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Procura di Genova indaga sui ritardi dei pronto soccorso e la mancata attuazione dei piani per l’emergenza Covid

La procura di Genova indaga per il caos nei pronto soccorso cittadini dopo l’impennata di malati di Coronavirus. Il fascicolo è per atti relativi e non ci sono indagati. L’indagine è partita dopo le numerose segnalazioni di pazienti e medici che lamentano la mancata attuazione dei piani per fronteggiare l’emergenza. La procura vuole capire come mai, a fronte di una previsione dell’arrivo della seconda ondata, non siano stati aperti nuovo reparti Covid o non sia stato assunto nuovo personale.

Al centro dell’indagine ci sarebbe in particolare Alisa, l’Agenzia ligure della sanità. Il procuratore aggiunto Francesco Pinto, che coordina l’indagine, ha acquisito la documentazione relativa ai piani sanitari per fronteggiare l’emergenza e le interviste rilasciate nelle scorse ore dai vertici del pronto soccorso Galliera. Da giorni, ma in particolare dal 22 ottobre, si è raggiunto il picco, e decine di ambulanze aspettano in coda davanti ai pronto soccorso di Genova. I pazienti aspettano anche cinque ore prima di essere visitati dentro la stessa ambulanza.

Come sottolineato dal primario del Galliera Paolo Cremonesi in una intervista al Tg1, servirebbero le strutture esterne dove mandare i malati di Covid con bassa carica virale e quelli che non hanno bisogno delle terapie intensive per alleggerire i reparti. Per i magistrati già a settembre si stava registrando un aumento di malati e si sapeva che in autunno sarebbe arrivata la seconda ondata. Queste circostanze avrebbero dovuto fare attivare prima la macchina per allestire le strutture adatte, e previste dai piano, in modo tale da non creare il caos di questi giorni.

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Coronavirus, la denuncia del sindacato: “Operatori ai varchi del cantiere del Morandi lavorano senza le adeguate protezioni”

“Gli operatori ai varchi del cantiere del ponte Morandi lavorano senza le adeguate protezioni e in condizioni igienico sanitarie non in linea con il Dpcm dell’11 marzo”. La denuncia è di Gianluca Mennuti, segretario nazionale di Confintesa Sp (Sicurezza privata), che nei giorni scorsi ha mandato una segnalazione allo Spresal Asl 3 e alla questura di Genova, chiedendo interventi urgenti. “Nessuno vuole che si vada in cassa integrazione – aggiunge Mennuti – ma viviamo in un momento d’emergenza dove la tutela di tutti deve essere garantita al massimo. Auspichiamo che le prefetture si attivino per garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori”.

Mascherine chirurgiche consegnate senza involucri, occhiali protettivi e tute monouso assenti: sono queste le condizioni in cui lavorerebbero gli “opl”, operatori di portierato logistico (di cui molti della ditta Sicuritalia), al cantiere del nuovo ponte sul Polcevera. Secondo il commissario per la ricostruzione, Marco Bucci, le pratiche dentro il cantiere sono “un modello” e hanno ottenuto l’ok del Rina. La storia che raccontano gli operatori di portierato – e come mostrano diverse foto, tra cui quella scattata venerdì che pubblichiamo – è un altra, mentre tra gli operai c’è almeno un positivo. Oltre 35 uomini in dieci varchi da metà marzo sarebbero “obbligati” a misurare la febbre agli operai che fanno ingresso nell’area di lavoro. “Un’operazione che non rende possibile stare a distanza di sicurezza come prevede la normativa”, spiegano in molti. Alcuni di loro sono stati allontanati dal cantiere dopo essersi rifiutati di “misurare la febbre” senza aver ricevuto mascherine Ffp2 o Ffp3, le uniche filtranti e adatte a evitare il contagio da coronavirus. “Eppure – sostiene Mennuti – chi fa il nostro lavoro all’aeroporto le ha, indossa i guanti e le tute”.

