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Elezioni, le proposte per la scuola del M5s tra comunità energetiche ed educanti

Concordo con quanto afferma Tuttoscuola, che da 40 anni cura l’informazione educativa italiana con il suo ricco sito online e con la sua rivista cartacea mensile. I programmi sulla scuola di ogni partito rischiano di essere un libro dei sogni, non solo in queste elezioni ma da sempre. Secondo le stime dello studio sono necessari tra i 12 e i 15 miliardi di euro all’anno per mantenere tutte le promesse, una cifra a cui ci siamo avvicinati solo durante gli stanziamenti del governo Conte II che ha affrontato la pandemia da Covid-19, scegliendo di rilanciare gli investimenti nella scuola. Nel 2020 si avvicinammo alla spesa di 9 miliardi di euro, riducendo le classi pollaio a sole 9000 unità grazie ad organico aggiuntivo e interventi di edilizia scolastica ad hoc. Caduto quel governo il problema delle classi sovraffollate è andato in soffitta con Draghi e le scuole sono tornate ad avere circa 14mila classi sovraffollate, secondo le stesse stime della rivista Tuttoscuola.

Il M5S e Giuseppe Conte hanno già dimostrato con i fatti, prima di qualsiasi programma elettorale, che la volontà è stata di aumentare le risorse nella scuola finché il lavoro non è stato interrotto dal governo Draghi. L’impegno economico è tuttavia più cospicuo e necessita di una vera rivoluzione delle regole europee del patto di stabilità. È qui che Tuttoscuola e le altre testate che si occupano di istruzione troveranno la vera novità nel programma integrale, in via di pubblicazione, che ho redatto insieme ai membri del comitato Istruzione e cultura costituito da Giuseppe Conte.

In generale, è la spesa per l’educazione che in Italia resta ridicola. Secondo i dati di Eurostat siamo il Paese europeo che, in percentuale rispetto alla propria spesa pubblica, investe appena l’8% in educazione posizionandosi all’ultimo posto in classifica in Europa. Una vera contraddizione per un Paese che ha ricevuto i maggiori fondi per un programma di Ripresa e Resilienza. Sebbene per i fondi del Pnrr abbiamo stabilito una percentuale rilevante per il comparto, questi fondi, se non accompagnati da finanziamenti in conto capitale nazionali e strutturali, rischiano di cadere nel vuoto. Quindi, per incidere realmente nella spesa dell’istruzione sul Pil, il futuro governo dovrà lottare per ottenere all’interno della riforma del patto di stabilità quella flessibilità di spesa in conto corrente per l’istruzione. Parliamo di spesa ordinaria che serve per aumentare gli stipendi e il personale necessario a sdoppiare le classi troppo affollate, ridurre le reggenze dei dirigenti e aumentare il personale Ata con l’aumento del numero di classi. Temi ampiamente sviluppati nel programma integrale del M5S.

Il comitato Istruzione e cultura del M5S vuole istituire una dote educativa in sinergia con i patti di comunità educanti, varati durante il Conte II, destinata principalmente alle scuole di quartiere e di periferia che, più di tutte, devono garantire servizi educativi e culturali personalizzati per la fascia di alunni svantaggiati per contrastare la dispersione scolastica. Il tutto in stretta collaborazione con gli uffici delle politiche sociali degli enti locali. Le comunità educanti possono diventare una misura strutturale di contrasto alla povertà educativa e culturale, con esperienze dirette di outdoor, con le discipline sportive, le competenze artistico-creative, educazione civica e professionale. Per promuovere la cultura del benessere scolastico il M5S vuole creare equipe di psicologi, educatori e pedagogisti a scuola che, dismettendo la loro funzione a sportello, diventeranno figure strutturali a supporto della comunità scolastica, in un momento storico dove i problemi individuali di depressione, violenza, di relazione si sono acuiti.

Con i 2,2 miliardi del Pnrr e i fondi del RePower EU il comitato Istruzione e cultura ha proposto la costituzione di Comunità energetiche, sfruttando gli oltre 8000 tetti degli istituti scolastici e ciò non può che incidere in una nuova didattica e formazione diffusa sui temi della transizione ecologica. Abbiamo previsto il tempo prolungato come offerta standard su tutto il territorio nazionale, investimento in mense ed educazione alimentare, con l’aumento di laboratori che utilizzino materiale didattico innovativo, frutto delle esperienze pedagogiche più avanzate secondo la carta di avanguardie educative di Indire.

