in tempo reale aperture e lockdown a seconda del manifestarsi di nuovi focolai. È probabile che l’apri-chiudi diventi una “nuova normalità”, locuzione ormai in voga da anni nella Cina di Xi Jinping.

Che l’arte del contenimento sia una disciplina in continua evoluzione (come il virus), lo rivela il più recente focolaio cinese, quello del Guangdong. La Commissione Nazionale per la Salute ha annunciato che è stato finalmente messo sotto controllo, con nessun caso trasmesso localmente (gli ultimi risalgono al 21 giugno). La presenza della variante Delta nel focolaio della provincia più ricca e produttiva aveva preoccupato gli esperti, che tutt’ora la ritengono più difficile da contenere. Sul giornale di Shanghai, Pengpai Xinwen (The Paper), il guru dell’epidemiologia cinese, Zhong Nanshan, ha spiegato che senza misure di contenimento, a Guangzhou (il capoluogo) avrebbero potuto esserci 7,3 milioni di infezioni. “Invece – ha detto – ci sono stati solo 153 casi”.

Zhong ha raccontato che le autorità locali hanno sconfitto l’epidemia rivedendo la definizione di “contatti stretti”: prima, si mettevano sotto osservazione stretta familiari, colleghi e chiunque si fosse avvicinato a meno di un metro da un individuo infetto nei due giorni precedenti al manifestarsi dei sintomi. Con la variante Delta, la finestra è stata ampliata a quattro giorni. Sembra semplice, ma è la mobilitazione necessaria a mettere in pratica queste misure – che si accompagna al tracciamento elettronico – a non esserlo.

Le vaccinazioni – La stessa mobilitazione di quadri e personale medico spiega il fatto che la Cina ha raggiunto a oggi un miliardo e cento milioni di dosi somministrate. Attenzione, “dosi somministrate”, non immunizzazioni. È comunque un numero incredibile, basti dire che si viaggia ormai al ritmo di 20 milioni al giorno e che oltre un terzo delle vaccinazioni mondiali è stato fatto in Cina. Non solo, grazie alle economie di scala, la Cina potrebbe produrre 3 miliardi di vaccini nel 2021 e 5 miliardi nel 2022, vaccini che non solo vengono utilizzati all’interno del Paese, ma anche esportati.

Ma al di là dell’enfasi quantitativa restano molti dubbi. Innanzitutto, sei dei sette vaccini autorizzati in Cina richiedono più di una dose, uno addirittura tre invece che due, quindi quanti cinesi sono effettivamente immunizzati? Secondo elemento: qual è l’efficacia dei vaccini cinesi? Finora, solo due hanno ottenuto l’approvazione internazionale, mentre nessun vaccino straniero è al momento somministrato sul suolo cinese, anche se in dirittura d’arrivo ci sarebbero le pratiche per Pfizer-BioNtech.

Proprio in considerazione di queste incertezze e nel nome del melius est abundare quam deficere, il 21 giugno Shao Yiming, un epidemiologo del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie che fa parte del team di risposta al Covid-19 allestito dal governo, ha detto che per raggiungere l’immunità di gregge, la Cina dovrebbe somministrare in tutto 2,2 miliardi di dosi. Ne mancano quindi circa la metà, 1,1 miliardo. Calcolando il ritmo attuale delle vaccinazioni, significherebbe 55 giorni esatti, che a spanne possiamo estendere a 70-80 considerando le difficoltà logistiche di vaccinare la gente fuori dalle grandi città e di convincere quelli che finora non hanno voluto vaccinarsi. Sono sempre meno, a dire il vero, e non mancano gli incentivi. Se ha fatto il giro del mondo la notizia che negli Usa si promuove la vaccinazione regalando birra, marijuana e premi della lotteria, in alcuni hutong (vicoli) pechinesi si danno uova. Civiltà a confronto.

