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Greta di lotta o di governo, il dilemma dei Fridays for Future

L’abbiamo vista ballare “Bella Ciao” con gli occhi che le ridevano. L’abbiamo vista salire sul palco di Milano, dove con forza e convinzione ha detto che il potere non è lì dentro, nelle conferenze sul clima, ma in piazza. Perché “noi siamo il potere, le persone sono il potere”. Greta Thunberg, a Milano nei giorni passati, è senz’altro più a suo agio nelle strade, circondata da quei coetanei che così tanto la stimano e da quei cartelli che ormai attraversano le nostre città. Il suo volto cambia, i suoi occhi mutano espressione quando invece si trova ad ascoltare le parole dei potenti, oppure a parlare, come ha fatto sempre alla pre-Cop di Milano:dura e tagliente, le sue accuse sul “blablabla” dei politici che nulla farebbero sono diventate una specie di slogan.

Sia Draghi che Cingolani hanno voluto in qualche modo controbattere alle accuse di “blablabla”. Draghi le ha spiegato, e dal suo punto di vista si tratta di un’obiezione in parte comprensibile, che il “blablabla” serve a convincere le persone e che mettere insieme centinaia di paesi sulla stessa linea è realmente duro. Ma Greta è in qualche modo costretta a rivestire un ruolo intransigente, per due ragioni: la prima, è che realmente le emissioni stanno aumentando, e con loro i pericoli per la nostra sicurezza. Dunque, dal punto di vista scientifico, che è il suo, non c’è compromesso possibile, bisogna dire la dura verità. Secondo, è che mostrandosi troppo accondiscendente con i politici rischia di sembrare collusa, o di cedere rispetto alle richieste sue e del movimento.

In effetti, in questi giorni della pre-Cop e della Cop dei giovani, molti tra gli ambientalisti si sono chiesti se non fosse meglio che Greta smetta di partecipare a questi summit climatici. Facendo così, infatti, sembrerebbe legittimare in qualche modo i potenti di turno, che non aspettano altro che potere essere immortalati con lei, in una perfetta operazione di greenwashing, e tanto più se in campagna elettorale, come nel caso di Giuseppe Sala. Insomma, c’è chi pensa che sia meglio stare sempre fuori dai convegni, assediandoli, ma senza entrarci, per non essere in qualche modo la foglia di fico dei potenti. È l’eterno dilemma dell’essere di lotta e di governo che movimenti con obiettivi ben diversi hanno già sperimentato in passato.

Ovviamente, si tratta di un rischio reale. Ma d’altronde Greta lo sa benissimo, tanto che spesso ricorda che i potenti vogliono unicamente farsi un selfie con lei. Per questo non sorride mai con loro. Tuttavia, questo rischio, al momento, va ancora corso. E lei se la sta cavando benissimo, brava realmente nel suo doppio ruolo di giudicatrice severa del (non) operato dei potenti e leader carismatica in piazza. Guardando la diretta della pre-Cop milanese, con centinaia di attivisti, alla presenza delle nostre istituzioni, da Mattarella a Draghi fino a Cingolani, che moderava l’incontro, non ho avuto onestamente l’impressione che si trattasse di una messa in scena. Tutti i partecipanti mi sono parsi realmente coinvolti. I “potenti” hanno dovuto in qualche modo prendere atto delle richieste dei giovani, ma soprattutto mi sembra li abbiano ascoltati. Penso sia stato un incontro importante.

Di più: penso sia realmente pericoloso, questa linea esiste nei movimenti ambientalisti specie i più naif, dipingere sembra gli attivisti come i buoni e la politica come cattiva. Questa opposizione radicale non serve a molto, non è costruttiva. Oltretutto, nella storia non esiste il Male contro il Bene. Nello spazio del possibile, cioè dell’azione e della politica fatta in molti modi, bene e male sono sempre intrecciati. E non c’è dubbio che se i giovani dei Fridays sono realmente innocenti rispetto al disastro climatico, mentre i politici sono certamente colpevoli di non agire, una cooperazione tra movimenti e politica credo possa dare i suoi frutti. Anche perché i movimenti stanno realmente acquisendo sempre più potere e visibilità.

Ovviamente, bisogna stare attentissimi a non essere strumentalizzati. Ma ancora una volta, Greta lo sa benissimo e non a caso ha creato una Fondazione indipendente per gestire donazioni in maniera totalmente trasparente. Conosce benissimo, tra l’altro, i meccanismi della comunicazione ed è attentissima a non commettere errori. Penso quindi che saprà bene capire se arriverà il momento in cui bisognerà dire “Grazie ma non vengo. Noi restiamo fuori”. Sicuramente sarà decisiva la Cop26 di Glasgow, perché se dovesse rivelarsi un tragico fallimento, speriamo con tutte le forze di no, potrebbe spingere gli attivisti a cambiare strategia.

Per ora, tuttavia, restare sia di lotta che di governo, appunto, è la risposta giusta, soprattutto perché, ripeto, sui due piani Greta, così come i Fridays for Future – ormai coinvolti da istituzioni come dai giornali – si muove con intelligenza. D’altronde Max Weber sosteneva che l’etica della convinzione, cioè dei principi assoluti, e l’etica della responsabilità, cioè dell’azione concreta, per così dire, sono opposte e tuttavia entrambe necessarie. E sta a chi agisce o fa politica – come Greta e i Fridays – usare entrambe con accortezza, dosarle per avere efficacia ed incidere nella realtà.

