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Algero Corretini, dal muro a star del web: l’influencer marketing ai tempi del 1727

Il 17 maggio 2020 in Italia esplode la chiave di ricerca “ho preso il muro fratellì”. L’espressione fa il giro di Roma, prima, e dell’Italia intera, poi, a seguito di un incidente in macchina ripreso in diretta su Instagram. Alla guida dell’automobile, e alla direzione del video in tempo reale, c’è Algero Corretini.

Romano, classe 1996, Algero intraprende sin da giovane la carriera di rapper sotto il nome di Esak. Poi diventa 1727wrldstar, e inizia a conquistare popolarità su Internet grazie a una serie di dirette su Instagram e Twitch in cui discute in modo animato con altri artisti e personalità del web.

Il video del suo incidente in macchina, avvenuto per via di un’inversione a U a tutta velocità in zona Ponte Galeria-Magliana Vecchia, diventa virale in pochi giorni. La viralità si traduce in un aumento di visibilità per Algero, che ingigantisce il proprio seguito e la propria copertura mediatica.

Lato utenti, Algero passa in poco più di un mese da 79mila a 205mila f0llower su Instagram. Lato media, Algero viene intervistato prima da La Zanzara, trasmissione radiofonica di Radio 24 che concederà al 1727 più di un intervento nelle settimane successive all’incidente. Poi Algero diventa protagonista anche a Le Iene. Il servizio de Le Iene, andato in onda il 23 giugno, svela uno dei particolari meno noti della storia di Algero. Se è vero che l’incidente in auto è costato al 1727 il ritiro della patente e il sequestro del mezzo, è altrettanto vero che Algero ha saputo convertire la propria popolarità in opportunità di business.

Algero Corretini oggi guadagna circa 5mila euro a settimana per promuovere prodotti legati al mondo dell’abbigliamento, della musica, delle scommesse, del gaming online e di tanti altri settori che trovano valore nel farsi sponsorizzare dal 1727. Ho dunque contattato Algero per ottenere qualche dettaglio aggiuntivo.

Innanzitutto è emerso che il 46% dei suoi follower ha tra i 18 e i 24 anni, mentre il 33% rientra nella categoria 25-34. “L’incidente ha solo consolidato un pubblico che già avevo”, afferma Algero. “Parliamo di un profilo da oltre 20 milioni di impression, con 2 follower su 3 che mi guardano le stories”.

“Devi capire che i numeri che faccio li fanno solitamente profili Instagram con milioni di follower, nella maggior parte dei casi comprati palesemente”, prosegue Algero. “Le aziende mi contattano perché sanno che ho gli occhi puntati addosso. Io muovo le acque, ho una presa sul pubblico che non ha nessuno”.

Importante a questo punto fare una precisazione. Non si sta entrando nel merito se questo fenomeno sia giusto o sbagliato. Si tratta qui di fotografare in modo chirurgico e asettico un fatto. Il fatto è che Algero Corretini garantisce al suo pubblico uno show quotidiano che poi monetizza in modo strategico.

Soprattutto sul territorio capitolino molti brand locali interessati a un’audience romana e attiva come quella di Algero hanno reputato più strategico dare un compenso e regalare prodotti al 1727 in cambio di visibilità sulle sue Instagram stories piuttosto che attivare altri canali di marketing. “Questo è proprio il mio sport – prosegue Algero – Oggi faccio selezione delle aziende per quante proposte ricevo. Questi brand non pretendono clausole di non concorrenza con altri brand dello stesso settore, né hanno richieste particolari sui contenuti da produrre”. Di fatto Algero promuove questi prodotti come vuole.

Assistiamo in prima persona a uno dei fenomeni più particolari della storia del web in Italia. Una personalità controversa sta utilizzando in modo anticonvenzionale i principi basilari dell’influencer marketing per generare introiti da top manager.

Algero Corretini non sta violando i sistemi informatici di un alcun sito web. Eppure ci sono tutti i presupposti per classificare il 1727 come un hacker, che sta scardinando le regole precostituite del web per sete di gloria, e di successo economico. Che ci piaccia o no, Algero ha deciso di salire sul palco e noi abbiamo accettato di guardare.

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Silvia Romano si è convertita? Non ci riguarda. Piuttosto basta con gli odiatori anonimi in rete!