Il futuro? Lontano dal pre-Covid – Diciamo quindi che in due mesi e mezzo-tre, da oggi, la Cina potrebbe raggiungere la tanto agognata immunità di gregge: tra metà settembre e inizio ottobre. Si tornerà alla normalità pre-Covid? No, si resterà sempre in allerta dal punto di vista del contenimento, per abbassare sempre più la prevalenza – gli infetti e i potenzialmente esposti – di cui parla Zhang Wenhong. Ora chi entra in Cina deve farsi dalle tre settimane al mese di quarantena complessivi, il che ovviamente limita i contatti tra il paese e il mondo esterno. Pechino negli ultimi anni si è fatta vanto di essere la capofila della globalizzazione, specialmente dopo i dietrofront di Trump su questo piano, e ora la Cina non ha nessunissima intenzione di rimanere tagliata fuori dalla supply-chain globale, specialmente in epoca di “guerra ibrida” con gli Usa. Ma, per il momento, la sicurezza sanitaria viene prima di tutto.

Circola voce che un primo assaggio di normalità, dettata da ragioni politiche e d’immagine, ci sarà a febbraio 2022, con le Olimpiadi invernali di Pechino. L’evento potrebbe ripristinare una certa normalità nei voli internazionali. Sempre – si intende – che “quelli là fuori”, cioè i non cinesi, facciano bene il compitino. Come la Cina guidata dal Partito comunista, che sta per festeggiare i suoi primi cent’anni.

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Covid, i dati: 882 positivi su 188.474 tamponi, tasso positività allo 0,46%. 21 i nuovi decessi

Sono 882 i test positivi al Covid-19 registrati nelle ultime 24 ore in Italia, oltre cento in più di ieri (quando erano stati 776). I test molecolari e antigenici effettuati sono 188.474 (ieri erano stati 185.016) per un tasso di positività che si assesta allo 0,46% (dallo 0,4 di ieri). I nuovi decessi sono 21, ieri erano stati 24.

I morti per Covid dall’arrivo dell’epidemia in Italia salgono a 127.587. I nuovi dimessi/guariti sono 1.941 (contro i 3.135 di ieri) per un totale che raggiunge i 4.083.843.

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‘Covid era già negli Usa a dicembre 2019’: lo studio federale su un milione di volontari

Negli Stati Uniti, secondo i dati ufficiali, il primo caso di Covid-19 in Illinois è stato intercettato il 24 gennaio 2020. A essere positiva, una donna appena atterrata da Wuhan, epicentro della pandemia. Poi sono emersi a inizio febbraio i primi casi in Massachusetts e Wisconsin, mentre in Pennsylvania e Mississippi sono stati registrati a marzo. Ma oggi uno studio federale condotto dal National Institute of Health (Nhi) sposta all’indietro le lancette e data la prima infezione da Sars-Cov-2 in Illinois a dicembre 2019, ben prima che fossero riportati i nuovi dati ufficiali. Lo studio ha infatti individuato nove persone che si erano contagiate alla fine del 2019 in cinque stati: Illinois, Wisconsin, Pennsylvania, Mississippi e Massachusetts. La ricerca “All of us”, spiega la Cnn, è stata effettuata grazie ad un milione di volontari che hanno donato il sangue in modo da mappare la diffusione della pandemia. L’esame di 24mila campioni raccolti all’inizio del 2020 hanno individuato in nove persone anticorpi del coronavirus, hanno sottolineato i ricercatori in un articolo della rivista Clinical Infectious Diseases.

I ricercatori hanno riscontrato anticorpi in individui il cui campione è stato prelevato “il ​​7 gennaio dall’Illinois, l’8 gennaio dal Massachusetts, il 3 febbraio dal Wisconsin, il 15 febbraio dalla Pennsylvania e il 6 marzo dal Mississippi”, e visto che gli anticorpi si sviluppano a circa due settimane dall’infezione significa che alcuni dei volontari che hanno preso parte alla ricerca si sono contagiati a dicembre. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, uno studio della rivista Clinical Infectious Disease aveva riscontrato già il 13 dicembre 2019 anticorpi in alcuni soggetti colpiti dal coronavirus, mentre un’altra ricerca sul Journal of Medical Internet Research dimostrava che il virus fosse arrivato sempre a dicembre negli Usa.

