La nostra società tende a ragionare intuitivamente sempre in modo utilitaristico. Cioè? Un comportamento o una scelta politica moralmente giusti sono quelli che producono benessere (misurato in felicità, bene per sé) per il maggior numero possibile di persone. Stringendo il campo, proviamo a ridurre il quadro ai soli cittadini di uno Stato, ad esempio l’Italia.

Bene, il deputato leghista Claudio Borghi ieri ha deliberatamente deciso che per i cittadini italiani il benessere da garantire è dato dal diritto al lavoro, non dal diritto alla salute. Un ribaltone abbastanza scioccante se pensiamo che chiunque di noi sceglierebbe di vivere senza lavorare, piuttosto che morire senza essere curato, per quanto entrambi gli scenari siano spaventosi.

Questa prevaricazione di un diritto costituzionale sull’altro sembra viaggiare sullo stesso binario delle recenti dichiarazioni del presidente della Liguria, Giovanni Toti: chi non è utile alla produttività del paese di certo va protetto, ma – in soldoni – non è indispensabile. Prima il lavoro, prima l’economia, poi tutto il resto. La Repubblica Italiana è fondata sul lavoro, argomenta Borghi in aula. Dato di fatto su cui è impossibile controbattere.

Di certo, però, la Costituzione non poteva prevedere una pandemia di portata mondiale, né tantomeno avrebbe potuto contenere una clausola del tipo: “mi raccomando, se per caso centinaia di migliaia di persone dovessero morire improvvisamente, non esitate a usare le misure di contenimento, altrimenti a lavorare non resterà più nessuno”. Non è possibile fare una scaletta di importanza dei diritti costituzionali, è già complicato per la Giurisprudenza in una situazione normale, figuriamoci nell’eccezionalità del periodo che stiamo vivendo.

Nessuno dice che sia semplice rinunciare a una parte del lavoro. È un sacrificio immane di cui lavoratori e famiglie subiranno le conseguenze per anni e dal quale l’economia del paese sarà danneggiata. Ma non c’è alternativa. Se ci fosse, che interesse avrebbe il governo a ignorarla? Il dissenso che si è alzato contro i Dpcm si fonda sul pensiero che la famosa “casta” non abbia a cuore gli interessi dei cittadini.

Ma qui non parliamo di singole categorie, non parliamo neanche di minoranze. Parliamo delle ricadute su un intero paese e sul suo tessuto economico-sociale: davvero pensiamo che se ci fosse una soluzione limpida ed efficace il governo sceglierebbe di farne a meno per il gusto di infierire sui suoi cittadini? A che pro?

Si possono criticare i provvedimenti del governo, io per prima lo faccio, ma non con i presupposti di Borghi. Da mesi stiamo compiendo uno sforzo dopo l’altro per proteggerci a vicenda. Abbiamo ottenuto dei risultati e poi ci siamo ricascati, incapaci di creare una rete di protezione per l’autunno. E nonostante ciò, qualcuno oggi senza problemi dice che il lavoro viene prima della salute. Non può essere così.

In questo caso, per una questione meramente temporale e non di importanza di principio, prima siamo obbligati a tutelare la salute perché l’emergenza ci chiede di agire in fretta, poi tuteliamo il lavoro mettendo in campo tutte le forze economiche possibili per proteggere le fasce più a rischio. Uno Stato democratico non può permettersi di sacrificare delle vite in nome del lavoro, dell’economia o di qualunque altra cosa.

Deve fare il possibile per salvarle tutte poiché il loro valore da un punto di vista laico non è misurabile, perciò non è accettabile che in un’aula istituzionale si parli della salute dei cittadini in questi termini. Stiamo parlando di vita o di morte, maggioranza e opposizione dovrebbero lavorare avendo in comune questo punto di partenza.

Dobbiamo entrare in una nuova ottica: imparare a ritenere momentaneamente vantaggiose delle regole che ci sfavoriscono in prima persona. È l’unica strada per ritagliarsi lo spazio necessario per poter ragionare su tutti gli altri problemi. Se saremo costantemente sull’orlo del baratro dal punto di vista sanitario, avremo sempre la sensazione che il diritto al lavoro o all’istruzione siano in secondo piano.

Sforziamoci per far rientrare l’emergenza, perché nella consapevolezza di star facendo tutto il necessario sarà più facile riportare al centro i diritti e le tutele per i cittadini. E quando parlo al plurale, intendo che le misure messe in campo non devono valere solo per gli aperitivi, i cinema e la buonanima della movida, ma coinvolgere tutte le aziende e i datori di lavoro. Il diritto al lavoro deve corrispondere anche al diritto a lavorare in sicurezza (o da casa, se possibile), che a Confindustria piaccia oppure no.

L’articolo Per qualcuno il diritto al lavoro viene prima di quello alla salute. Non può essere così proviene da Il Fatto Quotidiano.

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