Silvia Romano si è convertita. Noi non possiamo sapere quanto le circostanze della prigionia abbiano influenzato la decisione: scelta libera? Sindrome di Stoccolma? Non solo è assurdo esprimere giudizi senza sapere nulla, ma è anche profondamente ingiusto: è una scelta che riguarda lei, che lei ha valutato e magari cambierà o manterrà. Personalissima.

Non sappiamo, ma una selva di vigliacchi pensa di sapere, e la insulta, mostrando tre caratteristiche; essere incapaci di prendersi un momento di riflessione prima di giudicare; essere incapaci di rendersi conto che non spetta a nessuno giudicare le scelte di chiesto tipo; essere incapaci di gioire per la liberazione di una connazionale, avvelenati da un odio assoluto per tutto ciò che non rientra nel loro modo di vivere vedere il mondo. Passa subito in second’ordine che la ragazza sia una cooperante che si da fare per migliorare il mondo.

Forse sarebbe l’ora di ridiscutere questo diritto all’anonimato in rete. Chi insulta lo faccia a viso aperto, con nome e cognome. Quando una cretina insultò pesantemente Laura Boldrini, fu individuata. Queste persone che amano mettere alla gogna, si facciano vedere, corrano il rischio di essere contestati, di discutere in tribunale richieste di danni per diffamazione, se non peggio.

Ogni volta che leggiamo un articolo o cerchiamo un’auto siamo profilati, come si dice, sanno chi siamo e non possiamo più aprire un sito senza essere inondati di pubblicità mirate: sanno chi siamo, cosa ci piace, quanti soldi abbiamo, orientamento politico e sessuale, vizi e virtù. La legge sulla privacy è una foglia di fico che non copre nulla ma produce burocrazia a iosa.

L’anomimo hater, che insulta nascosto da uno schermo, è la versione in rete di quel vigliacco egoista che mette nella cassetta dell’infermiera una lettera anonima che la accusa di portare il virus nello stabile. Quando avrà bisogno di un’infermiera, capita a tutti noi, ci ripensi.

La donna ha reso pubblica la cosa. Immagino che quando incontra per le strade i condomini si chieda chi è il vile.

Hater, colui che odia, chiamiamoli odiante e l’inglese non lo nasconda: una brutta persona. In Anatomia della distruttività umana, Eric Fromm analizza come l’incapacità di amare si traduca in una smania di potere distruttivo sugli altri. Il bullismo cibernetico fa molto male, talvolta perfino uccide; l’istigazione al suicidio è un reato penale e va punita.

La domanda è: perché non ti firmi? Non siamo in Cina o in Russia. Di cosa hai paura, odiante?

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Guardian, “non accettiamo più pubblicità dalle compagnie petrolifere. La sfida al riscaldamento globale è più importante”

Una decisione inedita per un grande giornale e che entra in vigore da subito: il Guardian, quotidiano britannico progressista, ha deciso che non accetterà più la pubblicità dalle compagnie petrolifere e del gas. “Servirà a contrastare gli sforzi fatti per decenni da molti attori in questo settore per impedire ai governi di tutto il mondo di intraprendere azioni significative sul clima”, precisano in una nota il direttore generale Anna Bateson, e il suo revenue manager Hamisch Nicklin, ripetendo più volte che la risposta al riscaldamento globale rappresenta “la sfida più importante dei nostri tempi”. Una scelta che trova la totale approvazione della giovane attivista svedese Greta Thunberg che sulla sua pagina Twitter ha augurato “un buon inizio, chi andrà oltre?”.

Mai nessuno quotidiano prima aveva fatto una scelta simile. Le conseguenze, tuttavia, non saranno tutte positive: la strategia scelta di rifiutare il denaro pubblicitario delle aziende produttrici di combustibili fossili arriva in un momento difficile per l’industria dei media e anche per il giornale. La pubblicità rappresenta il 40% delle entrate del Guardian Media Group: questo vuol dire che “i finanziamenti saranno incerti nei prossimi anni – spiegano Bateson e Nicklin -. È vero che rifiutare alcune pubblicità potrebbe rendere le nostre vite un po’ più difficili a breve termine, ma pensiamo che la costruzione di un’organizzazione in difesa del clima e il mantenimento della sostenibilità finanziaria debbano andare di pari passo”. Il Guardian ora spera di attirare l’attenzione di alcuni investitori “green”: “Riteniamo che molti marchi saranno d’accordo con la nostra scelta e magari sceglieranno di lavorare con noi. Il futuro della pubblicità sta nel costruire la fiducia con i consumatori e nel dimostrare un reale impegno nei confronti dei valori e degli obiettivi “.