Guardando invece alla Cina, a marzo 2020 il South China Morning Post, facendo riferimento a documenti governativi mai resi pubblici, aveva scritto che il primo caso accertato di Covid-19 non risaliva all’8 dicembre – come dichiarato dal governo di Pechino all’Organizzazione Mondiale della sanità (Oms) – bensì al 17 novembre 2019 e si trattava di un 55enne residente nella provincia dell’Hubei, dove si trova Wuhan. Solo il 27 dicembre, però, Zhang Jixian, medico dell’Hubei Provincial Hospital of Integrated Chinese and Western Medicine ma anche membro del Partito Comunista Cinese, comunicò alle autorità che la polmonite anomala rilevata in numerosi pazienti era causata da un coronavirus, quando almeno 180 persone erano ormai state contagiate e l’epidemia, che si è poi allargata a tutta la regione e in altri Paesi, era già diffusa. Quanto invece all’Europa, il primo caso di Covid risale al 27 dicembre, quando un uomo venne ricoverato a Bondy. Prima che la Cina lanciasse l’allarme sulla pandemia.

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Coronavirus, a Mosca la campagna vaccinale passa per la lotteria delle auto

A Mosca la situazione pandemica sembra essere ancora piuttosto critica: i numeri dei contagi non calano, anzi stanno toccando i numeri più alto da gennaio. In più sembra che la campagna vaccinale stenti a decollare del tutto.

Così, tra gli ultimi provvedimenti presi dal sindaco della capitale Sergey Sobyanin – che ha parlato di attendersi il picco vero dei casi tra giugno e luglio – ci sono cinque giorni di stop lavorativo (dal 15 al 19 giugno) per tutte le attività non essenziali e la partecipazione alla “lotteria delle auto” per chi si vaccinerà.

Quest’ultima è una trovata piuttosto originale: a partire dal 14 giugno, ogni settimana fino all’11 luglio, vengono messe in palio cinque auto, ciascuna del valore di circa un milione di rubli, che equivalgono a 11.500 euro.

Il sindaco Sobyanin, che ha annunciato e promosso l’iniziativa dal suo blog, ha spiegato che lo stop lavorativo “è solo una soluzione temporanea”, che la campagna vaccinale ha bisogno di andare avanti più rapidamente e che un piano di incentivi per chi ha già ottenuto la prima dose è già in programma: “Ora stiamo lanciando un ulteriore programma di incentivazione della vaccinazione” ha scritto, “che si applica a tutti i cittadini sopra i 18 anni”.

Alla lotteria delle auto potranno partecipare, infatti, tutte le persone che in quelle settimane riceveranno la prima dose di vaccino anti-covid, e i vincitori dei primi sorteggi saranno annunciati dal 23 giugno sul canale tv Moscow24.

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Nel Regno Unito le restrizioni anti-Covid prorogate per altre 4 settimane: slitta la data del 21 giugno

L’ipotesi circolava da settimane, sollecitata da esperti e scienziati e motivata dall’aumento dei contagi e dei ricoveri dati in particolare dall’incalzare della variante Delta, cioè quella indiana. E ora, scrive Bbc, è arrivata l’ufficialità: il Regno Unito ha deciso di rinviare di quattro settimane la sospensione delle restrizioni, che era stata fissata per il 21 giugno. L’emittente britannica, che cita fonti dell’esecutivo, sottolinea che la decisione, sottoscritta da esponenti di spicco del governo, implica tra le altre cose che i locali notturni resteranno chiusi e che la gente sarà incoraggiata a continuare il lavoro a distanza dove possibile. Il rinvio verrà annunciato ed illustrato con una conferenza stampa in giornata dal premier Boris Johnson. La proroga delle restrizioni sarà oggetto di un voto alla Camera dei Comuni.