Racconta un uomo che è stato trasferito in un supermercato e che fino ad alcuni giorni fa lavorava al cantiere: “Ci volevano obbligare a fare il rilevamento della temperatura dandoci una sola mascherina chirurgica, senza occhiali né tuta. Il termometro misurava sempre 34 gradi. Fino al giorno di Pasqua la febbre la prendeva un’infermiera, ma poi siamo rimasti solo noi”. “Ho scritto – dice il portiere – che non mi sarei prestato a fare l’operazione senza le protezioni adeguate. Non avevamo nemmeno fatto i corsi. Alla mail non hanno risposto, ma mi hanno dato un’altra mansione”.

“Tecnicamente – spiega un operatore – dovremmo stare dentro al gabbiotto, tirare fuori il braccio e misurare la temperatura. Ma non ci si riesce. Ci dobbiamo sporgere, uscire con metà corpo. È inevitabile avvicinarsi agli operai, che comunque non sempre hanno la mascherina. E ne basta uno positivo per ammalarci tutti”. “Vediamo molti operai con le mascherine – sottolinea – ma c’è anche chi non la ha. Ieri ho visto uno che scendeva da un escavatore senza. E molti manovali che indossano quella filtrante, la riusano fino a farla diventare nera. Un giorno ho chiesto a uno di loro perché fosse di quel colore e non bianca. Mi ha risposto che teneva la stessa addosso da 15 giorni”. “C’erano i rumeni – racconta un altro – che per un periodo le mascherine non le hanno avute. La moglie di uno di loro le cuciva in casa, per il marito e 20 colleghi. Erano di stoffa”.

“Un giorno sono passati quelli della Asl a controllare – ricorda – ma per noi le cose non sono cambiate. A me han dato un pugno di mascherine a mano, senza involucro. Chissà in quanti le avevano toccate. A un altro erano arrivate dentro a una cartellina trasparente coi buchi, di quelle che si usano per mettere i fogli di carta”.

Un altro “opl” che è stato trasferito racconta: “Finché c’era una cooperativa a misurare la febbre ce la cavavamo. Scansionavano i tesserini degli operai senza toccarli, facendoli mettere dentro una scatola. Poi ci hanno detto che dovevamo fare noi questa operazione. Abbiamo richiesto i Dpi”. Ma, continua il portiere, “non ci sono stati dati i guanti, i camici e gli occhiali ma solo un pugno di mascherine chirurgiche. Io e altri tre colleghi abbiamo chiesto di essere spostati perché non volevamo rischiare di perdere la salute. Lo hanno fatto. Ma chi ha il contratto a termine non ha osato protestare. Loro continuano a lavorare, anche con mascherine di cartapesta”.

Secondo il sindaco di Genova e commissario straordinario per la costruzione del ponte Morandi, Marco Bucci, le misure anti-Covid applicate al cantiere “sono diventate un sistema modello”, che ha ottenuto l’ok dal “Rina, il maggior ente di certificazione italiano”. Inoltre, precisano fonti vicine al commissario, nel cantiere “è stato applicato un protocollo anti-Covid rigido, i lavoratori sono sensibilizzati e tutte le aziende in sub-appalto sono state addestrati a rispettare tutte le norme”.

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Gruppo di orche al porto di Genova Pra’: l’avvistamento eccezionale preoccupa i biologi

Un gruppo di orche è stato avvistato ieri nelle acque del porto di Genova Pra’. Si tratta di tre esemplari, mamma e due cuccioli. Il video è stato pubblicato su Facebook e ha fatto presto il giro dei social, considerata l’eccezionalità dell’avvistamento. I biologi, però, si dicono preoccupati. È probabile infatti che i cambiamenti climatici abbiano disorientati le orche, che in questo periodo in genere battono le rotte migratorie che dal Nord le portano all’arcipelago delle Azzorre.

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A26, adesso anche il Pd attacca Autostrade: ‘Garantisca sicurezza o faccia passo indietro’. Toti: ‘C’era tempo di lastricare d’oro i viadotti’

La chiusura dell’A26 per verifiche da parte di Autostrade sui viadotti Fado e Pecetti dopo la segnalazione della procura di Genova sui “gravi ammaloramenti” delle due infrastrutture rischia di mettere in ginocchio la Liguria, con Genova prossima all’isolameto, e provoca uno scossone politico. Perché di fronte all’ennesima contestazione dei magistrati anche nel Pd inizia ad alzarsi voci che chiedono misure forti nei confronti del concessionario.