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Che aria tira qui in Emilia-Romagna

Mancano poche ore alle regionali in Emilia-Romagna: giusto in tempo per fare un bilancio di questa campagna elettorale e dare qualche ragguaglio sull’atmosfera che si vive da queste parti. Su ciò che si sente girando per strada, prendendo l’autobus, facendo la fila al supermercato, ascoltando le chiacchiere nei locali pubblici, da quelli più chic dell’aperitivo in centro, ai bar di periferia. Vado per punti.

(1) La paura di perdere. A differenza che in passato, stavolta chi vota per il centrosinistra in questa regione non è affatto sicuro di vincere. C’è tensione in giro, c’è timore, a volte persino paura. Tutti hanno un’amica, un conoscente, una parente che per anni o decenni ha votato convintissima o convintissimo a sinistra, ma “l’ultima volta non ha proprio votato”, “stavolta lascerà scheda bianca”, o addirittura “voterà dall’altra parte”. Per non parlare di quelli che “io per carità voto Bonaccini, cos’altro potrei fare”, ma poi all’ultimo chissà. Non c’è conversazione in cui io non abbia sentito dubbi, scontento, delusione da parte di chi ha sempre votato a sinistra, centrosinistra, quel che è. Non c’è scambio in cui io non abbia percepito il sospetto verso qualcuno che “chissà cosa farà”. Non ci si fida più di nessuno, fra gli elettori e le elettrici del centrosinistra, nemmeno di se stessi.

(2) La distanza dal dolore. Nonostante le mille dichiarazioni e rassicurazioni – a parole – sulla presunta vicinanza di Stefano Bonaccini al popolo, alle periferie, ai poveracci insomma, che la sinistra di principio dovrebbe difendere, l’impressione generale è che un contatto diretto, autentico, capillare fra il candidato e le persone in carne e ossa sia ancora una volta mancato. Lo dico meglio. Più che distanza dal popolo, c’è ancora troppa distanza fra il ceto politico che Bonaccini rappresenta e gli aspetti più dolorosi e negativi della vita delle persone meno abbienti, degli imprenditori che la crisi ha massacrato, degli anziani che soffrono, dei giovani che se ne vanno. L’impressione è che questa distanza non tocchi quelli che sono soddisfatti della loro situazione, e perciò stringono volentieri la mano a Bonaccini. Ma è una distanza incolmabile rispetto alle persone che per qualche ragione soffrono: per malattia (vedi problemi della sanità), per vecchiaia (vedi welfare), perché non ce la fanno a seguire i bimbi piccoli (vedi ancora welfare), per povertà (vedi precari, migranti, imprenditori in crisi). È una distanza che – ovviamente – non riguarda solo l’Emilia-Romagna, ma tutta Italia, molti paesi in Europa, gli Stati Uniti. Insomma, in questo momento le destre riescono a superare questa distanza molto più delle sinistre in molti paesi del mondo. È un fatto. E l’Emilia-Romagna non fa eccezione.

(3) La comunicazione. Dal punto di vista puramente comunicativo, Bonaccini era partito in grande vantaggio: aveva molta più esperienza dell’avversaria, non solo politico-amministrativa, ma comunicativa, appunto. Ma Lucia Borgonzoni, che pur ha disseminato di gaffe e svarioni tutta la sua campagna elettorale, nei mesi è migliorata. Al punto che, nell’ultimo faccia a faccia organizzato dal Resto del Carlino, i due candidati sono apparsi in perfetto equilibrio comunicativo. Fair play, capacità di stare nei tempi, linguaggio appropriato, abbigliamento adeguato per entrambi. 1 a 1 insomma, in un confronto che non ha spostato nulla: chi era già per Bonaccini continuerà a esserlo, chi pensava di votare Borgonzoni non ha certo cambiato idea, chi era incerto/a ci rimane.