Nei giorni scorsi il ministro della Salute britannico Matt Hancock aveva dichiarato che la variante Delta era “del 40% più trasmissibile” rispetto a quella inglese, ma venerdì il dato è stato rivisto da Public Health England (Phe), che alza il tasso al 60%. Lo stesso istituto conferma anche che il 90% dei nuovi casi in Inghilterra sia dovuto alla mutazione: nel Regno Unito finora sono stati diagnosticati 42.323 casi, con un aumento di 29.892 infezioni rispetto a una settimana fa, secondo dati del sistema sanitario inglese. E da giovedì a venerdì le infezioni sono risalite a 8.125 rispetto ai 7.393 del giorno precedente, il livello più alto da febbraio, con 17 vittime. Anche la British Medical Association aveva lanciato un appello a ritardare l’allentamento delle ultime restrizioni ancora in vigore a causa del “rapido incremento” dei casi. Una richiesta che oggi è stata definitivamente accolta da Downing Street

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Covid, Brusaferro: “La curva sta decrescendo e dati positivi. Se prosegue a metà giugno Italia in zona bianca”

Decrescita. È la parola più usata durante la conferenza stampa settimanale sulla situazione dell’epidemia Covid in Italia dal professor Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità. Decrescita dei casi di contagio, di ricovero e di morti. Una situazione che porterà l’Italia verosimilmente in zona bianca a metà giugno. Brusaferro mostra come l’Italia abbia in Europa una curva di decrescita più importanti: “Un dato positivo”.

“La curva sta decrescendo a livello europeo e il dato italiano mostra anche una decrescita e il numero di caso è in diminuzione. L’incidenza è di 32 casi su 100mila abitanti e tutte le regioni sono sotto il valore di 50 casi su 100mila abitanti”. Il trend di decrescita “continua a confermarsi”. Dal punto di vista della popolazione che contrae infezione Brusaferro conferma che l’età mediana è sotto i 40 anni, “un profilo” già visto “la scorsa estate”. “Tre quarti di chi contrae l’infezione è asintomatico e i casi diminuiscono in tutte le fasce di età incluse quelle più giovani, e l’età media dei nuovi casi scende a 40 anni”. L’età mediana dei ricoveri per Covid è in calo, a 58 anni rispetto ai 60 anni. Per quanto riguarda le terapie intensive l’età mediana dei ricoveri è 65 anni e 75 per i decessi”.

Anche la stima dell’Rt, pari a 0,68, è ovviamente in decrescita rispetto alla settimana precedente. Passa dal 14 all’11% il tasso di occupazione degli ospedali per Covid e dal 14% al 12% quello dei pazienti in terapia intensiva. Brusaferro ha illustrato quindi l’impatto delle vaccinazioni sulla decrescita. “Con l’inizio delle vaccinazioni c’è stata un’immediata decrescita dei casi in ogni fascia di popolazione. La stessa cosa vale per le ospedalizzazioni, la mortalità e gli ingressi in terapie intensiva. L’impatto delle vaccinazioni è quindi significativo e le vaccinazioni sono protettive”. Dai che danno una prospettiva di assenza di rischio peri prossimi 30 giorni. “I numeri danno delle proiezioni serene anche per l’occupazione dei posti ospedalieri. Inoltre sono in crescita le vaccinazioni: gli 80enni sono al 91% per le vaccinazioni e 70-79enni sono all’83%, anche 50-59enni sono al 50% e le altre categorie stanno crescendo. Tra gli over60 decrescono nuovi casi, ospedalizzazioni e tasso di mortalità”.