Ci impegniamo con la massima determinazione a potenziare il tempo pieno in tutto il territorio nazionale, amplificando l’offerta outdoor ed esponenziale pomeridiana e rendendo gratuito l’intero percorso scolastico (da 0 a 18 anni) per gli studenti provenienti da famiglie con redditi medio-bassi. Le strutture scolastiche, universitarie e altri spazi pubblici e privati vanno messi al servizio di un’offerta di lifelong learning con finalità di reskill e upskill, a partire dalle ore 17.00. Il tutto con finalità culturali e sportive da svolgere nel tempo libero per tutte le fasce di età. Tutto questo sarà possibile se nel Paese si muoverà anche un movimento culturale in grado di lottare per la riforma del patto di stabilità, che chieda l’esclusione della spesa corrente per l’istruzione. Dopo le cure dimagranti imposte da Berlusconi, Tremonti e Gelmini, ce lo meritiamo.

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Scuola, le graduatorie per l’assegnazione dei supplenti nel caos. I sindacati: “Così anche l’anno scorso, il problema è l’algoritmo”

Anche quest’anno il sistema per l’assegnazione dei supplenti è andato in tilt. Nelle ultime ore, in diverse regioni d’Italia – in particolare Lombardia, Puglia e Campania – i centralini dei sindacati sono stati presi d’assalto da migliaia di docenti delle scuole di ogni ordine e grado che si sono ritrovati un mancato aggiornamento del proprio punteggio. Si tratta delle cosiddette Gps, le graduatorie provinciali dei supplenti che servono a ricoprire gli incarichi fino al 30 giugno o al 31 agosto 2023: una platea di almeno 500mila docenti che ogni anno, nel bel mezzo dell’estate (fino a qualche anno fa avveniva a settembre), si ritrovano a dover fare i conti con il loro destino professionale.

Dall’epoca Lucia Azzolina è stato introdotto un sistema informatico che ha il compito di velocizzare le operazioni. Tuttavia, la fase a monte del controllo della documentazione, eseguita dalle segreterie delle scuole e dagli uffici scolastici territoriali, sembra ancora non funzionare. I risultati, infatti, in queste ore sono sotto gli occhi di tutti: c’è chi si ritrova con due anni di insegnamento persi; chi ha titoli che non ha mai avuto o chi ha un punteggio fermo a quattro anni fa, pur avendo continuato a lavorare. Ogni anno di servizio vale dodici punti ma ci sono docenti che si son visti 24 punti in meno che possono far la differenza nella scelta delle scuole. “Tutto ciò accade – spiega Attilio Varengo della segreteria nazionale della Cisl Scuola – perché la valutazione dei titoli e dei punteggi viene eseguita nel giro di un lasso di tempo troppo breve da un contingente non sufficiente per esaminare migliaia di pratiche con la giusta attenzione”. Nessuno punta il dito contro il “cervellone elettronico” ma sull’errore umano.

Lo conferma il neo segretario nazionale della Uil Scuola Giuseppe D’Aprile: “È un film già visto lo scorso anno. È la fase a monte dell’algoritmo che non funziona. Bisognerebbe chiudere la presentazione delle domande a gennaio per poter consentire un controllo dedicato ad ogni singolo candidato”. A pagarne le conseguenze sono soprattutto i ragazzi. Secondo il numero uno della Uil Scuola assisteremo di nuovo ad un balletto di supplenti: insegnanti che si vedranno revocato il loro incarico durante l’anno a causa di ricorsi al Tar che verranno presentati: “Di nuovo si ricorrerà alle vie legali come se la scuola dovesse ogni anno – precisa D’Aprile – essere gestita dai giudici”. Intanto nelle diverse province è il caos. La Flc Cgil della Liguria ha ricevuto centinaia di segnalazioni da tutta la regione così a Torino e a Cremona dove si rilevano graduatorie errate. Gli uffici scolastici ora attendono indicazioni dal ministero ma è inevitabile che dovranno rifare gli elenchi e pure velocemente perché la prima campanella è a distanza di poche settimane. Anche quest’anno saranno in tanti tra i docenti, soprattutto del Sud, che staranno in ansia fino ai primi di settembre quando, forse, la questione sarà risolta.