(4) Le Sardine. Il movimento delle Sardine ha scaldato i cuori degli elettori e delle elettrici di centrosinistra. È innegabile. Puntualmente le Sardine sono nominate in tutte le conversazioni dei/delle simpatizzanti di sinistra. Hanno tutti ben presente, però, la distanza che le Sardine esprimono rispetto ai partiti, la loro fermezza nel non volersi identificare con nessun partito. Non c’è apparizione sui media in cui i portavoce del movimento non ribadiscano la loro lontananza dalla politica, il loro non volersi mischiare. Una distanza che conferma e rinforza quella di cui dicevo al punto (2). E poi, quanti di coloro che sono scesi in piazza come Sardine – decine di migliaia – di fatto poi voteranno Bonaccini? Anche di fronte a questa domanda, le reazioni sono sempre dubbio, timore, sgomento. Molti voteranno a sinistra, certo. Ma quanti si asterranno o voteranno “dall’altra parte”?

(5) La ribalta nazionale. Le regionali dell’Emilia-Romagna sono state (e sono) strumentalizzate in chiave nazionale, lo sappiamo. “Se in Emilia vince la Lega, allora il governo deve andare a casa”, “Se in Emilia la Lega perde, allora il governo si rinforza” sono frasi sulla bocca di tutti. Dal più piccolo paesino dell’Emilia e della Romagna ai media nazionali. Questa strumentalizzazione non ha fatto bene ai due candidati locali, né a Bonaccini né a Borgonzoni. Non ha fatto bene a Bonaccini, perché lo associa troppo al Pd, da cui invece lui voleva smarcarsi, visto che il Pd da tempo non gode di grandi favori. Non ha fatto bene a Borgonzoni, perché tutti le rimproverano di stare all’ombra di Salvini, di avergli lasciato fare campagna al posto suo.

(6) L’imprevedibilità del risultato. Per tutti questi motivi (e molti altri), il risultato delle elezioni di domenica 26 gennaio è davvero imprevedibile. Molto più che in passate competizioni elettorali. I sondaggi di opinione, poi, sono ancora più aleatori e fallibili di quanto lo siano stati in passato, che già avevano dimostrato di sbagliare parecchio (vedi le politiche del 2013, in cui il boom dei Cinque Stelle fu nettamente sottostimato). La decisione di voto (o non voto) di moltissime persone sarà presa all’ultimo momento, la domenica stessa, un attimo prima di mettere (o non mettere) la X sulla scheda. La tentazione di mentire, confondere le acque, provocare amici e parenti con la propria dichiarazione di voto è ancora più alta in queste elezioni che in passato. Che si sia arrivati a questo punto, in una regione che, nonostante tutto, è ancora all’avanguardia nazionale (e spesso anche europea) per benessere, cultura, salute, civiltà, dovrà essere un punto di serissima riflessione, anzi il punto principale da cui partire, per chiunque vincerà.

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Rai, tentata truffa ai danni del presidente Foa: falso Tria chiede soldi all’azienda per mail

Una truffa ai danni della Rai e del presidente del Consiglio di amministrazione, Marcello Foa. È questa la ricostruzione fornita dall’Adnkronos riguardo a una mail ricevuta dal giornalista prima dell’estate a nome di un finto Giovanni Tria, allora ministro dell’Economia del governo gialloverde. Nel messaggio recapitato all’indirizzo di posta elettronica di Foa, il falso titolare del dicastero chiedeva fondi per sviluppare un progetto all’estero, lasciando anche gli estremi di un conto corrente sul quale sarebbero dovuti finire i soldi.

Foa ha così messo al corrente della vicenda l’amministratore delegato Fabrizio Salini che ha fatto svolgere dei controlli. È solo a quel punto che si è deciso di non procedere con il pagamento e di segnalare la vicenda alle forze dell’ordine, con Foa che sarebbe già stato sentito dagli inquirenti. Una versione, però, che necessita di conferme, viste le parole del segretario della commissione di Vigilanza Rai, Michele Anzaldi (Italia Viva), dopo la rivelazione dell’Adnkronos: “Da quello che leggo e da quello che ho saputo ora da alcune telefonate – ha spiegato -, la situazione mi pare assai più grave. Il presidente della Rai Marcello Foa, una volta ricevuta l’e-mail, si è spinto molto avanti, proponendo all’ad Salini di siglare il contratto proposto dal finto Tria e sborsare del denaro”. Non una semplice verifica quindi, dice Anzaldi, ma un tentativo di Foa di portare avanti la questione.

