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Su San Marino l’altolà dell’Europa: “Basta colpi di mano sulla magistratura”. La lettera (nascosta) per continuare il repulisti

L’Europa avverte San Marino: “Basta colpi di mano sulla giustizia”. Dopo le epurazioni di questa estate, da Strasburgo è arriva una diffida al governo del Titano dove i giudici denunciano una sistematica aggressione della politica alla loro autonomia, con tanto di epurazioni mirate. È una lettera del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa che esprime “preoccupazione” e chiede alle autorità sammarinesi di “astenersi ad azioni che possano interferire con iniziative della magistratura”. L’esecutivo però l’ha ignorata e tenuta nascosta per giorni, con l’intenzione di completare il “repulisti” cacciando anche i giudici d’appello che la maggioranza non ritiene allineati alla propria linea. E siccome a San Marino un terzo grado non c’è, eventuali assoluzioni passerebbero in giudicato. Una forma surrettizia d’indulto, un corridoio perfetto per l’impunità.

Da mesi i magistrati della piccola Repubblica ai piedi del monte Titano denunciano gli effetti nefasti di un “golpe” travestito da riforma del sistema giudiziario (qui l’antefatto della vicenda) che ha innescato una furibonda girandola d’incarichi e fascicoli all’interno dell’unico Tribunale della Città-Stato, a scapito dei magistrati in prima linea in inchieste e nei processi che vedono imputati e indagati per corruzione e riciclaggio ex ministri e capi di Stato. Ci sono poi indagini e processi aperti a carico di politici tutt’ora seduti nei banchi della maggioranza del Consiglio Grande e Generale, il Parlamento di San Marino.

Nove dei quindici giudici del Tribunale si sono messi di traverso. Ignorati su suolo sammarinese, hanno scritto tre lettere al Consiglio d’Europa e il 19 agosto anche al Commissario europeo per i diritti umani. Un primo, blando, warning era arrivato dal Segretario generale, ma la successiva risposta del Commissario è un chiaro “altolà”. Dunja Mijatović non scrive ai giudici ma direttamente al segretario di Stato. I toni della lettera sono durissimi, l’oggetto un chiaro monito: “Richiamo alle autorità sammarinesi ad astenersi ad azioni che possano interferire con iniziative della magistratura”.

Nella lettera esprime “preoccupazione” e trancia una dietro l’altra le travi cui la politica sammarinese appende i suoi giudici: leggi retroattive, composizione e votazione dell’organo di autogoverno della magistratura con maggioranza politica, interferenza del potere esecutivo e legislativo su procedimenti penali in corso, incarichi e fascicoli sottratti ai giudici senza validi motivi. In un passaggio, Mijatović cita il Gruppo di Stati contro la corruzione (Greco) e ricorda che gli ispettori dovrebbero chiudere a breve (il 21 settembre, ndr) il nuovo rapporto di valutazione su San Marino. E’ proprio qui che arriva il monito ad astenersi, “in attesa dell’adozione e della pubblicazione di tale rapporto e prima che eventuali raccomandazioni in esso contenute siano adeguatamente attuate”.

Coi giudici sotto schiaffo della politica, la valutazione positiva del Greco non è scontata. La posta in gioco è alta. Dal Consiglio Europeo dipendono poi altre autorità di controllo internazionale come il comitato di esperti antiriciclaggio Moneyval, lo stesso che in anni non lontani aveva messo San Marino sotto procedura rafforzata, provocando il crollo dei rapporti e degli accordi economici con gli altri stati. Nubi sulla Repubblica del Titano che vuole entrare nell’Unione Europea, che cerca di collocare il proprio debito sul mercato internazionale delle banche, che chiede prestiti (anche all’Italia) per rimpinguare le casse. Difficile accreditarsi come Paese “pienamente recuperato alla legalità”, se mette il bavaglio ai giudici e smonta il tribunale, minando così ogni garanzia circa lo stato di diritto.

Ma ci sono gli altri interessi in gioco, quelli della politica. Il governo non rende nota la lettera da Strasburgo dell’8 settembre. L’opinione pubblica ne scopre l’esistenza solo il 14, quando viene pubblicata sul sito della Commissione Europea. Perché? Perché l’indomani e per due giorni, il 9 e il 10 settembre, è stato convocato nuovamente il Consiglio giudiziario plenario, il Csm sammarinese composto da politici e giudici dove doveva compiersi la “vendetta” finale dei primi sui secondi.

