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Voto ai 16 anni? Parlano i protagonisti: “Serve preparazione, senza strumenti non si suona”. “Incompetenti? Anche certi adulti. Noi abbiamo un occhio diverso sui problemi”

Il diritto di voto dovrebbe essere esteso ai 16enni? Il neo segretario del Partito democratico Enrico Letta, poco dopo l’elezione, ha ritirato fuori la proposta. Tra i primi a parlarne in Italia è stato Beppe Grillo: lo ha detto nel 2016 e nel 2019 ha rilanciato con l’idea di abbassarla ancora arrivando addirittura a ipotizzare di aprire a chi ha solo 14 anni. A settembre 2019, di fronte alle manifestazioni di piazza dei Fridays for Future, proprio Letta aveva ritirato fuori la proposta, ricevendo l’appoggio del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Poi però, spenti i riflettori sulle manifestazioni e con l’Italia travolta dall’emergenza sanitaria, anche l’idea è stata accantonata. La politica periodicamente ne torna a parlare, ma i diretti interessati cosa ne pensano? Per questo abbiamo chiesto l’aiuto di Chiara, studentessa 16enne, che ha intervistato se stessa e alcuni suoi coetanei per capire cosa ne pensano dell’argomento senza le mediazioni degli adulti. Chiara è anche l’autrice dell’articolo.

Io sono Chiara, ho 16 anni e frequento il liceo linguistico. In queste interviste ho fatto alcune domande ai miei coetanei per sentire qualche testimonianza diretta. Sicuramente un punto fondamentale è la preparazione al voto: se non si hanno gli strumenti come si fa a suonare? Un ruolo importante ce l’ha la scuola che dovrebbe insegnare anche a sviluppare un pensiero critico e la capacità di saper scegliere autonomamente. Ho però il timore che questa sia una questione che interessi tutti gli aventi diritto al voto cioè: come decidere il proprio rappresentante?

Mi dispiace quando sento che non si è votato o si è votato un partito perché era il meno peggio. Credo che sia un fallimento del mondo politico tutto quando un Paese non si rispecchia nei propri portavoce, perché secondo me questo dovrebbero fare i politici: portare la nostra voce nei consigli comunali, provinciali fino in Parlamento. Penso quindi che a 16 anni non si abbia ancora acquisito un bagaglio di esperienze sufficienti per una scelta così importante.

“Mi verrebbe da dire che i politici fanno tutto sbagliato. Ma al loro posto tu cosa faresti?” – V. ha 15 anni e pensa che l’idea di dare il voto ai sedicenni abbia dei lati positivi e dei lati negativi. Qualcuno a 16 anni potrebbe essere pronto e vorrebbe dire quello che pensa: “Ci sono persone a 16 anni che hanno interesse per la politica e vogliono esprimere anche loro la propria opinione. Però potrebbe anche essere che persone non informate vadano a votare un partito a caso… trovo che per due anni si possa aspettare”. V. crede che a 16 anni “ci si comincia a formare un’idea personale, una propria opinione”. Le interessa la politica? “Ogni tanto guardo dei servizi al telegiornale, mi interessa capire come funziona. Se non guardo il telegiornale chiedo a mio nonno oppure leggo i giornali“. Dei politici in generale, continua, “mi verrebbe da dire che fanno tutto sbagliato, ma non posso biasimarli perché comunque al loro posto tu cosa faresti? Loro fanno comunque del loro meglio, spero. Quindi non penso siano brutte persone. Però alcune decisione sono da discutere”. Se dovessi votare domani? “Non saprei chi scegliere, dovrei informarmi di più”.