Sia Greta che i Fridays hanno poi, purtroppo, un formidabile aiuto. Perché l’emergenza climatica aumenterà e con essa le crisi. Le siccità, gli alluvioni, i morti per cambiamenti climatici, le migrazioni “giocano” a favore di un movimento che non ha, ahimè, nessun rischio di estinguersi o di uscire di scena. Perché appunto le istanze che difende sono destinate a crescere enormemente di importanza, tanto che presto sarà realmente impossibile ignorarle.

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Il Coronavirus non deve fermare la lotta a favore del clima e di un’economia sostenibile

Neppure la pandemia ha impedito ai ragazzi e alle ragazze di Fridays For Future di partecipare al quinto sciopero globale per il clima. Stavolta in versione digital, ahimè, ma non c’era altra scelta! Attraverso un sistema di geolocalizzazione online, lo scorso venerdì migliaia di attivisti si sono radunati virtualmente, intorno alle ore 10:00 di fronte a Palazzo Chigi (sic!), per gridare a colpi di cartelloni, anch’essi rigorosamente virtuali, che la crisi climatica è un’emergenza che non deve e non può essere accantonata in nome di una ripresa economica fondata sul business-as-usual.

Quel modello proposto dalle grandi aziende che, nel solito mondo capovolto a cui siamo da sempre abituati, andrebbe a ricostruire il sistema economico che ci ha portato dove siamo adesso, conservando tutte le sue palesi storture, e a rimpinguare i patrimoni di tutti quelli che nonostante la crisi sanitaria non hanno smesso di arricchirsi né hanno liquidato, tra un elogio e l’altro a cassiere, edicolanti, infermieri e fattorini (i cosiddetti eroi della “prima linea”, che eroi lo sono per davvero, ma saranno presto, purtroppo, dimenticati da tutti e sostituiti con altri idoli mediatici) la cultura disastrosa del profitto ad ogni costo.

Inoltre, come affermava Milton Friedman, l’economista del liberismo sfrenato, ‘solo una crisi, reale o percepita, produce un vero cambiamento. Quando quella crisi si verifica, le azioni che vengono intraprese dipendono dalle idee che circolano in quel momento’. E le principali idee che circolano, rafforzate dal potere economico dell’1% della popolazione globale, non sono certo quelle che ci salveranno dai drammatici effetti di una crisi climatica lasciata a se stessa.

È quindi indispensabile una solida volontà politica che orienti la ripresa da una delle più pesanti crisi economiche del mondo moderno, che ha visto crollare insieme domanda e offerta. E allo stesso tempo una massa sempre più numerosa e consapevole, che diffonda idee di cambiamento.

Quelle idee che gli attivisti di Fridays For future hanno raccolto in una proposta concreta di “Rinascita” che lasci alle spalle un passato senza dubbio presago di sventura: una Lettera all’Italia, firmata da oltre 50 tra i più autorevoli scienziati ed economisti italiani, che lo scorso 17 aprile ha ufficialmente inaugurato la campagna Ritorno al futuro.

Una proposta vasta che, a partire dall’abolizione dei sussidi al fossile, un ladrocinio che sperpera risorse che potrebbero essere usate a vantaggio della società, spazia da un grande piano di investimenti pubblici in grado di favorire una radicale transizione energetica e industriale, e di creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro (posti che una crisi climatica mal gestita, secondo molti studi, alla lunga ridurrebbe invece drasticamente); fino ad un invito ad un ripensamento del sistema agro-alimentare, che è tra le prime fonti di emissioni di gas climalteranti.

Un programma da sviluppare però sotto l’egida del più fondamentale dei principi: la giustizia sociale e climatica. Mettendo quindi avanti le fasce sociali che, già deboli prima della crisi sanitaria, adesso lo saranno ancora di più; unite alle decine di migliaia di lavoratori che, nella fase di ripresa economica, rischieranno il posto e dovranno essere tutelati. Ovviamente facendo gravare i costi della transizione sui maggiori responsabili della crisi climatica, dalle multinazionali estrattive a quelle del fossile (che invece potrebbero imporsi come infrastruttura della ripresa, a scapito delle energie rinnovabili) fino a tutte le altre grandi realtà produttive insostenibili.

Niente di nuovo, non è certo un movimento di piccole Cassandre (come è stato a più riprese definito) a poter trovare le soluzioni per risolvere la crisi climatica. Le soluzioni e le tecnologie per applicarle, ovviamente non in una settimana, ma con un piano dal lungo respiro, esistono già. A mancare è solo la volontà politica di adottarle e di farne il fulcro di un’agenda globale, per colpa di una classe dirigente mediocre e narcisista, alla continua ricerca di conflitti di comodo con cui calamitare l’attenzione dell’opinione pubblica, impedendole così di prendere coscienza dell’unico e vero conflitto in atto.

Rinnegando quella laica “religione dell’umanità” professata anche da Einstein, che non era altro che la convinzione che la vita individuale ha senso solo se considerata un tassello di una vita più vasta, cominciata prima di noi e destinata a sopravvivere alla nostra breve esistenza.

Fridays For Future, con i suoi scioperi che si spera torneranno presto a invadere le piazze, è qui per ribadirlo e per mettere in luce, infine, con grande umiltà e spirito propositivo, le evidenti contraddizioni di un sistema che ha fallito. Nella speranza che possa bastare.

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