Archivio Tag: Elezioni

Elezioni, la diretta – Casa Bianca: “Biden prenderà misure a nuovo premier italiano”. Letta: “Meloni lavora per far implodere l’Europa”

La Casa Bianca interviene sulle elezioni italiane con le parole di un alto dirigente ai giornalisti a margine dell’assemblea generale dell’Onu. Conte: su Ucraina “non possiamo pensare di conseguire una vittoria militare”

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Elezioni 2021, Draghi: “Non credo che il risultato abbia indebolito il governo, ma non so neanche se sia rafforzato”

“Lei mi pone tante domande a cui non so dare risposte. Non credo che il risultato delle elezioni abbia indebolito il governo, ma non so neppure se si sia rafforzato“, così il premier Mario Draghi in conferenza stampa commentando i risultati delle comunali e del loro effetto sull’esecutivo. “È molto complicato – ha continuato – Ho letto e visto gli articoli di oggi, e devo capire la logica di questo. Ma comunque non credo che il governo si sia indebolito”.

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M5s, Bonafede: ‘Serve riorganizzazione’. Battelli: ‘Territori abbandonati, subito gli Stati Generali’

“Storicamente, alle Regionali, non hanno mai ottenuto grandi risultati“. È il commento, dopo le elezioni, di Giuseppe Conte sul risultato del Movimento 5 stelle, sul quale non si dice “preoccupato”. Più “politica” la riflessione di Sergio Battelli, presidente della commissione Affari europei: “Bisogna cambiare, i territori sono stati abbandonati. Servono subito gli Stati Generali per avere una nuova struttura e una nuova leadership e anche per discutere il ruolo della piattaforma Rousseau”. Secondo il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, “i risultati insoddisfacenti devono essere un ulteriore elemento per portarci a una riorganizzazione“. Gli Stati generali si preannunciano anche come la sede per discutere la collocazione del Movimento. Se per Battelli “in questa fase da soli non si vince” ed è corretto guardare al modello Liguria, che dev’essere “il punto di partenza e non di arrivo”, per il capo delegazione dei 5 stelle al governo “spesso si cade nell’errore che in una Regione basta allearsi per sommare i voti. Ma non è così”.

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Elezioni, via alla seconda giornata: si vota dalle 7 alle 15 per referendum, amministrative, regionali e suppletive. Affluenza al 40%

Urne di nuovo aperte dalle 7 alle 15 nella seconda e ultima giornata elettorale, con gli italiani chiamati a esprimere le proprie preferenze per quanto riguarda il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, sulle Regionali, le Amministrative e le Suppletive del Senato. Alta l’affluenza nel primo giorno, con il 39,38% per il referendum e il 41,37% in quattro regioni per il rinnovo della giunta, ossia Campania, Liguria, Puglia e Veneto, visto che nelle altre tre – Valle d’Aosta, Marche e Toscana – i dati non vengono comunicati dal Ministero dell’Interno. Quella dove la corsa alle urne è stata più alta è il Veneto, con il 46,13%, seguono tutte intorno al 40% le altre tre: Campania al 38,92% Liguria al 39,80% e Puglia al 39,89%.

Per il referendum sono chiamati alle urne 46.415.806 elettori, in un totale di 61.622 sezioni. Per le Suppletive del Senato gli aventi diritto al voto sono 427.824 per la Sardegna (Collegio uninominale 03 Sassari) in 581 sezioni e 326.475 per il Veneto (Collegio uninominale 09 Villafranca di Verona) in 393 sezioni. Le elezioni Regionali (in Valle d’Aosta, Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania, Puglia) interesseranno 18.471.692 elettori e un totale di 22.061 sezioni. Le Amministrative si svolgeranno, invece, in 957 comuni, di cui 608 nelle regioni a statuto ordinario e 349 nelle regioni a statuto speciale: per un totale di 5.703.817 elettori alle urne e 6.756 sezioni.