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Scuola, rottura tra sindacati e governo sulla manovra: Cgil, Uil, Snals e Gilda disertano il tavolo con il ministro Bianchi

Rottura totale tra i sindacati della Scuola e il Governo Draghi. Giovedì mattina, all’incontro convocato online dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi per parlare della legge di Bilancio, i segretari nazionali della Flc Cgil, Uil, Snals e Gilda non si presenteranno. Dopo aver proclamato martedì sera lo stato di agitazione e l’interruzione delle relazioni sindacali, Francesco Sinopoli, Pino Turi, Elvira Serafini e Rino Di Meglio hanno deciso di non presentarsi al tavolo.

“Ci aspettavamo – scrivono i sindacati in un comunicato che domattina sarà letto al ministro dalla portavoce Francesca Ruocco – una diversa sede di discussione e confronto, magari dopo una valutazione politica che coinvolgesse l’intero governo per cercare di comporre la vertenza in atto dando possibili risposte alle problematiche che abbiamo sollevato”.

Parole che segnano una piena delegittimazione del professore ferrarese che domattina si vedrà solo con la segretaria della Cisl Scuola, Lena Gissi, e il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli.

“La legge di Bilancio – spiegano i quattro segretari – l’abbiamo letta bene. La scuola è completamente marginalizzata e bisogna rimediare. Ci aspettiamo che il ministro intervenga sul Governo per fargli capire quali sono i temi cruciali che preoccupano il personale della scuola. Non è con gli annunci in divenire del Pnrr che si promuove e si investe, servono le risorse in Finanziaria”.

Secondo Sinopoli e gli altri questi soldi nella Legge di Bilancio 2022 non ci sono. Questi i problemi che rivendicano: le risorse necessarie per il rinnovo del contratto; le relazioni tecnica e politica spostano denaro da un capitolo all’altro, a parità di impiego di risorse e persone, con giustificazioni formali, offensive e gravissime nei confronti dei docenti; gli interventi normativi, come la mobilità del personale, vengono fatti a costo zero; l’organico Covid, strumento d’emergenza utilizzato in pandemia, viene prorogato per gli insegnanti ma non per il restante personale.

I firmatari sono pronti anche a portare in piazza gli insegnanti: “Nei mesi scorsi è stato firmato un Patto per la Scuola che è rimasto completamente inattuato nei modelli, negli obiettivi, negli investimenti. Ci aspettiamo un deciso cambio di rotta altrimenti la risposta non potrà che essere la mobilitazione generale della categoria”.

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I Länder tedeschi tolgono l’obbligo di mascherina in classe. Pediatri favorevoli, virologi contrari: “Decisione prematura”

Quattro Länder tedeschi – Brema, Turingia, Sassonia Anhalt e Meclemburgo Pomerania – hanno già deciso di eliminare l’obbligo delle mascherine in classe. Da questa settimana si aggiungono anche la Baviera, Saarland e Berlino, ma l’ipotesi è stata presa in considerazione per il futuro pure da Nord-Reno Vestfalia e Baden Württemberg. Gli allievi di Monaco, Berlino e Saarbrücken, da lunedì 4 ottobre saranno tenuti ad indossare la mascherina solo durante gli spostamenti negli edifici scolastici, ma non una volta giunti al posto in classe.

Per la maggior parte dei medici tedeschi si tratta di una misura pienamente giustificata: il dottor Thomas Fischbach, presidente dell’associazione degli specialisti in pediatria, ha dichiarato alla tedesca ZdF di ritenere “inadeguato un prolungamento del dovere di indossare le mascherine per gli allievi” e che “la società non può aspettarsi che siano loro a dover continuare a prendere precauzioni per coloro che rifiutano di vaccinarsi”. Tra i bambini il Covid ha un decorso più leggero, le ospedalizzazioni nella fascia tra i 5 ed i 14 anni sono appena lo 0.48% del totale. Per questo, dicono i favorevoli, non si può poi costringere i ragazzi ad indossare la mascherina in aula se ai fratelli maggiori è consentito non farlo stando a ben più stretto contatto in discoteca. Anche il presidente dell’Ordine dei medici, Klaus Reinhardt, in un’intervista televisiva al secondo canale tedesco, ha accolto con estremo favore il provvedimento, visto che agli adulti al ristorante, cinema e anche al lavoro, una volta al posto è già permesso togliersi la mascherina.

