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Quando la lotta per la parità di genere passa anche per la clitoride

Parigi, 8 marzo, Giornata Internazionale della Donna, un clitoride gonfiabile alto 5 metri viene issato proprio di fronte alla Torre Eiffel. La domanda potrebbe sorgere spontanea: perché? Si tratta di un’azione simbolica organizzata dal gruppo “Gang du Clito” come forma di denuncia rispetto alla disparità di trattamento con il pene in termini di ritardo nella ricerca scientifica e medica, ma soprattutto una denuncia perché i genitali femminili sono sconosciuti persino alle donne stesse.

La fondatrice del gruppo, Julia Pietri, ha spiegato: “L’8 marzo, giornata internazionale dei diritti della donna, abbiamo voluto celebrare il clitoride sulla piazza davanti al Trocadero, un luogo simbolico perché è la piazza dei diritti umani, davanti al fallo più famoso di Parigi che è la Torre Eiffel” e prosegue “un quarto delle ragazze non sa di avere un clitoride e l’82% non sa nemmeno che è un organo erettile ed erogeno. È grave oggi non poter conoscere il proprio corpo, quando sappiamo che l’educazione sessuale è la base per poter parlare di consenso, perché se non hai niente tra le gambe, se dici di non avere niente tra le gambe, non hai niente da proteggere perché non esiste niente”.

Ma la lotta alla consapevolezza non è un fenomeno ristretto: il The Guardian ha proposto ai propri lettori di ascoltare un podcast dal titolo: “L’insabbiamento della clitoride: perché ne sappiamo così poco?”. E ancora, il sito tedesco di news Deutsche Welle ha pubblicato un video, in lingua inglese, chiamato “Sulla clitoride, quanto è grande”. Inoltre, di recente è stata creata una serie di podcast sul sito “France Culture”, che propone quattro episodi che vanno da “L’archeologia del clitoride” ad un focus sull’importanza del clitoride nel piacere femminile.

Si parla di “Get cliterate”, alfabetizzatevi sulla clitoride, uno slogan molto diffuso nel mondo anglosassone e titolo di una conferenza Ted Talk tenuta da Helen O’Connell, l’urologa australiana che ha diffuso preziosi contributi scientifici rispetto all’anatomia della clitoride. O’Connel ritiene che sia il momento di passare da un concetto clinico e scientifico ad una diffusa conoscenza culturale, per gli uomini e per le donne. “Ci avviamo a un’era clitoris-positive” afferma Helen O’Connell.

Ma cos’è la clitoride? Nella donna, come nell’uomo, esistono organi erettili: la clitoride, omologa al pene maschile, e i bulbi del vestibolo, omologhi al corpo cavernoso dell’uretra maschile cioè al tessuto spugnoso che circonda l’uretra del pene. La clitoride si trova sulla parte anteriore della vulva, esattamente dove si uniscono le piccole labbra. È l’organo erettile più sensibile della vulva, è formata dalle radici, dal corpo e dal glande, questi ultimi sono ricoperti dal prepuzio. Conoscere la clitoride e l’intera anatomia genitale femminile permette di sperimentare una sessualità più soddisfacente e consapevole.

Inoltre, sapere come sia fatta una clitoride smonta una serie di luoghi comuni che hanno represso la sessualità femminile per secoli: tutte le donne e giovani donne potranno pensarsi già all’inizio della vita sessuale come soggetti sessuali pienamente attivi. L’obiettivo è una sessualità femminile libera dal concetto di penetrazione vaginale come unica fonte di piacere e rispettosa dell’intera anatomia del corpo della donna. Anche questo è un diritto, anche questo è cammino verso la parità.

Ringrazio per la collaborazione la dr.ssa Francesca Vannucchi.

