“Gli operatori ai varchi del cantiere del ponte Morandi lavorano senza le adeguate protezioni e in condizioni igienico sanitarie non in linea con il Dpcm dell’11 marzo”. La denuncia è di Gianluca Mennuti, segretario nazionale di Confintesa Sp (Sicurezza privata), che nei giorni scorsi ha mandato una segnalazione allo Spresal Asl 3 e alla questura di Genova, chiedendo interventi urgenti. “Nessuno vuole che si vada in cassa integrazione – aggiunge Mennuti – ma viviamo in un momento d’emergenza dove la tutela di tutti deve essere garantita al massimo. Auspichiamo che le prefetture si attivino per garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori”.

Mascherine chirurgiche consegnate senza involucri, occhiali protettivi e tute monouso assenti: sono queste le condizioni in cui lavorerebbero gli “opl”, operatori di portierato logistico (di cui molti della ditta Sicuritalia), al cantiere del nuovo ponte sul Polcevera. Secondo il commissario per la ricostruzione, Marco Bucci, le pratiche dentro il cantiere sono “un modello” e hanno ottenuto l’ok del Rina. La storia che raccontano gli operatori di portierato – e come mostrano diverse foto, tra cui quella scattata venerdì che pubblichiamo – è un altra, mentre tra gli operai c’è almeno un positivo. Oltre 35 uomini in dieci varchi da metà marzo sarebbero “obbligati” a misurare la febbre agli operai che fanno ingresso nell’area di lavoro. “Un’operazione che non rende possibile stare a distanza di sicurezza come prevede la normativa”, spiegano in molti. Alcuni di loro sono stati allontanati dal cantiere dopo essersi rifiutati di “misurare la febbre” senza aver ricevuto mascherine Ffp2 o Ffp3, le uniche filtranti e adatte a evitare il contagio da coronavirus. “Eppure – sostiene Mennuti – chi fa il nostro lavoro all’aeroporto le ha, indossa i guanti e le tute”.

Racconta un uomo che è stato trasferito in un supermercato e che fino ad alcuni giorni fa lavorava al cantiere: “Ci volevano obbligare a fare il rilevamento della temperatura dandoci una sola mascherina chirurgica, senza occhiali né tuta. Il termometro misurava sempre 34 gradi. Fino al giorno di Pasqua la febbre la prendeva un’infermiera, ma poi siamo rimasti solo noi”. “Ho scritto – dice il portiere – che non mi sarei prestato a fare l’operazione senza le protezioni adeguate. Non avevamo nemmeno fatto i corsi. Alla mail non hanno risposto, ma mi hanno dato un’altra mansione”.

“Tecnicamente – spiega un operatore – dovremmo stare dentro al gabbiotto, tirare fuori il braccio e misurare la temperatura. Ma non ci si riesce. Ci dobbiamo sporgere, uscire con metà corpo. È inevitabile avvicinarsi agli operai, che comunque non sempre hanno la mascherina. E ne basta uno positivo per ammalarci tutti”. “Vediamo molti operai con le mascherine – sottolinea – ma c’è anche chi non la ha. Ieri ho visto uno che scendeva da un escavatore senza. E molti manovali che indossano quella filtrante, la riusano fino a farla diventare nera. Un giorno ho chiesto a uno di loro perché fosse di quel colore e non bianca. Mi ha risposto che teneva la stessa addosso da 15 giorni”. “C’erano i rumeni – racconta un altro – che per un periodo le mascherine non le hanno avute. La moglie di uno di loro le cuciva in casa, per il marito e 20 colleghi. Erano di stoffa”.

“Un giorno sono passati quelli della Asl a controllare – ricorda – ma per noi le cose non sono cambiate. A me han dato un pugno di mascherine a mano, senza involucro. Chissà in quanti le avevano toccate. A un altro erano arrivate dentro a una cartellina trasparente coi buchi, di quelle che si usano per mettere i fogli di carta”.

Un altro “opl” che è stato trasferito racconta: “Finché c’era una cooperativa a misurare la febbre ce la cavavamo. Scansionavano i tesserini degli operai senza toccarli, facendoli mettere dentro una scatola. Poi ci hanno detto che dovevamo fare noi questa operazione. Abbiamo richiesto i Dpi”. Ma, continua il portiere, “non ci sono stati dati i guanti, i camici e gli occhiali ma solo un pugno di mascherine chirurgiche. Io e altri tre colleghi abbiamo chiesto di essere spostati perché non volevamo rischiare di perdere la salute. Lo hanno fatto. Ma chi ha il contratto a termine non ha osato protestare. Loro continuano a lavorare, anche con mascherine di cartapesta”.

Secondo il sindaco di Genova e commissario straordinario per la costruzione del ponte Morandi, Marco Bucci, le misure anti-Covid applicate al cantiere “sono diventate un sistema modello”, che ha ottenuto l’ok dal “Rina, il maggior ente di certificazione italiano”. Inoltre, precisano fonti vicine al commissario, nel cantiere “è stato applicato un protocollo anti-Covid rigido, i lavoratori sono sensibilizzati e tutte le aziende in sub-appalto sono state addestrati a rispettare tutte le norme”.

L’articolo Coronavirus, la denuncia del sindacato: “Operatori ai varchi del cantiere del Morandi lavorano senza le adeguate protezioni” proviene da Il Fatto Quotidiano.

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