La fin qui prudente Baviera ha deciso il passo verso la normalità, d’altronde, alla luce del suo affidamento sui tamponi. Il Ministro della sanità della Baviera Klaus Holetschek (Csu) ha rimarcato ai microfoni della tv pubblica che gli allievi sono sistematicamente sottoposti a test e le rilevazioni saranno ancora intensificate, così come nelle scuole saranno installati sistemi di areazione e pulizia dell’aria.

Per molti virologi, tuttavia, il provvedimento viene preso troppo presto. La quarta ondata è appena iniziata e con l’inverno avrà un’impennata: un aumento già si è registrato a partire dal rientro a scuola. La professoressa Melanie Brinkmann dell’Helmholtz-Zentrum für Infektionsforschung di Braunschweig ha avuto parole ancora più chiare in una dichiarazione ripresa dai media tedeschi: “Dall’alto numero dei non vaccinati, e tra questi contano soprattutto i bambini, ritengo questa decisone prematura e francamente anche piuttosto sciocca”. Se si considera l’intera popolazione tedesca, senza cioè distinzione di età, solo il 64,6% in Germania è già completamente vaccinato, ma tra i 12-16enni lo è appena circa un terzo. In questa fascia di età si registra conseguentemente anche il maggior numero di nuove infezioni, la cosiddetta incidenza settimanale è la più elevata con un indice di 152,5 casi. Facendo un paragone, tra gli ultraottantenni è pari al 27,1. Anche il virologo Martin Stürmann della clinica universitaria di Francoforte, che è stato egli stesso positivo al Covid, ha dichiarato alla ZdF: “Temo che nelle scuole ora ci saranno esplosioni di contagi rinunciando alle mascherine durante le lezioni, proprio perché ancora non possiamo garantire una difesa attiva ai bambini sotto i dodici anni con una vaccinazione”.

Non tutti però sono così pessimisti. Per il direttore dell’istituto di virologia di medicina universitaria di Magonza, Bodo Plachter – citato dalla ZdF – “i bambini, soprattutto i più giovani, hanno probabilità molto basse di un decorso grave o di conseguenze di lunga durata e il dato non è cambiato neppure con la variante Delta”, (quella emersa in India dall’ottobre 2020). Una spiegazione si deve ricondurre al fatto che nel corpo dei bambini ci sono meno recettori del tipo ACE-2 ai quali si possono agganciare le cellule virali.

Scetticismo è stato manifestato tuttavia anche dal presidente della associazione degli insegnanti, Heinz-Peter Meidinger, che ha ammonito: “È il momento sbagliato, i virologi avvisano di una quarta ondata che si rafforzerà e disporre adesso la rinuncia all’obbligo di indossare la mascherina è prematuro”. Per gli insegnanti non si ha ancora piena coscienza di quelle che saranno le conseguenze del long covid in questa generazione. Seppure i casi di sindrome di infiammazione multi-sistemica pediatrica (Pims) che si può manifestare dopo settimane in associazione ad un contagio Sars-CoV2 sono rari, e tra gli adolescenti in tutta la Germania ad agosto se ne registravano solo poco più di 400, non è escluso che – per quanto meno degli adulti – anche i bambini possano soffrire del cosiddetto long covid e avere disagi di lungo termine contraendo il virus per via del calo delle restrizioni.

Il presidente dell’associazione degli istituti scolastici della capitale bavarese, Florian Huber, è tuttavia convinto dalla decisione di togliere l’obbligo della mascherina in classe. In un’intervista diffusa dal notiziario Heute Journal ha sottolineato come per gli allievi nelle prime elementari l’incontro degli insegnanti con il volto semicoperto risulti molto difficile. Conoscersi e guadagnare fiducia per gli stessi docenti è molto più faticoso – ha sostenuto Huber – e ad esempio quando si impara una lingua straniera e si deve fare attenzione alla pronuncia. Molti allievi sono contenti dal non dovere più seguire le lezioni con la mascherina, specie tra i maturandi, visto che molti sono vaccinati. Ma altri non si fanno illusioni, il ministero bavarese d’altronde ha già dichiarato che l’obbligo potrebbe essere reintrodotto in ogni momento se si dimostrerà necessario.

