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Comunità cristiana di base di San Paolo: “Il vero peccato? Che la Chiesa condanni le relazioni omosessuali. Così si fa violenza”

“Noi riteniamo che il diktat vaticano vada respinto, sia nel metodo che nel merito”. A scriverlo è la Comunità cristiana di base di San Paolo, che ha sede a Roma, contestando con forza la recente dichiarazione della Congregazione per la dottrina della fede che ha affermato che “la benedizione delle unioni omosessuali non può essere considerata lecita”. Un pronunciamento, approvato da Papa Francesco, che, secondo questa realtà ecclesiale, è “inaccettabile” e “va ritenuto inammissibile, sotto l’aspetto biblico, teologico e storico”. Una voce di protesta che si unisce a quella di altri vescovi e sacerdoti della Chiesa cattolica che in queste settimane non hanno nascosto la loro contrarietà alla dichiarazione dell’ex Sant’Uffizio. Le Comunità cristiane di base, come si legge sul loro sito, “sono impegnate nel superare la contraddizione tra lo spirito del Vangelo e la pratica della Chiesa cattolica romana istituzionale”.

Da sempre favorevoli all’accoglienza nelle realtà ecclesiali di divorziati risposati e omosessuali, hanno spiegato le ragioni della loro contrarietà. “Come è possibile – scrivono i membri della Comunità cristiana di base di San Paolo – che, dopo tanto parlare di ‘sinodalità’, il Papa abbia permesso che, su un problema così delicato, un dicastero della Curia esprimesse un giudizio, a nome di tutta la Chiesa, senza prima formalmente consultare almeno i presidenti di tutte le Conferenze episcopali? E, inoltre, senza interpellare almeno alcune organizzazioni di cui fanno parte persone lbgtq+ di religione cattolica, e dunque anch’esse parte della Chiesa?”.

Per la Comunità cristiana di base di San Paolo, infatti, “se Dio è il creatore di ogni uomo e di ogni donna, non è sorprendente, per non dire scandaloso, affermare che due persone dello stesso sesso che si amano siano nel ‘peccato’? Se Dio le ha create così, e dunque anche per innamorarsi di persone dello stesso sesso, perché non dovrebbero vivere di conseguenza e con gioia la loro sessualità?”. I membri di questo organismo ecclesiale sottolineano, inoltre, che “parlare oggi, con le conoscenze che abbiamo, di ‘atti’, è scandaloso. Non ci sono gli atti, ci sono le persone con i loro amori e la loro sessualità, che è dono di Dio. E il creatore non fa doni di serie A e doni di serie B. La condanna delle relazioni omosessuali da parte delle gerarchie della Chiesa romana, questa sì, è peccato, perché fa violenza sulle persone, umilia e colpevolizza il loro amore”.

E aggiungono: “A noi sembra che il problema di fondo per il magistero cattolico sia e stia nella difficoltà di contrastare e smentire se stesso che, lungo i secoli, e pur nel cambiare delle culture e delle società, ha condannato duramente l’omosessualità. Ma non si uscirà dal circolo vizioso, nel quale è prigioniero il magistero ecclesiastico, se non si prenderà atto, anche nella Curia romana, che la riflessione sulla/sulle sessualità deve tener conto, assolutamente, degli apporti della scienza moderna e della psicoanalisi. La teologia di un tempo, dunque, non può più guidare, oggi, una riflessione seria, ed evangelicamente liberante, sulla sessualità. Bisogna trovare il coraggio di riconoscere, rispetto al passato, l’errore e chiedere perdono agli omosessuali per il peso che gli si è gettato addosso. Ora, senza aspettare secoli, come purtroppo si è atteso per il caso Galileo”.

Secondo la Comunità cristiana di base di San Paolo “il problema, perciò, non è risolvibile confermando i ‘princìpi’ sulla condanna dell’omosessualità proclamati nel Catechismo (varato da Giovanni Paolo II nel 1992, e sul punto mai smentito da Francesco), addolcendoli nella ‘pastorale’. E, infatti, la contraddizione insita in questa impostazione è scoppiata”. “Ma – aggiungono – il problema non riguarda solo l’omosessualità; riguarda la sessualità in generale, il controllo della quale è lo strumento con cui la Chiesa gerarchica ancora esercita, o spera di esercitare, attraverso una casistica dettagliata e fantasiosa di divieti, il suo vero e più grande potere: quello del controllo sulle coscienze. Una scelta strategica. Non c’è, infatti, uno strumento migliore perché nessuno sfugga: la sessualità riguarda tutti e nell’intero arco della vita delle persone. È un modo efficace per creare, attraverso la paura, sudditi, laddove Gesù ha cercato una sequela di discepoli liberi. E tutto questo nel nome di Dio, impadronendosi di Dio per controllare le coscienze e sottomettere il popolo di Dio al proprio potere. Ogni amore, noi, invece, pensiamo, è bello e santo. Dove non c’è violenza e sopraffazione, dove c’è cura dell’uno per l’altro, tenerezza, rispetto reciproco, libero consenso ed assunzione di responsabilità, qualunque sia l’orientamento sessuale della coppia, c’è una relazione d’amore. E, come tale, quella relazione ci racconta qualcosa dell’amore di Dio per il suo popolo e ne è segno”.