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L’Italia al voto dopo il lockdown: urne aperte per il referendum sul taglio dei parlamentari. E in sette Regioni si scelgono i governatori

Il referendum sul taglio dei parlamentari, sette governatori regionali da scegliere e anche quattro sindaci di capoluoghi di regione (due sono Province autonome) e 14 di provincia, oltre alle elezioni suppletive del Senato in Sardegna e in Veneto. L’Italia torna al voto dopo il lockdown: le urne rimandate a marzo e poi in primavera per l’emergenza coronavirus si sono aperte alle 7 e verranno chiuse lunedì alle 15. In ballo ci sono la riforma approvata dal Parlamento e rimessa in discussione da 71 senatori, ma anche la guida di Toscana, Veneto, Puglia, Campania, Marche, Liguria e Valle d’Aosta. Oltre alla corsa per il sindaco di Venezia, Trento, Bolzano e Aosta. Risultati che, nell’insieme, possono rinsaldare o far scricchiolare la maggioranza di governo, compatta nel alla riforma che riduce il numero di parlamentari ma che corre quasi sempre divisa nelle sette regioni al voto.

Dove, per cosa e in quanti si vota – Per il referendum costituzionale sono chiamati alle urne 46.415.806 elettori, in un totale di 61.622 sezioni dove sono state predisposte specifiche regole anti-Covid per ogni passo delle operazioni di voto (leggi tutte le norme). I residenti all’estero, che votano per corrispondenza, sono 4.537.308. I votanti dovranno scegliere se confermare o meno la riforma approvata dal Parlamento sul taglio degli eletti, da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. Le elezioni regionali interessano invece 18.471.692 di cittadini, mentre le amministrative si svolgono in 957 Comuni e coinvolgono 5.703.817 aventi diritto di voto. Alla chiusura dei seggi, inizierà lo spoglio del referendum seguito da quello delle Regionali. Martedì mattina l’apertura delle urne per le suppletive nei collegi di Sassari e Villafranca di Verona, oltre a quelle che conterranno le schede per il voto dei sindaci dei quattro capoluoghi di regione e dei 15 di provincia (Mantova, Lecco, Arezzo, Macerata, Fermo, Chieti, Andria, Trani, Matera, Crotone, Reggio di Calabria, Agrigento, Enna e Nuoro).

Le regionali – I territori chiamati a rinnovare i Consigli regionali sono sette, una sfida che attraversa tutta la Penisola. In Valle d’Aosta – dove la legge elettorale non prevede il voto al presidente – sono in corsa 12 liste. In Veneto invece Luca Zaia viene sfidato da 8 candidati, tra cui Arturo Lorenzoni per il centrosinistra ed Enrico Cappelletti del M5s. Il governatore uscente è favorito, ma deve affrontare anche la battaglia interna tra il risultato della sua lista personale e quella della Lega. In Liguria il centrodestra ricandida Giovanni Toti, che ha 9 avversari e dovrà difendersi da Ferruccio Sansa (Pd e M5s) mentre Italia Viva corre da sola con Aristide Massardo. Diversa la situazione nelle Marche con il dem Maurizio Mangialardi, il meloniano Francesco Acquaroli (centrodestra) e il pentastellato Gian Mario Mercorelli. Scenario simile in Campania: il ricandidato Vincenzo De Luca si ritrova di fronte Stefano Caldoro (centrodestra) e Valeria Ciarambino (M5s).

Occhi puntati su Toscana e Puglia – Stando alle previsioni della vigilia, le regioni più in bilico sono due. Occhi puntati sulla Toscana, dove Eugenio Giani (Pd e Italia Viva) tenta di difendere l’ultima roccaforte rossa dalla leghista Susanna Ceccardi, appoggiata da tutto il centrodestra. Mentre il M5s corre in solitaria con Irene Galletti. La situazione è ancora più ingarbugliata in Puglia, reduce da 15 anni di centrosinistra: Michele Emiliano corre con il supporto di 14 liste contro il centrodestra unito attorno a Raffaele Fitto, già governatore dal 2000 al 2005 e poi sconfitto da Nichi Vendola. Il magistrato antimafia non può contare però sull’appoggio di Italia Viva e M5s: i renziani schierano Ivan Scalfarotto, i Cinque Stelle hanno scelto Antonella Laricchia.

La maggioranza alla finestra – Sulle due regioni considerate maggiormente in bilico ha gli occhi puntati il governo. Una “giravolta” della Toscana e una battuta di arresto in Puglia, nella regione del premier Giuseppe Conte, potrebbero creare tensioni a Roma. Il centrodestra ha già messo in chiaro di essere pronta a premere per un “assunzione di responsabilità” in caso di ampio successo elettorale. Una situazione che potrebbe essere amplificata o depotenziata dal risultato del referendum sul taglio dei parlamentari, cavallo di battaglia dei Cinque Stelle e appoggiato dalla direzione del Pd. Italia Viva invece ha lasciato libertà di coscienza ai suoi elettori.