L’obiettivo– racconta un giudice sotto tiro – era “finire il repulisti”. “I politici vogliono far saltare non solo le indagini ma anche i due processi più clamorosi nella storia di San Marino”. Il processo Mazzini che è la “Tangentopoli sammarinese” e vede già condannati in primo grado ex esponenti dei partiti dell’attuale maggioranza e della vecchia classe dirigente di cui resta espressione. “Vogliono semplicemente che salti o vada in prescrizione”. L’altro riguarda la finanza, il giro losco delle banche sorte come funghi quando San Marino riciclava denaro, liquidate negli anni dagli azionisti e dai cda che oggi sono sotto processo. “Se cambia il giudice incaricato dell’appello con uno più “gradito”, il colpo di spugna è più facile”. E sarebbe anche definitivo, perché sotto il monte Titano non c’è Cassazione.

Fonti interne al Tribunale spiegano che l’epurazione n.2 non è andata in porto, almeno finora. Un esponente politico della maggioranza si è messo di traverso e la lettera d’avvertimento dall’Europa qualche effetto lo ha avuto. Lo rivelano i toni conciliatori che il Segretario di Stato Luca Beccari ha usato nella risposta al Consiglio d’Europa. “Non è intenzione del governo in questa fase promuovere ulteriori iniziative legislative individuali nel campo della giustizia (…)”. La lettera fa riferimento anche all’attività “intensa” della magistratura che per questo “ha portato alla luce alcune vulnerabilità e problematiche che interessano il sistema giudiziario, conducendo inevitabilmente a visioni differenti sulla corretta applicazione delle sue regole”. E per queste “visioni differenti”, sostiene, “sono sorte in seno al tribunale una serie di conflitti interni, che hanno inevitabilmente coinvolto anche la politica”. Se non è una mezza ammissione, poco ci manca.

Difende poi l’interpretazione retroattiva della norma che, ridefinendo i criteri di composizione del Csm sammarinese, ha provocato l’annullamento delle delibere assunte dal Consiglio giudiziario nella composizione precedente, con effetto-domino sull’assegnazione di fascicoli e incarichi. Menziona anche un parere pro-veritate vergato dal costituzionalista Antonio Baldassare, omettendo un passaggio importante nel quale esclude che le delibere possano essere annullate tutte “ex lege”, come si era tentato di fare segretamente e a dispetto dello stesso autorevole parere. Perché il Commissario ha chiesto il contrario: “criteri oggettivi nell’assegnazione delle cause ai singoli giudici” e che “nessun caso venga sottratto a un giudice senza validi motivi”. La resa dei conti è solo rinviata.

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Caporalato nel facchinaggio: maxi sequestro di 120 immobili a imprenditore. “Dipendenti italiani con contratto e stipendio romeno”

È accusato di frode fiscale per milioni di euro, riciclaggio e di sfruttamento del lavoro, in particolare di ‘caporalato’ nel facchinaggio. Con i dipendenti che, per ottenere il lavoro, dovevano firmare contratti rumeni per uno stipendio mensile senza contributi di 300 euro (1400 leu, la moneta di Bucarest). A un imprenditore del settore, Giancarlo Bolondi – 63 anni, di origini reggiane, residente in Svizzera e già ai domiciliari da luglio 2018 – della società Premium Net sono stati sequestrati 120 appartamenti di pregio finemente arredati, un villaggio turistico sul Lago di Garda, autorimesse e terreni in Valle d’Aosta, Piemonte, riviera ligure di levante e in Lombardia, nelle province di Milano, Brescia e Lodi. Gli immobili sono risultati a vario titolo nella disponibilità dell’imprenditore, formalmente iscritto all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero a Melide, sul lungolago di Lugano, ma di fatto domiciliato in provincia di Milano.

I sequestri sono stati decisi dalla Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano, su richiesta dei pm Bruna Albertini e Paolo Storari ed eseguiti dalla Guardia di finanza di Pavia. A Bolondi, come si legge nel provvedimento della Sezione misure di prevenzione, presieduta da Fabio Roia, è stato contestato dai magistrati di Pavia di essere stato a capo, tra il 2012 e il 2018, di un “network di consorzi e cooperative”, attraverso il quale avrebbe anche “reclutato manodopera in condizioni di sfruttamento”, approfittando dello “stato di bisogno dei lavoratori, tenuti costantemente sotto la minaccia di perdere il lavoro”. Operai che dovevano accettare condizioni diverse rispetto ai contratti collettivi nazionali su turni, ferie e gestione dei riposi.

