“Estrema amarezza, un fatto gravissimo”. Con queste parole Luchino Chessa, figlio del comandante del Moby Prince, Ugo, e presidente dell’associazione dei familiari delle vittime “10 aprile,” commenta la decisione dello scorso 2 novembre del tribunale civile di Firenze che ha negato il risarcimento dello Stato ai familiari dei 140 che la notte del 10 aprile 1991 persero la vita a bordo del traghetto, in seguito alla collisione con la petroliera Agip Abruzzo nella rada del porto di Livorno. Prescrizione, questo si legge nel provvedimento del giudice che non ha tenuto conto di quanto emerso dalla commissione d’inchiesta parlamentare del Senato, che per due anni ha lavorato per fare luce sulla strage del Moby Prince. Per il giudice della corte fiorentina infatti le conclusioni dell’organo parlamentare sono da ritenersi “un atto politico che non supera quanto è stato già accertato a livello penale”.

Secondo Chessa però “le risultanze della commissione parlamentare d’inchiesta sono state veramente importanti per quanto riguarda la storia del Moby Prince, perché ribaltano completamente le verità processuali“. E continua: “Questo significa vanificare tutte le commissioni parlamentari d’inchiesta. Pensiamo alla commissione Moro, alla commissione Alpi, Ustica. Ce ne sono tante, allora non ha più senso nulla. È davvero molto grave quello che è stato detto e scritto”. Gli fa eco Loris Rispoli, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime “140” e fratello di Liana Rispoli, morta a bordo del traghetto: “Tutte le cose che abbiamo detto e che non sono uscite dal tribunale di Livorno sono state verificate dalla commissione d’inchiesta. Che ci siano responsabilità lo dimostra anche un altro atto trovato dalla commissione e non dalla magistratura del primo processo – sottolinea Rispoli – un documento assicurativo firmato due mesi dopo la tragedia, in cui Navarma e Snam si lavavano le mani l’una con l’altra. Una tragedia come questa, una strage, non può andare in prescrizione perché oggi sappiamo grazie al lavoro della commissione che ci sono delle responsabilità”.

L’appello dei familiari per non far calare il silenzio su quella che resta la più grave strage della marineria italiana in tempo di pace è stato recepito dal Comune di Livorno all’unanimità grazie all’iniziativa di Aurora Trotta, consigliera di Potere al Popolo, la più giovane tra gli eletti: “La trasversalità che si è dimostrata tramite questa comunicazione è stata chiara e questo è stato un segnale importante e deciso che ha anche mobilitato alcuni rappresentanti del Parlamento” spiega Trotta che propone anche la creazione di una commissione specifica consiliare a Livorno “che potrebbe essere un piccolo contributo dal basso a quella già chiesta”.

I deputati del Partito Democratico, Andrea Romano e Andrea Frailis, hanno infatti presentato una proposta di legge per l’istituzione di una nuova commissione d’inchiesta, questa volta bicamerale: “Non può passare l’idea che nessuno sia colpevole e soprattutto che i familiari delle vittime non possano avere alcuna forma di risarcimento, né che l’opinione pubblica non possa avere alcuna forma di verità”. E per quanto riguarda la sentenza del tribunale di Firenze afferma: “Io trovo molto discutibile l’affermazione secondo cui le conclusioni della prima commissione parlamentare d’inchiesta sono di carattere politico. Il Parlamento, lo sappiamo, con le commissioni d’inchiesta assume poteri analoghi a quelli della magistratura in molti casi e in ogni caso il Parlamento italiano rappresenta la nazione italiana. È necessario avere maggiore rispetto da parte di chiunque, magistratura compresa, nei confronti di tutto il lavoro della commissione”.

L’articolo Moby Prince, la missione di familiari e partiti: “L’opinione pubblica deve avere una verità. Ora serve una seconda commissione d’inchiesta” proviene da Il Fatto Quotidiano.

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