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Alto Adige, non capisco perché non unificare i percorsi di accesso alla professione di maestro

Maestre in Alto Adige? Sì, anche solo con il diploma. A stabilirlo la delibera numero 751 del 31 agosto, che permette anche solo ai possessori di diploma di scuola media superiore l’accesso ai percorsi abilitanti per la professione di insegnante di scuola primaria negli istituti madrelingua tedeschi e ladini.

Ma non è tutto: il documento legislativo della Giunta della provincia autonoma di Bolzano da una parte fa riferimento e inserisce in modo esplicito che gli insegnanti delle scuole tedesche e ladine siano di madrelingua tedesca (la questione non è semplice da spiegare, ma in Alto Adige le persone hanno la facoltà e la libertà di autodichiararsi appartenenti a un gruppo linguistico diverso per quanto, fino a prova contraria, la nazionalità resti italiana); dall’altra però – ed è la vera novità – autorizza al percorso per l’insegnamento persone che abbiano il solo diploma, di qualsiasi tipo.

Tutto avviene nelle stesse settimane in cui – qualche centinaio di chilometri più a sud, in ottemperanza peraltro alla normativa europea – avviene l’esatto contrario: che alcuni diplomati vengano esclusi dall’insegnamento in quanto sprovvisti di laurea.

Ma tornando al requisito previsto per madrelingua tedeschi e ladini, pare proprio che l’assise del Consiglio non abbia minimamente tenuto conto del terzo articolo della Costituzione secondo cui “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Questo avviene peraltro a discapito degli insegnanti italiani che proprio negli scorsi mesi hanno annunciato un’azione di diffida contro la Provincia di Bolzano e ministero dell’Istruzione.

Da questo punto di vista infatti la questione sembra davvero arcaica, con la suddivisione di percorsi di formativi differenziati a seconda dell’appartenenza al gruppo linguistico. Tanto varrebbe unificare, come peraltro avviene nella società dove buona parte dei cittadini considera semplicemente una ricchezza conoscere ugualmente bene sia l’italiano che il tedesco.

Se poi però vogliamo aggiungere un tassello riporto le parole di Diego Nicolini, consigliere 5Stelle: “Si potrebbe addirittura insinuare che con questa delibera l’Alto Adige-Südtirol si pone fuori dall’Europa. È la prima volta del resto che sento parlare all’interno di un atto legislativo direttamente di madrelingua, ma soprattutto anche a livello europeo viene richiesta la laurea per insegnare, non solo il diploma”.

Semplificando? Tutti parlano dell’importanza della formazione scolastica, la realtà però è che mancano insegnanti e dunque al posto di puntare a una formazione sempre più alta a Bolzano si assumono anche solo i diplomati.

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Scuola, audizione alla Camera del ministro Bianchi sulla ripartenza: la diretta

Audizione, alla Camera, del ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, sull’avvio dell’anno scolastico (previsto, in quasi tutta Italia, a partire dal 13 di settembre).

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Green Pass, i presidi contro le multe. I sindacati: “Altro carico di responsabilità. I dirigenti non sono ispettori per la salute”

Una multa dai 400 ai mille euro. Tanto rischiano i presidi se non controllano il Green Pass al personale scolastico in servizio. Questo l’ultima ragione che ha acceso le polemiche all’interno del mondo dell’istruzione. Critici soprattutto i sindacati: “Viene previsto per il preside un nuovo profilo, l’ispettore per la salute, non è possibile. Si tratta di un altro carico di responsabilità sul piano civile e pecuniario”, fa sapere la segretaria della Cisl Scuola Maddalena Gissi. “Abbiamo conosciuto i dirigenti scolastici farsi ingegneri, architetti e anche distributori di banchi per velocizzarne la diffusione, lo scorso anno, nelle aule. Ora basta. Il 1 settembre riprendono le attività del Piano estate ed entreranno nella scuola decine di persone che non sono dipendenti scolastici ma pervengono da associazioni, settori privati e terzo settore nell’ambito della bellissima esperienza che sono i Patti di comunità. Chi deve controllare?”.