L’importanza della campagna vaccinale è stata sottolineata anche dal direttore della Prevenzione del ministero della Salute Gianni Rezza: “C’è una diminuzione dei casi, della trasmissione, dei ricoveri e della mortalità: questo è il risultato della diminuzione dell’incidenza e della campagna vaccinale. Nonostante le riaperture, c’è stata una diluizione degli infetti e la probabilità di incontrare una persona infetta è diminuita e ciò ha instaurato un circolo virtuoso con una tendenza continua alla diminuzione dell’incidenza”. Tuttavia, ha aggiunto, “bisogna mantenere una certa prudenza a causa delle varianti”. Ormai la variante Alfa (la cosiddetta inglese) è stata quasi soppiantata dalla variante Delta (indiana). Proprio per questo motivo anche se “possiamo guardare con un certo ottimismo alla situazione attuale e a quella della prossima estate ma dobbiamo sempre monitorare l’epidemia e non abbandonare le precauzioni. Dobbiamo temere una recrudescenza? La probabilità è bassa ma bisogna continuare a mantenere una certa prudenza”. Al momento, “C’è una tendenza continua alla diminuzione della trasmissione e dell’incidenza”.

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Coronavirus, i dati – 3.351 contagi in 24 ore con 247mila tamponi: tasso positività cala all’1,3%. Altre 83 vittime. Immunizzato 20% popolazione

Diminuiscono lievemente i nuovi casi di coronavirus registrati in Italia. Secondo gli ultimi dati diffusi dal ministero della Salute, sono infatti 3.351 le persone risultate positive al test, contro le 3.738. Dati che emergono a fronte di un numero stabile di tamponi effettuati: sono 247.330 quelli delle ultime 24 ore, contro i 249.911 della giornata precedente. Questo fa sì che il tasso di positività scenda fino all’1,3%, contro l’1,5% di ieri. Cala anche il numero delle vittime in un giorno che oggi sono 83, mentre ieri erano 126. Intanto, dall’ultimo report della struttura del commissario Figliuolo emerge che sono oltre 11,5 milioni le persone totalmente immunizzate in Italia, circa il 20% dell’intera popolazione, con oltre 33 milioni di somministrazioni effettuate finora.

Sono 7.569, invece, le persone dimesse o guarite nelle ultime 24 ore. Un numero che permette un’ulteriore diminuzione di quello relativo ai soggetti attualmente positivi nel Paese che, così, passano a 241.966, con un calo di 4.304 unità in un giorno. Di conseguenza, continua a scendere anche il numero di posti letto occupati nei reparti Covid italiani, alleggerendo così la pressione sulle strutture ospedaliere. Sono 1.095 i pazienti ricoverati in terapia intensiva, 47 in meno rispetto a ieri, mentre si attestano a 6.800 quelli che si trovano all’interno dei reparti ordinari, 392 in meno nelle ultime 24 ore.

Analizzando la situazione regione per regione, si nota che in numeri assoluti la Lombardia rimane quella più colpita nell’ultima giornata con 620 casi registrati. Seguono la Sicilia con 385, la Campania con 331, il Lazio con 307 e la Puglia con 269.

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“La mancata zona rossa d’autunno in Veneto ha provocato 3mila morti in più”: lo studio dell’università di Padova

Il permanere del Veneto in zona gialla durante l’autunno e la prima fase invernale del 2020 è alla base della drammatica escalation di morti. Ed è quantificabile in almeno 3mila decessi che si sarebbero potuti evitare. A sostenerlo è uno studio condotto dal professore Enrico Rettore, docente di Econometria all’Università di Padova, che ha analizzato l’andamento della pandemia in relazione ai vari livelli di lockdown, raffrontandoli con le regioni confinanti, la Lombardia, l’Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento. Il cattedratico non lancia accuse alla Regione Veneto, che in quel periodo aveva spinto per garantire l’apertura delle attività, e neppure al ministero della Salute a cui spettava il coordinamento delle chiusure. Tuttavia la ricerca dimostra che l’impennata negativa, che ha trasformato il Veneto in una regione dai tassi altissimi di mortalità, è in relazione diretta ad un eccesso di aperture. Le autorità si sono trovate di fronte al dilemma tra il sacrificio delle attività economiche e l’esigenza di garantire il maggior isolamento possibile rispetto al virus.