“Anche molti adulti sono poco competenti in politica. I ragazzi hanno una visione differente” – M. ha 16 anni e ritiene che i sedicenni non siano ancora molto interessati e competenti in politica ma “può comunque chiedere aiuto e consiglio ai genitori: In questo caso però c’è il rischio che l’idea venga esclusivamente da loro“. Il pericolo, secondo M. è che vengano dati voti a caso senza ragionare, ma a volte anche gli adulti non pensano fino in fondo alla loro scelta: “C’è da dire che anche molti adulti sono poco competenti in politica. Spesso i ragazzi vedono i problemi della società con un occhio diverso…può essere utile avere un punto di vista differente. Quindi secondo me non è giusto che un ragazzo con delle idee politiche ben chiare non abbia il diritto di votare, nonostante ci sia il rischio di una scelta poco consapevole da parte di chi non è interessato”.

M. pensa che alcuni ragazzi siano pronti per votare ed altri potrebbero essere aiutati dai genitori. La politica “non è una delle mie più grandi passioni, perché penso che la situazione politica attuale…non è come la vorrei io quindi sono interessata. Perché voglio capire chi può cambiare la situazione attuale e chi ha causato e sta causando quello che sta succedendo”. Non segue costantemente la cronaca, ma le piace tenersi informata, solitamente su internet e più raramente sui giornali. “Il lavoro del politico non è così facile come sembra, posso capire che ci siano dei problemi o che ci siano degli errori. Però ci sono dei politici che non sono della mia idea”. Crede anche che sia impossibile avere un organo politico che funzioni perfettamente: “Però il nostro si può migliorare e come molti altri ragazzi della nostra età spero in un cambiamento” magari anche tramite il voto a 16 anni. M. non saprebbe per chi votare domani. “Saprei però per chi non votare: i partiti di destra. Chiederei aiuto a mio padre informandomi e scegliendo sempre liberamente”.

“Penso che il nostro voto diventerebbe troppo influenzabile e poco consapevole” – L. ha 16 anni e pensa che i 16enni non siano abbastanza informati per “avere la grande responsabilità di votare. Parlo per esperienza personale. Inoltre il voto può essere influenzato dai pensieri dei genitori”. L. crede che nella maggior parte dei casi non si ha l’esperienza politica per poter scegliere e “per questo penso che il nostro voto diventerebbe troppo influenzabile e poco consapevole.” Si informa su internet o guardando i titoli dei Tg.

Ti interessi alla politica?“Non sono abbastanza informata per giudicare i politici e le leggi che fanno, ma in linea generale non sono d’accordo con alcuni dpcm che sono stati fatti nell’ultimo anno”. Se dovessi votare domani? “Non saprei chi scegliere dato che, per quel che ne so, non mi sento rappresentata da nessun partito politico.”

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In politica la competenza non ha cittadinanza

Parliamo di uno dei miti assoluti della contemporaneità: la competenza. La competenza è un pre-requisito necessario, anzi sacrosanto, di qualsiasi professione. Nell’era della iper-complessità non puoi riuscire in quasi nulla se non ne sai quasi tutto almeno di qualcosa.

Il mondo è sempre più complicato e si compone di una miriade di sotto-mondi, ciascuno a sua volta infinitamente poliedrico. “Competenza” significa possedere il dominio delle conoscenze, delle tecnicalità e dei saperi pratici indispensabili per orientarsi in un piccolissimo segmento della realtà. Il che comporta pagare un fio: quello di essere tutti abbastanza ignoranti – se non molto, addirittura – in tutto il resto. A questo punto, però, abbiamo un problema.

Se la competenza ha sicuramente senso in ambito scientifico, tecnico, professionale, essa non è altrettanto “significativa” in ambito politico. Soprattutto quando la si richiede, anzi la si pretende persino, non tanto da chi è chiamato a decidere (la classe dirigente eletta), ma da chi è chiamato a scegliere chi decide (la massa dei cittadini elettori).