Sullo stesso tema si è espresso anche Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi. “È normale che la violazione di un obbligo sia sanzionata. Dispiace che questa misura sia stata adottata senza un preventivo confronto“, ha riferito. E ha proseguito: “È inaccettabile che ai dirigenti scolastici non siano assegnate le risorse umane che chiediamo da tempo, assolutamente necessarie per assolvere i compiti, sempre più numerosi, che vengono loro richiesti. Ed è ancora più inaccettabile che sui colleghi incombano molti più oneri che sugli altri dirigenti dello Stato a fronte di una retribuzione nettamente inferiore. La politica dovrà ricordarsi dei presidi anche al momento del rinnovo contrattuale”.

Fra i lavoratori impegnati nel mondo dell’istruzione, il 14,87% non ha ancora ricevuto la prima dose di vaccino. In numeri assoluti sono 217.870, secondo il report settimanale del Governo. La settimana scorsa erano 220.605.

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Il duro discorso di 3 neodiplomate alla Normale: “Sistema accademico segue la logica del profitto con precarietà crescente senza parità di genere. La retorica del merito crea concorrenza malsana”

Quindici duri minuti di discorso che colpiscono il cuore del problema: un sistema accademico inadeguato, basato sulla “retorica dell’eccellenza“, che spesso accentua le disuguaglianze e il divario di genere. Anche e soprattutto all’interno di istituzioni, come la Scuola Normale di Pisa. Le parole di tre neodiplomate della celebre accademia, hanno lasciato il segno durante la consegna dei diplomi del 9 luglio scorso. Virginia Magnaghi, Valeria Spacciante e Virginia Grossi, rappresentanti delle allieve e degli allievi della Classe di Lettere, hanno letto un discorso a sei mani che fotografa la realtà dal punto di vista di chi, l’università, la vive in prima persona, gli studenti.

“Dopo un confronto durato mesi se non anni vorremmo provare oggi a riassumere le contraddizioni che sentiamo quando pensiamo a dove siamo ora a come stiamo ora“, esordisce una delle ragazze, specificando che “proprio perché la Scuola ha significato così tanto per noi vorremmo oggi provare a spiegare come mai quando guardiamo noi stessi o ci guardiamo intorno ci è difficile vivere questo momento di celebrazione senza condividere con voi alcune preoccupazioni”.

“Crediamo che sia oggi necessario cominciare descrivendo il contesto lavorativo, sociale e e culturale in cui gran parte di noi è ormai inserita. Contesto che negli ultimi 13 anni è stato investito da cambiamenti profondi”, spiega ancora Virginia Magnaghi, la prima delle tre studentesse a prendere la parola. “Ci riferiamo al processo di trasformazione dell’Università in senso neoliberale, intendiamo un’università-azienda in cui l’indirizzo della ricerca scientifica segue la logica del profitto in cui la divisione del lavoro scientifico è orientata a una produzione standardizzata, misurata in termini puramente quantitativi – legge ancora – Un’università in cui lo sfruttamento della forza lavoro si esprime attraverso la precarizzazione sistemica e crescente, in cui le disuguaglianze sono inasprite da un sistema concorrenziale che premia i più forti e punisce i più deboli aumentando i divari sociali e territoriali”. Una tendenza internazionale ancor più forte in Italia. E i numeri che la studentessa legge, sono chiari. Uno su tutti: l’Italia spende lo 0,3% del proprio Pil nell’istruzione terziaria, contro lo 0,7 della media europea. Per non parlare delle stabilizzazioni: “Tra il 2008 e il 2020 nelle Università Statali i ricercatori sono diminuiti del 14% e le recenti e parziali stabilizzazioni non sono altro che una goccia nell’oceano, dato che il 91% degli assegnisti di ricerca si vedrà escluso dall’Università”, spiega ancora Magnaghi. Le disuguaglianze “sono stridenti”, continua, “divario di genere, divario territoriale nord-sud e tra i poli di eccellenza ultra-finanziati e la gran parte degli atenei”. Per questo “l’istituzione dei dipartimenti di eccellenza che in questo quadro non può che apparire odiosa e insensata”. Soprattutto se si guarda al divario tra poli considerati d’eccellenza, come la Normale, e università statali. “Ma quale eccellenza tra queste macerie? Che valore ha la retorica dell’eccellenza se fuori da questa cattedrale nel deserto ci aspetta il contesto desolante che abbiamo descritto?”.