“Ci sono buone ragioni per pensare che le restrizioni adottate in Italia per contenere la seconda ondata di contagi abbiano diminuito in modo considerevole i decessi”, afferma il docente. A partire da inizio novembre 2020, il governo italiano ha varato un sistema di monitoraggio settimanale dell’andamento della pandemia ‘a colori’, sulla base del quale ha assegnato alle varie regioni italiane livelli di restrizioni crescenti. In Veneto, Lombardia, Emilia-Romagna e provincia di Trento vive circa un terzo della popolazione italiana, 20,5 milioni di persone. In cinque settimane, da inizio novembre a metà dicembre, “il periodo critico per lo sviluppo della seconda ondata”, ogni realtà ha seguito percorsi diversi: tre settimane di “rosso” e due di “arancione” in Lombardia; le tre settimane centrali di ‘”arancione” per l’Emilia Romagna, seguite e precedute da settimane “gialle”; tutte le cinque settimane in “giallo” per Veneto e Trentino. Dal 24 dicembre fino alla fine delle festività natalizie, le quattro aree hanno avuto le restrizioni comuni a tutta Italia.

Il primo confronto è tra i decessi di Veneto e Lombardia (parametrati sulla popolazione del Veneto) da ottobre a fine febbraio. “Fino alla fine di ottobre i decessi nelle due regioni sono pressoché uguali. Poi aumentano più rapidamente in Lombardia, fino alla prima settimana di dicembre. A partire dalla seconda settimana di dicembre i morti lombardi sono crollati. Da 700 a 200 circa, nell’arco di tre settimane. In Veneto la crescita è continuata regolare, con un accenno di diminuzione nei primi giorni dell’anno, seguito da un calo a partire dall’ultima settimana di gennaio”. La ragione? “La differenza tra le due regioni inizia a manifestarsi circa un mese dopo l’inizio della zona rossa in Lombardia, si attenua un mese dopo l’inizio delle restrizioni di fine anno, comuni a tutte le regioni, fino a sparire del tutto”. Lo studioso ha calcolato che tra il 6 dicembre e il 28 febbraio la differenza tra le curve delle due regioni vale circa 3mila decessi. Il Veneto ha infatti avuto 6.170 morti in 13 settimane, che sarebbero l’effetto della precedente area “gialla” che in Lombardia non c’era stata: “3mila è una stima ragionevole dei decessi che sarebbero stati evitati se il Veneto fosse stato soggetto alle stesse restrizioni della Lombardia”, scrive il professor Rettore. “Circa la metà dei decessi osservati in Veneto in quel periodo sarebbe dovuta alla differenza tra zona rossa/arancione e zona gialla”.

Una prima dimostrazione di questa tesi trova conferma nel confronto tra Veneto ed Emilia-Romagna. I due andamenti dei morti sono pressoché sovrapposti fino alla prima settimana di dicembre. “A partire dalla seconda settimana, il profilo dell’Emilia-Romagna si abbassa rispetto a quello veneto. I decessi delle due regioni ritornano ad essere comparabili a partire da fine gennaio. La differenza tra le due regioni ci sembra facilmente attribuibile alla zona arancione istituita in Emilia Romagna dal 15 novembre al 5 dicembre”. Se il Veneto avesse avuto le stesse restrizioni dell’Emilia Romagna avrebbe avuto circa 1.100 decessi in meno, equivalenti a un terzo del beneficio della zona “rossa” nel raffronto con la Lombardia.

Il terzo confronto è tra Veneto e Trentino, con identiche restrizioni dal 6 novembre al 6 gennaio. “Non si osservano particolari differenze, in entrambe le regioni il calo importante dei decessi avviene a partire dall’ultima settimana di gennaio, quando si manifestano gli effetti delle restrizioni natalizie”.

Pur con qualche cautela, lo studio arriva a concludere: “Sono azzardate – a essere generosi – le affermazioni di coloro che negano gli effetti sui decessi delle misure adottate per contenere la diffusione del contagio (ma analoghi risultati valgono anche per i ricoveri in terapia intensiva). Gli effetti ci sono e pure corposi. Una parte rilevante dei decessi osservati in Veneto sarebbe stata evitata adottando restrizioni analoghe a quelle delle regioni vicine. Provvedimenti analoghi a quelli adottati in Lombardia nelle cinque settimane da inizio novembre a metà dicembre avrebbero dimezzato il numero dei decessi registrati in Veneto tra dicembre e febbraio”. In numeri, significa almeno 3mila morti che in Veneto si sarebbero potuti evitare. Un bel tema di discussione per la commissione regionale istituita per far luce sulla drammatica seconda ondata che si è registrata in Veneto.