La sfida di Venezia – La sfida più importante tra i capoluoghi di regione è quella di Venezia, il comune più popoloso al voto. Il sindaco uscente Luigi Brugnaro punta alla vittoria al primo turno, sostenuto da tutto il centrodestra. Il centrosinistra si è compattato intorno alla figura di Pierpaolo Baretta, sottosegretario all’Economia, una storia di impegno nella Cisl da Porto Marghera alla segreteria nazionale e poi in politica. La coalizione che lo sostiene comprende Pd, Verde progressista e tre civiche. I grillini hanno scelto di non stringere alleanze e corrono da soli con Sara Visman, consigliera comunale uscente. In corsa anche Giovanni Andrea Martini (ex Pd), Marco Gasparinetti (Terra e Acqua 2020), Stefano Zecchi (Partito dei Veneti), il separatista Marco Sitran (Civica Sitran), Maurizio Callegari (Italia giovane e solidale) e Alessandro Busetto (Partito comunista dei lavoratori).

Trento, Bolzano e Aosta – A Trento e Bolzano il centrosinistra affronta una importante sfida: difendere il posto di sindaco in due Province autonome che sono invece governate o co-governate dalla Lega. A Trento (8 candidati) l’ex segretario della Cgil trentina Franco Ianeselli punta a prendere il testimone da Alessandro Andreatta. L’avversario più accredito è Andrea Merler del centrodestra. Mentre a Bolzano (10 candidati) Renzo Caramaschi mira alla sua riconferma alla guida della giunta centrosinistra-Svp contro il candidato delle destra Roberto Zanin. Sei candidati invece ad Aosta. La sfida si prospetta molto combattuta: è molto probabile che al primo turno nessuno raggiunga il 50% dei voti e che si debba andare al ballottaggio (il 4 e 5 ottobre) La maggioranza uscente – composta da Partito Democratico, Union valdotaine, Alliance valdotaine e Stella alpina – propone il ticket formato da Gianni Nuti, ex dirigente regionale, e da Josette Borre. Diviso il centrodestra: da una parte la Lega Vallée d’Aosta che presenta come candidato sindaco l’architetto Sergio Togni, dall’altra Forza Italia e Fratelli di Italia che candidano il commercialista Paolo Laurencet.

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Regionali, Di Battista contro il voto disgiunto: “Che significa ‘turarsi il naso’? La cabina elettorale non è un cesso pubblico”

“Altro che voti disgiunti, che vuol dire votare turandosi il naso? Che cos’è la cabina elettorale, un cesso pubblico?”. Alessandro Di Battista torna a parlare in pubblico e lo fa dal palco di Bari, dove ha chiuso la campagna elettorale della candidata del Movimento 5 stelle, Antonella Laricchia. Di Battista, nel suo intervento, si è opposto fortemente alla logica del voto utile (che secondo il centrosinistra significherebbe dare la preferenza al candidato presidente, in questo caso, Michele Emiliano). “Il tema delle alleanze distrugge i progetti, vincere è un mezzo non un fine”, ha aggiunto. “Se per voi la Puglia, sotto Fitto e sotto Emiliano, ha avuto un progetto, rivotatela, se invece non lo pensate è chiaro che dovete dare una preferenza totale a Laricchia“.

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In politica la competenza non ha cittadinanza

Parliamo di uno dei miti assoluti della contemporaneità: la competenza. La competenza è un pre-requisito necessario, anzi sacrosanto, di qualsiasi professione. Nell’era della iper-complessità non puoi riuscire in quasi nulla se non ne sai quasi tutto almeno di qualcosa.

Il mondo è sempre più complicato e si compone di una miriade di sotto-mondi, ciascuno a sua volta infinitamente poliedrico. “Competenza” significa possedere il dominio delle conoscenze, delle tecnicalità e dei saperi pratici indispensabili per orientarsi in un piccolissimo segmento della realtà. Il che comporta pagare un fio: quello di essere tutti abbastanza ignoranti – se non molto, addirittura – in tutto il resto. A questo punto, però, abbiamo un problema.