Il discorso quindi, proseguito da Valeria Spacciante, si sofferma con un focus proprio sulla Normale. “La scuola ha perseguito la deregolamentazione delle condizioni contrattuali del personale esternalizzato di mensa e biblioteca e sembra ormai aver rinunciato da anni ad una presa di posizione nel dibattito pubblico”, denuncia la giovane studentessa che punta il dito anche contro il corpo docente il cui “impegno civico” è passato in secondo piano rispetto “alla produzione scientifica”. “Questa disabitudine all’impegno che sempre di più ci viene insegnata è pericolosa”, dice ancora, denunciando dinamiche all’interno dell’Ateneo “nocive”. “Prima fra tutte la spinta alla competitività alla produttività, se l’obiettivo della scuola è abituarci quanto prima ad accettare acriticamente tale sistema, crediamo che questo sia un obiettivo perverso – specifica – La nostra selezione in base al merito e l’intreccio tra didattica e ricerca, sono due tra i principi basilari del modello Normale, nei fatti tuttavia troppo spesso questi principi si traducono nella retorica del merito e del talento come alibi per generare una competizione malsana e deresponsabilizzare il corpo docente”. Il riferimento è ai tanti loro compagni che non hanno raggiunto l’ambito diploma. Un’assenza che “pesa e che è una sconfitta per la scuola”. Ma non solo. Il peso è anche quello psicologico dettato da questo modello “dell’eccellenza”, una “stortura sistemica grave che può avere conseguenze estreme sulla salute fisica e psicologica”. Il duro monito delle studente, poi, tocca il nervo scoperto della didattica. Soprattutto in una Scuola come la Normale, che, grazie “ai finanziamenti di cui gode” potrebbe apportare diversi cambiamenti.

Tocca poi a Virginia Grossi, ultima delle tre a prendere la parola, esprimere un ultimo argomento chiave dell’”attacco al sistema” delle tre studentesse. Quello del divario di genere. “Oggi a leggere questo discorso siamo tre allieve, è un gesto semplice in reazione all’individualismo promosso dall’accademia neoliberale – dice – Ma è anche un gesto che vuole evidenziare un altro enorme problema sistemico: vorremmo che la Scuola Normale in quanto istituzione, corpo docente, comunità, prestasse più attenzione alla disparità tra uomini e donne all’accesso all’accademia universitaria“. I dati, anche in questo caso, parlano chiaro: “Borse di dottorato e assegni di ricerca sono equamente distribuiti, così non è per le cattedre di seconda fascia, ricoperte da donne nel 39% dei casi e di prima fascia nel 25% dei casi – spiega – Per la Scuola, su 13 membri del senato accademico solo 3 sono donne. E di 10 professori ordinari della classe di lettere, 9 sono uomini”. Numeri che si riflettono anche sui dati dei diplomati: su 24, solo 8 sono donne. Un divario di genere, “molto più marcato nelle Università del sud” contro il quale “non si combatte ancora abbastanza”. “Per questo motivo vi invitiamo a interrogavi quando all’ammissione vi trovate a far entrare un numero sproporzionato tra ragazzi e ragazze – prosegue – Vi chiediamo di prestare attenzione quando di fronte a voi avete una donna. Vi chiediamo di pensare due volte quando una ricercatrice è incinta, una professoressa è madre o quando un’allieva rimane ferita di fronte a un commento da voi ritenuto innocuo”. “Sappiamo che le nostre sono parole dure, ma a dare questo momento di celebrazione la giusta serietà, significa anche e soprattutto esercitare con consapevolezza lo spirito di analisi e critica che abbiamo imparato in questi anni – concludono le tre ragazze – Dopo anni di confronto è significativo che nessuno di noi si riconosca nella retorica dell’eccellenza, perché la troviamo incompatibile con la ricchezza e la fallibilità di ognuno di noi”.