“La cosa appare gravissima dal punto di vista sia amministrativo che legale perché – continua Anzaldi – non è chiaro per quale ragione un presidente del consiglio di amministrazione della Rai abbia intrattenuto rapporti di questo tipo con il governo, per quale ragione un contratto del genere venga preso in esame da un presidente della Rai senza fare un bando. Che una cosa del genere sia stata proposta poi all’ad Rai senza prima fare una semplice telefonata al ministero dell’Economia o un’istruttoria, che avrebbe fatto un’azienda anche di piccole dimensioni, è davvero grave”.

Anche Vittorio Di Trapani, segretario dell’Usigrai, ha dichiarato che “ci sarebbe da ridere, se la cosa non fosse inquietante. Se confermata, la notizia sulla tentata truffa ai danni della Rai apre scenari sui quali bisogna fare chiarezza con urgenza e massima trasparenza. Cosa c’era scritto nella mail ricevuta dal Presidente della Rai Marcello Foa da parte del finto ministro Tria? E perché Foa avrebbe abboccato? Tutti noi riceviamo decine di mail truffa. Alla guida della Rai c’è una persona talmente sprovveduta da cascarci così, mettendo a rischio l’azienda di Servizio Pubblico? O nella mail c’è scritto qualcosa che ha fatto ipotizzare a Foa che fosse vera? E, nel caso, che cosa? Serve chiarezza perché in ballo c’è l’azienda di Servizio Pubblico, che ha un ruolo strategico dal punto di vista della sicurezza e la credibilità di chi siede sulla poltrona di Presidente”.

Una vicenda, quella di Foa, che si ricollega ad altri due episodi: quello che ha coinvolto il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, e, secondo quanto rivelato da Repubblica, altri vertici aziendali, anch’essi oggetto di attacchi informatici prontamente denunciati alle autorità competenti. Non è chiaro se gli episodi siano collegati.

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Elezioni Regno Unito, hanno vinto le balle: essere bene informati ormai non conta più

Hanno vinto le balle: inutile segnalarle, confrontarle con i fatti, indicarne le contraddizioni, esporre la realtà. Fatica inutile. Neppure l’articolo 656 del Codice penale italiano, che punisce il reato di “pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico”, di cui ha scritto sul Fatto Quotidiano Giovanni Valentini, potrebbe rivelarsi utile.

Il punto è che il diritto di essere informati correttamente pare non interessare agli elettori italiani, né agli americani né ai britannici, come dimostrato ieri con chiarezza indiscutibile dai risultati delle elezioni nel Regno Unito.

Un elettore deluso, preoccupato, impoverito, disperato cerca un colpevole, un capro espiatorio e la strada più veloce per recuperare le posizioni perdute. Non trovandola nella realtà, che è complicata e non è rosea, comincia a sognare e a cercarla altrove, anche nelle fantasie, se trova qualcuno abbastanza cinico da inventarsene di semplici e risolutive, spacciate per uovo di Colombo e ripetute ovunque in campagne elettorali permanenti.

Ha scritto William Davies sul Guardian che nel Regno Unito si sta assistendo ad una specie di “berlusconificazione” della vita pubblica, dove le distinzioni fra politica, media e affari hanno perso ogni credibilità a favore della nascita di un unico centro di potere in cui i protagonisti si spostano disinvoltamente da un campo all’altro, interpretando ruoli diversi, un giorno politici, un altro giornalisti, il tutto a scapito dell’indipendenza e della competenza. È sempre utile, ma non più indispensabile, possedere e controllare giornali, riviste, reti tv: il nuovo ecosistema dell’informazione, grazie a Facebook e Twitter, ha dato origine ad un nuovo tipo di figura pubblica che non appartiene a nessuna delle vecchie categorie ma che, per conquistarsi il consenso, può essere contemporaneamente un attore, un intrattenitore, un politico e un giornalista.