Se la competenza ha sicuramente senso in ambito scientifico, tecnico, professionale, essa non è altrettanto “significativa” in ambito politico. Soprattutto quando la si richiede, anzi la si pretende persino, non tanto da chi è chiamato a decidere (la classe dirigente eletta), ma da chi è chiamato a scegliere chi decide (la massa dei cittadini elettori).

Nel primo caso ci può stare; diciamo pure che ci “deve” stare. Da un premier o da un ministro è lecito attendersi, ed esigere, quantomeno una infarinatura accettabile sulle materie definite, non a caso, di “sua competenza”. Ma da tutti gli altri? Dai cittadini maggiorenni cui la nostra Costituzione, e quella di qualsiasi altro paese sedicente democratico, conferisce il diritto-dovere di scegliere i propri rappresentanti?

Negli ultimi tempi, da più parti – e, duole dirlo, soprattutto dalla cosiddetta sinistra progressista – si è levato il venticello velenoso di una tentazione: limitare, comprimere, selezionare l’accesso al diritto di elettorato attivo. La famosa “patente per votare”, insomma.

Un tesserino di riconoscimento delle “competenze” politiche individuali destinato a tenere fuori dalle cabine soggetti minus-dotati: chi dice i vecchi, chi dice gli stupidi, chi dice gli ignoranti. E chiunque lo dice non si rende conto di quanto una simile idea puzzi di vero razzismo, in un’epoca in cui vanno via come il pane i razzismi inventati.

Intanto, se davvero dovessimo calibrare il diritto di voto sulle “competenze” di un cittadino, forse nessuno di noi avrebbe più diritto di votare. Non foss’altro perché quasi nessuno (grandi intellettuali e professoroni inclusi) ha un grado di “competenza” sufficiente per comprendere davvero l’immane complessità del termitaio giuridico-istituzionale di cui siamo ospiti. E quand’anche possieda una competenza suprema, questa è sempre iper-specifica e selettiva: ergo, inidonea a funzionare in una logica di insieme.

Altrimenti detto, se il criterio di accesso al voto dovesse essere la “competenza”, allora la democrazia sarebbe spacciata. Ma c’è un altro aspetto interessante da considerare. I nuovi movimenti “dal basso” – dal Fridays for future alle Sardine – si caratterizzano per una straordinaria semplificazione del linguaggio, dei concetti, dei messaggi e per una “incompetenza” talvolta addirittura rivendicata come tratto distintivo.

E sono tutti movimenti accreditati di un altissimo tasso di “democraticità” dalla maggioranza dei media. L’icona del Green new deal è Greta Thunberg, una ragazzina, la quale – se non altro per mere ragioni anagrafiche – non può materialmente avere (quantomeno prima di completare un normale curriculum di studi) la competenza invocata da chi vorrebbe introdurre un esame di stato per accedere ai seggi elettorali.

Eppure nessuno, giustamente, mette in dubbio il diritto di Greta e dei suoi supporter di immaginare un futuro diverso e di impegnarsi affinché la Storia prenda una direzione differente, giusta o sbagliata che sia. La cosa buffa è che quelli pronti a censurare l’esito del referendum sulla Brexit perché determinato da grezzi contadini incompetenti sono gli stessi che poi inneggiano all’abbassamento dell’età del voto a buon pro dei tardo-adolescenti.

E siamo arrivati, dunque, al punto chiave di tutta la faccenda che si chiama “politica”. La politica è l’unico settore della vita in cui il principio di competenza non può trovare cittadinanza. Quantomeno, fintanto che ci muoviamo in una logica democratica. La democrazia o è governo di tutti (e quindi diritto incondizionato di tutti a votare) oppure non è democrazia, ma qualcos’altro. Per vari motivi, la sostanza di questo bene prezioso l’abbiamo già persa da un pezzo. Vediamo di non perderne anche la forma.

Forse è il caso di recuperare il monito del sofista Protagora il quale insegnava che le “tecniche”, da sole, non bastano a garantire una sana e giusta convivenza sociale. Esse abbisognano di quella tecnica di tutte le tecniche che è la politica. Per usare le parole di Abbagnano, la politica è qualcosa di “non ristretto e specialistico, sulla falsariga delle altre tecniche, ma un’arte che riguarda ogni uomo, poiché se non tutti si è agricoltori, medici, calzolai o armatori, tutti si è però uomini della polis e quindi, in qualche modo, politici”.

www.francescocarraro.com

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