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Vaccini anti-Covid, Figliuolo adesso pensa alla ‘chiamata attiva’: “L’imperativo categorico è andare sui 60enni, vaccinato solo il 62-63%”

Si va verso la chiamata attiva per “intercettare” chi ancora, pur avendo la possibilità, non ha prenotato il vaccino anti-Covid. Un problema che investe principalmente la fascia dei 60-69 anni, considerata a rischio malattia grave, ma dove coloro che hanno ricevuto la dose di farmaco sono ancora troppo pochi su tutto il territorio nazionale. Tra gli over 60 la campagna vaccinale non decolla, come confermato dal commissario straordinario per l’emergenza Francesco Paolo Figliuolo. Ad oggi in Italia, ha detto il generale, “abbiamo quasi somministrato 33 milioni di dosi, di cui circa 21 milioni e 800 mila come ‘prima’”.

Eppure, ha lasciato intendere, potrebbe andare meglio: “Con procedure anche di cosiddetta ‘chiamata attiva’ dobbiamo andare a intercettare la popolazione che ancora non risulta vaccinata. Quindi, se mancano i soggetti fragili si vanno a cercarli, bisogna soprattutto mettere in sicurezza queste classi”, ha spiegato il commissario per l’emergenza Covid. Entrando nello specifico, Figliuolo ha evidenziato che “le vaccinazioni agli over 80 hanno superato a livello nazionale il 90%, gli over 70 sono sopra l’80%”. Mentre – ha sottolineato – per gli over 60 “dobbiamo crescere tutti, visto che siamo al 62-63%“.

“Andare sui 60enni è il nostro imperativo categorico”, ha ribadito. “Dobbiamo continuare su queste categorie così come sui fragili per ultimarli nei limiti delle possibilità, vista anche la platea dei rinunciatari. Questo lo sanno bene i presidenti delle Regioni”. Un “occhio vigile” quindi per Figliuolo va verso queste persone anche grazie “ad una modalità di chiamata attiva e a procedure per intercettarle”. Una procedura “partita in via sperimentale e grazie alla quale tra qualche giorno andremo a cercare queste persone over 60, le categorie che più patiscono dall’incontro con il virus”. Una direzione “giusta” perché “li preserviamo così da terapia intensiva e mortalità”, ma per il commissario anche “utile perché come si vede in questi giorni riusciamo così a svuotare gli ospedali e a diminuire i decessi”.

Rivolgendosi agli enti locali, Figliuolo ha lanciato un appello: “Dobbiamo continuare in squadra, non lasciando indietro nessuno, soprattutto i più vulnerabili. Se continueremo su questa via, usciremo al più presto dalla logica emergenziale”. Dal 3 giugno, ha aggiunto, “partirà una lettera alle Regioni e Province autonome con cui si darà la possibilità di aprire le vaccinazioni a tutte le classi seguendo il Piano e utilizzando tutti i punti di somministrazione possibili, anche quelle aziendali”.

Però, ha avvertito, le dosi a disposizione “saranno 20 milioni” e “quindi bisogna evitare le rincorse a volerle di più”. Per l’ok dal 3 giugno anche agli adolescenti tra i 12 e i 15 anni, in tutto circa 2,3 milioni di persone, è atteso il via libera di Aifa, che “molto probabilmente” arriverà “all’inizio della settimana prossima”. Al momento dagli uffici del commissario non verrà indicato un canale preferenziale per la vaccinazione di questa fascia d’età anche se le singole Regioni potranno scegliere di organizzare le somministrazioni attraverso gli hub, le farmacie, i pediatri o i medici di famiglia.

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