Contratti e stipendi rumeni per dipendenti in Italia – Nelle oltre 100 pagine del decreto i giudici Rispoli-Cernuto-Pontani spiegano che all’indagine di Pavia è collegata l’amministrazione giudiziaria che venne disposta a maggio per Ceva Logistic Italia srl, ramo della multinazionale leader nel settore della logistica. Un commissariamento per “sfruttamento di manodopera”, ossia sempre per un caso di caporalato, il primo che si era concluso con una misura di questo genere da parte dell’autorità giudiziaria. Ceva, che a Stradella, nel Pavese, ha la ‘Città del libro’, una sorta di hub logistico per la distribuzione di materiale editoriale, chiariscono i giudici, era proprio “una delle clienti del ‘sistema Bolondi’” e impiegava proprio nell’hub “manodopera fornita dalla Premium Net”. Lì lavoravano 70 dipendenti italiani, tutti della zona: per ottenere il loro posto di lavoro, avevano firmato il contratto proposto da Byway Jpb Consulting srl, agenzia interinale con sede a Bucarest: lavoravano in Italia con un contratto rumeno. Erano quindi pagati in leu per un totale di 300 euro al mese, senza contributi.

Il consorzio di Bolondi, infatti, spiegano ancora i giudici, era “in grado di interfacciarsi sul mercato dell’outsourcing con i principali attori economici pubblici e privati (nel provvedimento l’elenco delle imprese clienti, ndr)”. Allo stesso tempo, almeno dal 2009 l’imprenditore avrebbe portato avanti, tra la Lombardia e il Lazio (un procedimento a suo carico anche dei magistrati di Velletri), “un sistema fraudolento di gestione delle attività economiche finalizzato ad evadere le imposte”, affiancato “da un’attività” di “occultamento della provenienza illecita dei profitti“, con ‘schermi’ societari e prestanome. Il tutto, tra cui anche proventi di “truffe ai danni del sistema previdenziale e del mancato pagamento ai dipendenti del tfr (gli operai venivano spesso licenziati e poi riassunti in altre cooperative, ndr)”, poi riciclato, secondo i giudici, “in investimenti immobiliari”. Solo nel “procedimento pavese”, si legge ancora nel decreto, si parla di imposte evase per “14 milioni di euro”. Sequestrati, oltre a conti correnti e una polizza assicurativa, immobili tra Padenghe sul Garda e Manerba del Garda (Brescia), Camogli (Genova), Lodi, La Thuile (Aosta), Milano anche in zone come Porta Romana e Porta Venezia, Sauze di Cesana (Torino), tutti riconducibili a Bolondi.

La “storia criminale” di Bolondi – Nel luglio del 2018 erano scattate le manette anche per altre 11 persone considerate componenti di un’organizzazione a delinquere che operava tramite la Premium Net Scpa, attiva nel settore della logistica, e una serie di cooperative e consorzi di cooperative a lui riconducibili. Le fiamme gialle pavesi, sotto la guida della Procura di Milano, hanno ricostruito la “storia criminale” di Bolondi, sottolinea la Gdf, partendo dai primi anni 90, quando l’imprenditore cominciava a collezionare i primi precedenti penali per reati contro la pubblica amministrazione, il patrimonio e per evasione fiscale, “evidenziando così una raffinata e ostinata capacità delinquenziale“.

Gli elementi acquisiti nel corso delle indagini hanno indotto la Procura di Milano-Sezione distrettuale misure di prevenzione, ad approfondire le posizioni patrimoniali dell’imprenditore e di alcuni familiari, oltre che di un’insospettabile milanese 50enne, impiegata di un ente locale, molto vicina all’imprenditore, socia di una delle società immobiliari e intestataria di una polizza vita del valore di oltre un milione di euro, oggetto anch’essa oggi di sequestro. Scavando per mesi su centinaia di conti e rapporti finanziari i militari sono riusciti a individuare un ingente patrimonio “frutto delle sue attività criminali, abilmente occultato mediante schermi societari e persone fittiziamente interposte”. Bolondi, “nonostante vantasse un elevato tenore di vita con macchine di grossa cilindrata, cene nei ristoranti più prestigiosi di Milano, acquisti di gioielli e orologi, viaggi esclusivi, disponibilità di ingenti somme di denaro contante e di appartamenti in centro a Milano e nelle località sciistiche e balneari più prestigiose d’Italia, risultava non possedere nulla all’infuori del suo reddito“, scrive la Gdf. All’esito dell’indagine patrimoniale, “portata avanti districandosi in un vero e proprio labirinto di società (anche di diritto inglese) e fiduciarie”, sono stati individuati immobili e liquidità per circa 17 milioni di euro.

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