Nel primo caso ci può stare; diciamo pure che ci “deve” stare. Da un premier o da un ministro è lecito attendersi, ed esigere, quantomeno una infarinatura accettabile sulle materie definite, non a caso, di “sua competenza”. Ma da tutti gli altri? Dai cittadini maggiorenni cui la nostra Costituzione, e quella di qualsiasi altro paese sedicente democratico, conferisce il diritto-dovere di scegliere i propri rappresentanti?

Negli ultimi tempi, da più parti – e, duole dirlo, soprattutto dalla cosiddetta sinistra progressista – si è levato il venticello velenoso di una tentazione: limitare, comprimere, selezionare l’accesso al diritto di elettorato attivo. La famosa “patente per votare”, insomma.

Un tesserino di riconoscimento delle “competenze” politiche individuali destinato a tenere fuori dalle cabine soggetti minus-dotati: chi dice i vecchi, chi dice gli stupidi, chi dice gli ignoranti. E chiunque lo dice non si rende conto di quanto una simile idea puzzi di vero razzismo, in un’epoca in cui vanno via come il pane i razzismi inventati.

Intanto, se davvero dovessimo calibrare il diritto di voto sulle “competenze” di un cittadino, forse nessuno di noi avrebbe più diritto di votare. Non foss’altro perché quasi nessuno (grandi intellettuali e professoroni inclusi) ha un grado di “competenza” sufficiente per comprendere davvero l’immane complessità del termitaio giuridico-istituzionale di cui siamo ospiti. E quand’anche possieda una competenza suprema, questa è sempre iper-specifica e selettiva: ergo, inidonea a funzionare in una logica di insieme.

Altrimenti detto, se il criterio di accesso al voto dovesse essere la “competenza”, allora la democrazia sarebbe spacciata. Ma c’è un altro aspetto interessante da considerare. I nuovi movimenti “dal basso” – dal Fridays for future alle Sardine – si caratterizzano per una straordinaria semplificazione del linguaggio, dei concetti, dei messaggi e per una “incompetenza” talvolta addirittura rivendicata come tratto distintivo.

E sono tutti movimenti accreditati di un altissimo tasso di “democraticità” dalla maggioranza dei media. L’icona del Green new deal è Greta Thunberg, una ragazzina, la quale – se non altro per mere ragioni anagrafiche – non può materialmente avere (quantomeno prima di completare un normale curriculum di studi) la competenza invocata da chi vorrebbe introdurre un esame di stato per accedere ai seggi elettorali.

Eppure nessuno, giustamente, mette in dubbio il diritto di Greta e dei suoi supporter di immaginare un futuro diverso e di impegnarsi affinché la Storia prenda una direzione differente, giusta o sbagliata che sia. La cosa buffa è che quelli pronti a censurare l’esito del referendum sulla Brexit perché determinato da grezzi contadini incompetenti sono gli stessi che poi inneggiano all’abbassamento dell’età del voto a buon pro dei tardo-adolescenti.

E siamo arrivati, dunque, al punto chiave di tutta la faccenda che si chiama “politica”. La politica è l’unico settore della vita in cui il principio di competenza non può trovare cittadinanza. Quantomeno, fintanto che ci muoviamo in una logica democratica. La democrazia o è governo di tutti (e quindi diritto incondizionato di tutti a votare) oppure non è democrazia, ma qualcos’altro. Per vari motivi, la sostanza di questo bene prezioso l’abbiamo già persa da un pezzo. Vediamo di non perderne anche la forma.

Forse è il caso di recuperare il monito del sofista Protagora il quale insegnava che le “tecniche”, da sole, non bastano a garantire una sana e giusta convivenza sociale. Esse abbisognano di quella tecnica di tutte le tecniche che è la politica. Per usare le parole di Abbagnano, la politica è qualcosa di “non ristretto e specialistico, sulla falsariga delle altre tecniche, ma un’arte che riguarda ogni uomo, poiché se non tutti si è agricoltori, medici, calzolai o armatori, tutti si è però uomini della polis e quindi, in qualche modo, politici”.

www.francescocarraro.com

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