Twitter: @FrancescoGrana

L’articolo Comunità cristiana di base di San Paolo: “Il vero peccato? Che la Chiesa condanni le relazioni omosessuali. Così si fa violenza” proviene da Il Fatto Quotidiano.

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Il caso dei medici che tornano in servizio per il Covid: molti rischiano lo stop alla pensione per un pasticcio normativo. “Così possibili rinunce tra i vaccinatori”

Un pasticcio normativo rischia di complicare le cose per medici e infermieri in pensione scesi in campo dall’inizio della pandemia (nonostante i rischi legati all’età) per aiutare i colleghi più giovani ad affrontare l’onda del coronavirus. L’allarme, partito da una segnalazione su La Nuova Ferrara, riguarda un emendamento della Lega al decreto Covid del 14 gennaio, convertito in legge a metà marzo. Prevede che “le aziende sanitarie e socio-sanitarie” possano attribuire incarichi con scadenza “non oltre il 31 dicembre 2022” al personale sanitario che ha conseguito la pensione di vecchiaia. Ma a una condizione: a chi viene riassunto “non è erogato il trattamento previdenziale per le mensilità per cui l’incarico è retribuito”. In sostanza gli viene congelato l’assegno. Secondo i sindacati, la norma rischia di scoraggiare chi vorrebbe dare una mano: “Oltre un migliaio di medici hanno già dato disponibilità a fare da vaccinatori, ma se ci si deve impelagare in questioni burocratiche, pratiche previdenziali e sottoscrizioni di reimpiego, diventa tutto più problematico e c’è il rischio di rinunce“, spiega a Ilfattoquotidiano.it Carlo Palermo, segretario dell’Anaao Assomed. “Eppure se si vuole davvero raggiungere il target di 500mila iniezioni al giorno per uscire dalla pandemia, serve il contributo di tutti“.

Il paradosso è che una norma per richiamare in servizio il personale sanitario c’era già. Nel marzo 2020, infatti, il governo Conte aveva deciso di coinvolgere i pensionati con il decreto Cura Italia. Che permetteva alle Regioni di assegnare “incarichi” di lavoro autonomo o co.co.co. per “massimo sei mesi” a “dirigenti medici, veterinari e sanitari nonché al personale del ruolo sanitario del comparto sanità, collocati in quiescenza, anche ove non iscritti al competente albo professionale in conseguenza del collocamento a riposo”. Il tutto in deroga “all’incumulabilità tra redditi da lavoro autonomo e trattamento pensionistico” previsti dalla legge sui pensionati con quota 100. Questo schema era stato confermato per tutto il 2021 dalla legge di bilancio (art 1, comma 423), ma poi il Carroccio ha sparigliato le carte. L’emendamento ora al centro delle polemiche – che introduce deroghe per incarichi dirigenziali, di studio e di consulenza – è stato presentato in commissione Affari costituzionali del Senato a febbraio. Il primo firmatario, stando a quanto risulta al Fatto.it, è il senatore Roberto Calderoli, affiancato dai colleghi Luigi Augussori, Ugo Grassi, Daisy Pirovano e Alessandra Riccardi. L’Ufficio Studi del Parlamento aveva “ricordato” ai senatori che “nella disciplina fino ad ora vigente, la remunerazione di alcuni incarichi” da parte delle aziende sanitarie a medici in pensione è già prevista fino a fine 2021, ma alla fine il governo Draghi ha dato l’ok e la norma è passata a larga maggioranza.

La confusione creata dalle due misure, avverte Palermo dell’Anaao Assomed, rischia ora di fare da deterrente per chi aveva intenzione di fare la sua parte nella lotta al Covid. “Una norma per coinvolgere i medici in pensione c’era già e non aveva creato problemi. Durante la prima ondata c’è anche chi ha perso la vita perché è tornato in ospedale e si è contagiato in corsia”. A distanza di un anno l’allarme riguarda ancora le terapie intensive, in affanno in quasi tutta Italia, “ma anche le vaccinazioni. Siamo in un’emergenza vaccinale“, spiega il segretario del sindacato. Qual è la soluzione? “Si potrebbe fare come per gli specializzandi, che mantengono la borsa di studio e in più gli vengono retribuite a 40 euro l’ora le eventuali ore aggiuntive impiegate per l’emergenza, dai reparti alle somministrazioni”. L’auspicio, quindi, è che il governo corregga la norma e non crei ostacoli per allargare la platea di vaccinatori. “Tutte le forze in campo – conclude Palermo – dovrebbero essere sfruttate per raggiungere l’obiettivo”. La pensa così anche Francesco Ripa di Meana, Presidente della Federazione delle Aziende sanitarie e ospedaliere, che in una nota citata dal Messaggero ha chiesto all’esecutivo di fare un passo indietro: “La norma – si legge – porterà i sanitari che si sono resi disponibili a prestare la loro collaborazione nel contrasto alla epidemia da Covid-19 a rinunciare agli incarichi”.

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