“Non abbiamo più tempo. Chi non è in grado di garantire la sicurezza e la viabilità, faccia un passo indietro”, è la richiesta del deputato ligure Franco Vazio, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera. Parole che arrivano mentre Autostrade ha deciso di riaprire parzialmente la viabilità del tratto tra l’allacciamento con la A10 e lo svincolo di Masone, evitando almeno in parte l’isolamento di Genova, già gravata dal crollo del ponte Morandi. Una situazione che ha mandato su tutte le furie il governatore ligure Giovanni Toti che parla di “tempo di guerra” e chiede “stanziamenti straordinari” nonché uno “scudo legislativo” per “agire” e “mettere in sicurezza l’asset più importante della logistica di questo Paese, cioè 4 porti della Liguria”. Quindi ha attaccato anche Autostrade: “Per un anno e 4 mesi non si è fatto assolutamente niente. Aspi in 1 anno e 4 mesi avrebbe dovuto lastricare d’oro quei viadotti perché ne aveva il tempo e le possibilità e non aspettare a muoversi quando la procura glielo ha chiesto”.

Il primo passo del formale del governo lo ha compiuto il ministro per le Infrastrutture, Paola De Micheli, che in mattinata ha incontrato i vertici della concessionaria di proprietà della holding della famiglia Benetton. La convocazione è scattata lunedì sera, subito dopo la chiusura per “verifiche” del Fado e del Pecetti, quest’ultimo al centro dell’inchiesta sui presunti falsi report, nata dall’indagine per il collasso del Morandi. L’amministratore delegato Roberto Tomasi, spiega la società, ha “illustrato le modalità tecniche individuate per riaprire al traffico l’autostrada A26″ e “ha manifestato l’intenzione di accelerare ulteriormente il piano nazionale di interventi sulla rete”.

In mattinata è stata anche convocata anche una Giunta regionale straordinaria per fare il punto. Le prime misure già predisposte e prevedono separazione del traffico merci da quello privato lungo sulla strada Guido Rossa e su lungomare Canepa, da e per il porto di Genova. Il sindaco Marco Bucci ha disposto l’utilizzo gratuito dell’intera rete urbana di trasporto pubblico Amt fino alla cessazione dell’emergenza per la chiusura dell’A26 che sta provocando gravi disagi al traffico cittadino. Toti ha invece chiesto al ministero e ad Autostrade “di avere tutti i caselli gratis sulla rete autostradale ligure” fino a quando la situazione non sarà risolta.

L’arrabbiatura di Toti – che ha chiesto anche una “task force” per Genova, un “advisor tecnico” per comprendere la reale situazione del sistema viabilità e si è domandato dove siano finiti i tecnici del ministero – è condivisa dal procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi: “Le istituzioni devono avere consapevolezza. Non si può girare la testa dall’altra parte. Non faccio allarmismo, è consapevolezza della situazione”, ha detto a Radio 24. Il procuratore ha poi proseguito: “Condivido le parole del presidente della Regione Toti, occorre un altro passo e un piano generale di intervento sullo stato delle infrastrutture. Non è compito della procura verificare se sono o meno in condizioni di sicurezza”.

Per il M5s, quello della A26 è un episodio che “va a confermare i sospetti sulle abnormi responsabilità di Autostrade per l’Italia in merito alle mancate manutenzioni, emersi in tutta la loro drammaticità il 14 agosto del 2018″. In un post sul Blog delle Stelle si legge: “Ora ci chiediamo: è pensabile che una regione, con uno dei centri produttivi più importanti del Mediterraneo, sia appesa a un filo e si trovi a vivere in queste condizioni, a causa dell’incuria e della sciatteria della holding dei Benetton?”, definiti i “signori del casello”. Duro anche il commento del vice-ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Buffagni: “Quello che è grave sui viadotti che una società privata, dopo i disastri che ha fatto l’anno scorso in cui sono morte 43 vittime, evidentemente è nelle stesse condizioni. Se la procura è intervenuta evidenziando questi report falsi è una gravità impressionante perché chi mette a repentaglio la sicurezza degli italiani è un criminale”.

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