Vince chi mente nel modo più convincente, chi non si vergogna di ingannare il prossimo e, se contestato, rilancia con la “faccia di tolla” più seducente, dichiarando di volere quello che il popolo vuole, un popolo ormai acritico e riplasmato da chi sostiene di essere dalla sua parte.

A questo punto si può ancora considerare un paradosso la domanda di Brecht nella poesia scritta dopo la rivolta del 17 giugno 1953 in Germania Est? Il segretario dell’Unione degli scrittori aveva fatto distribuire dei volantini spiegando che il popolo aveva perso la fiducia del governo e avrebbe potuto riconquistarsela solo lavorando ancora più duramente. “In quel caso non sarebbe stato più semplice per il governo sciogliere il popolo ed eleggerne un altro?” chiedeva Brecht. Ecco: ormai ci siamo arrivati.

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Violenza sulle donne, la Rai non rimanda in onda ‘Processo per stupro’. Per fortuna c’è la Rete

Processo per stupro aveva mostrato 40 anni fa (e nel corso del tempo ha continuato a fornire la prova visiva e il supporto politico per una maggiore consapevolezza rispetto ai temi della violenza sessuale) che la legge in Italia non è uguale per tutti. Allora fu una sorpresa molto inquietante perché fu chiaro agli occhi del paese che le donne, nei processi per stupro, da vittime diventano imputate di un crimine che avevano subìto, un crimine gravissimo. Quando ci si è accorte di ciò il dibattito sulla legge in particolare, e in generale sulla cultura italiana, è lievitato. Processo per stupro è stato questo: un lievito culturale e politico”.

Sono le parole di Loredana Rotondo, una delle sei autrici registe (Rony Daopulo, Paola De Martiis, Annabella Miscuglio, Anna Carini, Maria Grazia Belmonti) del celebre documentario prodotto dalla Rai e andato in onda il 26 aprile 1979.

Quest’anno, a novembre, in occasione anche della ricorrenza della giornata internazionale sulla violenza contro le donne, il giornalista Gian Antonio Stella ha scritto un articolo sul Corriere della Sera, nel quale oltre a ricordare l’importanza di quel documentario, conservato anche al MoMa di New York, il collega si domanda perché la Rai non lo riproponga nelle sue reti. Di fronte al diniego ad arte della Rai di trasmettere il documentario, Stella avanza la risposta: ”A quanto pare gli avvocati ancora vivi e perfino i parenti degli avvocati defunti protagonisti di quel processo, imbarazzatissimi sia pure con decenni di ritardo per certi interrogatori di pruriginosa invadenza, certe allusioni voyeuriste, certe arringhe beceramente machiste, hanno preteso l’oblio su quello sfoggio di spiritosaggini da bordello scagliate contro la vittima e a favore dei violentatori, poi condannati a pene leggere e con la condizionale”.

Fin contro questo che si configura come un gravissimo episodio di censura si è levata la voce, in sede Rai, di Michele Anzaldi, segretario della Commissione di Vigilanza, che ha scritto sui social: “Dopo la diffusione dell’agghiacciante sondaggio dell’Istat, secondo cui una persona ogni quattro pensa che le donne possano provocare violenza sessuale con il loro modo di vestire e addirittura il 39,3% ritiene che una donna sia in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo voglia, sarebbe ancora più doveroso, se non un obbligo morale, fare vedere Processo per stupro“.

Loredana Rotondo, che nel 1981 fu persino incriminata per un secondo documentario – questa volta sulla prostituzione, AAA Offresi, prodotto dalla Rai che fece scandalo, purtroppo mai trasmesso e che si teme sia irrintracciabile – non usa mezzi termini: “Io penso che la risposta della Rai sull’impossibilità di riproporre Processo per stupro significhi tutelare interessi di parte e politicamente convergenti con una deriva molto pericolosa, che tra l’altro contrasta con lo spirito dell’articolo 3 della Costituzione. Questo è grave. Aggiungerei che se la Rai oggi non è più all’altezza della sua funzione pubblica (il privato è pubblico) e della sua storia (Processo per stupro è stato esibito nel 2004 da Pippo Baudo nella trasmissione celebrativa del cinquantenario della Tv) chi vuole può vederlo su YouTube. Spero in un pubblico di giovani, come auspicato da Gian Antonio Stella, a cui oggi viene negata dalla tv pubblica questa possibilità”.

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