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Green Pass, verso utilizzo graduale in base al quadro della regione. I nuovi criteri: soglia 5% intensive e 10% ricoveri per andare in giallo

Il governo prepara il nuovo decreto anti-Covid, quello che prevede l’estensione dell’utilizzo del green pass, ad esempio per poter andare al ristorante o salire sui mezzi pubblici. L’altra novità riguarda i nuovi criteri che determineranno i colori delle Regioni e che, come richiesto dai governatori, terranno conto in primis del tasso di ospedalizzazione. Si andrà in zona gialla se l’occupazione delle terapie intensive è superiore al 5% dei posti letto a disposizione e se quella dei reparti ordinari supera il 10%. Questa è la prima ipotesi allo studio per rivedere i parametri del monitoraggio. Anche il Green Pass, d’altronde, potrebbe essere utilizzato in modo diverso a seconda del colore della Regione. “L’idea è quella di pensare a una modulazione e gradualità a seconda del quadro della regione: si possono cioè prevedere intensificazioni dell’utilizzo del green pass a seconda della situazione”, spiega il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, parlando all’Ansa.

L’estensione del green pass, sul modello Macron, dovrebbe servire proprio a incentivare le vaccinazioni, in un contesto che vede i contagi e il tasso di positività crescere con la variante Delta del coronavirus, anche se le terapie intensive e i reparti ordinari per ora non preoccupano. Prevista nei prossimi giorni la riunione della cabina di regia con il premier Mario Draghi: il primo nodo è stabilire i luoghi dove il green pass diventerà obbligatorio. Si parla di mezzi pubblici (treni, aerei e navi), ristoranti, discoteche, palestre, cinema e più in generale luoghi dove si tengono eventi e concerti, stadi compresi.

L’obiettivo è quello di tenere le restrizioni al minimo, ma intensificare l’uso del green pass dove i contagi crescono. Mentre il Comitato tecnico scientifico ha ribadito la necessità di rilasciare la certificazione verde solo dopo la seconda dose e non più a 15 giorni dalla prima somministrazione. La maggioranza però è divisa e si registrano posizione diverse anche all’interno della Lega, con Matteo Salvini polemico e il governatore Massimiliano Fedriga invece possibilista.

“Se c’è una situazione che peggiora, automaticamente – spiega il sottosegretario Costa – ci può essere un’applicazione più ampia del green pass. E’ un ragionamento di buon senso: se una Regione rimane bianca ci può essere un tipo di utilizzo di green pass, ma se una Regione ha criticità maggiori, piuttosto che chiudere si applica il green pass più restrittivo“. Costa annuncia poi l’altra novità, come da indicazioni del Cts: “Si va verso la concessione del green pass non più dopo 15 giorni dalla prima dose di vaccino ma dopo il completamento del ciclo vaccinale con le due dosi. E’ probabile che si vada in questa direzione”. Ciò, “sulla base delle sollecitazioni del Cts, perché siamo nell’ambito delle scelte che la politica fa sulla base delle indicazioni scientifiche“.

L’obbligo vaccinale per i docenti – L’altro tema riguarda invece le scuole. Il governo vuole il ritorno in presenza, ma a due mesi dalla prima campanella rimangono molti nodi ancora da risolvere. Il primo punto sul tavolo dell’esecutivo Draghi riguarda l’obbligo vaccinale per i docenti: “La decisione andrà presa dall’intero collegio“, ovvero in Consiglio dei ministri, ha annunciato il ministro della Pubblica istruzione, Patrizio Bianchi. “Stiamo lavorando, abbiamo più di un miliardo già investito per la sicurezza: per le persone e per i trasporti, quindi siamo pronti”, ha detto Bianchi. In merito alle mascherine, “il Cts ci ha detto che dovranno restare in atto tutte le precauzioni sanitarie possibili. Per il resto, il Governo si riunirà per tutte le altre misure. Noi ci troveremo questa settimana col Consiglio dei ministri e la decisione sull’obbligo vaccinale o meno per gli insegnanti andrà presa dall’intero collegio”, ha chiesto il ministro dell’Istruzione.

L’articolo Green Pass, verso utilizzo graduale in base al quadro della regione. I nuovi criteri: soglia 5% intensive e 10% ricoveri per andare in giallo proviene da Il Fatto Quotidiano.

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