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Giornata contro la violenza sulle donne, anche la Polizia ha fatto grandi passi avanti

Il 25 novembre si celebra la Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne, una ricorrenza fondamentale per il progresso della nostra società. Sono stati fatti grandi passi avanti sul terreno dell’uguaglianza, ma continuano a esistere ahimè situazioni inaccettabili di violenza, sottomissione, disparità e discriminazione, anche sul luogo di lavoro. Certo le Forze Armate e le polizie non si possono ritenere esenti da questo genere di problemi. Ricordo bene il racconto di una mia amica che nei primi anni Ottanta, in una Polizia di Stato già smilitarizzata, era costretta incinta col pancione a fare le guardie al porto di Venezia.

Se oggi una barbarie del genere appare del tutto impensabile, questo è solo merito dei sindacati di polizia. Anche dopo la legge di riforma del 1981, non fu affatto semplice scardinare i retaggi di quella cultura maschilista imperante nel Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza. Le istanze di pari opportunità e di tutela della maternità delle donne in divisa hanno trovato ascolto con troppo ritardo e solo grazie alla tenacia delle poliziotte sindacaliste. Penso, per esempio, alle battaglie fatte dal Coordinamento donne del Siulp.

Negli anni Settanta, molte donne si erano ritagliate anche un ruolo attivo nel movimento per la riforma della Polizia. Nonostante il timore di ritorsioni e rappresaglie, fecero sentire forte la loro voce. Allora facevano parte di un corpo separato – il Corpo della Polizia femminile fu istituito il 7 dicembre del 1959 – che si occupava solo di reati dei minori e di prostituzione, con compiti da “assistenti sociali” malgrado titoli e preparazione specifica. “È ora che ci riconoscano per quello che siamo: funzionari di Pubblica sicurezza e non assistenti sociali“: le loro rivendicazioni finiscono su Panorama nella primavera del 1975.

Michele Di Giorgio, nel saggio Per una polizia nuova (Viella, 2019), riporta la missiva sofferta e ispirata che un’assistente della polizia femminile spedì al senatore Sergio Flamigni, convinto sostenitore della sindacalizzazione. Era la fine degli anni Settanta, la legge sulla smilitarizzazione tardava ad arrivare, la repressione da parte dei vertici era sempre dietro l’angolo e tra i “poliziotti democratici” cominciava a diffondersi un certo scoramento.

“Ho sempre tante cose da dire e problemi da porre – scriveva la poliziotta il 23 luglio del 1979 – d’altra parte cerco di portare un contributo d’informazione e di conseguente chiarezza, certa come sono che solo svelando meccanismi e marchingegni possiamo sventare e vanificare manovre e giochi anti-riforma, anti-progresso, anti-Paese. La situazione comunque permane grave. Ci siamo visti da poco, eppure in questo breve arco di tempo, ancora lutti, ancora dolori! L’assassinio di Giuliano, come l’omicidio di Ambrosoli ci ricordano che se lasceremo ancora gli onesti soli, isolati e identificabili, ne faremo dei facili bersagli. Credo che l’Italia abbia soprattutto ‘fame di onestà’; non resta che continuare la lotta”.

Ebbene oggi percepisco quella stessa passione nelle donne che si sono avvicinate ai nuovi sindacati militari, in un clima politico per nulla favorevole e con resistenze conservatrici molto forti. Le ragazze delle Forze armate chiedono di poter conciliare appieno l’attività lavorativa col diritto alla maternità. È vero che nei corpi militari il personale femminile è presente da vent’anni, ma persistono senza dubbio incrostazioni maschilistiche che devono essere finalmente rimosse.

Monica Giorgi, presidente del Nsc (Nuovo Sindacato Carabinieri), ne è convinta e ripone, come me, grande fiducia nel ruolo delle organizzazioni sindacali per le pari opportunità e per i diritti delle madri lavoratrici. In un webinar organizzato il 20 novembre scorso dalla senatrice Bruna Piarulli – che ha di recente presentato un buon disegno di legge sulla libertà sindacale dei militari – ha sottolineato come i vecchi organi di rappresentanza non abbiano mai dato molto spazio alle donne, mentre i sindacati hanno invece compreso che “laddove si deve scegliere e decidere per il futuro di tutti non è pensabile che non vi siano donne”. Come darle torto?

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