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Didattica a distanza, i genitori si riscoprono ‘insegnanti’ e hanno bisogno di aiuto

La chiusura prolungata delle scuole ha imposto ai genitori anche un ruolo “didattico”. Per aiutarli a svolgere questo compito è importante fornire loro strumenti semplici e chiari. Potrebbero rivelarsi utili anche per ridurre le disuguaglianze.

di Maria Bigoni, Stefania Bortolotti, Margherita Fort e Annalisa Loviglio (fonte: lavoce.info)

Cruciale l’età degli studenti

Otto milioni di bambini e ragazzi sono a casa da scuola dal 22 febbraio e non è chiaro quando potranno tornarvi. La scuola sta cercando di rimanere vicina agli studenti: secondo i dati del ministero, circa tre quarti delle scuole hanno attivato iniziative di didattica a distanza, che però non può sostituirsi completamente alla ricchezza dell’interazione in presenza.

Si è molto discusso di dotazioni tecnologiche e di modalità di valutazione degli studenti; è però importante anche riflettere su chi rischia di essere maggiormente colpito da questa situazione e su come ridurre al minimo possibili conseguenze negative di lungo periodo. Oltre al contesto socioeconomico, anche l’età dei bambini rappresenta un fattore cruciale di cui tenere conto.

Se il passaggio forzato alla didattica a distanza rallenterà la formazione per gli studenti di ogni ordine e grado, le conseguenze più rilevanti potrebbero ricadere sui bambini più piccoli: gli investimenti educativi che avvengono nei primi anni di vita sono quelli con un ritorno più alto e hanno un impatto duraturo nel tempo, che va ben oltre la carriera scolastica. Come provato da numerosi studi, tra cui quelli del premio Nobel James Heckman, lo sviluppo del capitale umano è un processo dinamico e alcune competenze risultano più malleabili in giovane età.

Famiglie al centro

Nell’emergenza sanitaria, la responsabilità educativa ricade principalmente sui genitori, che devono farsi veicolo delle attività didattiche e pedagogiche proposte dalla scuola. Sono pronti a rivestire questo ruolo, ne comprendono a pieno l’importanza? Studi recenti indicano che i genitori tendono a sottostimare l’importanza che la propria interazione con i bambini più piccoli ha sul loro sviluppo.

È particolarmente vero per famiglie con un background socio-economico più svantaggiato. Inoltre, i problemi finanziari e lavorativi che colpiscono molte famiglie potrebbero ridurre la capacità dei genitori di concentrarsi sullo sviluppo delle competenze dei figli.

Spunti per fronteggiare l’emergenza

È certamente auspicabile che i bambini possano tornare a interagire tra loro e con gli insegnanti non appena le condizioni sanitarie lo permetteranno, perché le dinamiche di socializzazione e apprendimento che si sviluppano nel contesto scolastico sono insostituibili.

Nel frattempo, però, l’obiettivo da perseguire è quello di fornire un supporto alla genitorialità, in particolare ai genitori dei bambini in età prescolare e della scuola primaria. È importante dare indicazioni e suggerimenti uniformi, chiari e facili da mettere in pratica, per aiutare i genitori ad accompagnare i propri figli in questo momento complicato, stimolandone lo sviluppo cognitivo, motorio e socio-emotivo con modalità compatibili con le limitate risorse di tempo, spazio e denaro oggi disponibili.

Da anni studiosi di vari campi, organizzazioni non governative e istituzioni si occupano di promuovere e valutare l’efficacia di azioni volte a contrastare la povertà educativa (per l’Italia, si veda ad esempio l’iniziativa “Con i bambini”). E una serie di studi scientifici, la cui valutazione di impatto ha fornito risultati promettenti (si veda la tabella 1), si sono focalizzati proprio su interventi diretti ai genitori di bambini piccoli.

Tabella 1

Un primo studio ha coinvolto famiglie con un reddito basso e con figli in età prescolare e ha fornito tablet contenenti centinaia di libri per bambini: la dotazione tecnologica, unita a reminder giornalieri sull’importanza della lettura e a stimoli a fissare obiettivi in termini di tempo di lettura settimanale, ha portato in media a un raddoppio della frequenza della lettura, con effetti più marcati per i genitori che prima dell’esperimento passavano meno tempo con i figli e tendevano a dare meno importanza al futuro.

Gli studi di Susanna Loeb e dei suoi colleghi prevedono invece l’invio ai genitori di sms per suggerire attività volte a sviluppare competenze matematiche, linguistiche e socio-emozionali. Le attività sono disegnate in modo da integrarsi bene con la routine quotidiana (preparare la tavola, ordinare la stanza, per esempio), sono dunque semplici da mettere in pratica. I primi risultati positivi ottenuti da questo tipo di protocollo hanno indotto la behavioral unit del Regno Unito a finanziare ulteriori test e a mettere a disposizione una app gratuita per i genitori. L’efficacia di programmi simili è stata documentata anche nel contesto dei compiti per le vacanze estive.

Nel nostro paese, la realizzazione di un programma di supporto alla genitorialità di questo tipo si integra bene con l’impegno del ministero dell’Istruzione a fornire accesso a Internet e tablet a tutte le famiglie, ma potrebbe anche essere attuata tramite altri canali, quali ad esempio la televisione (come già suggerito da Paolo Sestito)

Lo sviluppo, a livello nazionale, di strumenti dall’utilizzo semplice e “leggero” può essere utile a genitori che faticano a orientarsi tra le numerosissime e variegate proposte che ora ricevono. La difficoltà nel discernimento e nella scelta può essere particolarmente seria per quei genitori che hanno meno tempo e meno strumenti a disposizione, e questo rischia di amplificare l’eterogeneità a livello socio-economico, ampliando i divari.

Un intervento di supporto alla genitorialità nato dall’emergenza Covid-19 potrebbe avere effetti duraturi, che si protraggono anche oltre l’emergenza. Favorirebbe così la diffusione di abitudini e di modalità di interazione tra genitori e figli che possono perdurare anche in futuro, contribuendo a ridurre le disuguaglianze.

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Scuole chiuse, i numeri parlano chiaro: l’alleanza tra istruzione, editoria e digitale c’è e funziona

Non solo gridi d’allarme, c’è anche una buona notizia per il settore editoria: sono circa 2 milioni gli e-book scaricati dagli studenti italiani in queste settimane di emergenza. È quanto emerge dall’indagine realizzata dall’Associazione Italiana Editori-AIE per fotografare cosa è accaduto dal 24 febbraio al 7 aprile, con la chiusura delle scuole e con l’avvio della didattica a distanza.

In questo periodo di isolamento, uno studente su tre ha scaricato almeno un libro di testo in formato digitale dalle piattaforme degli editori scolastici, sostanzialmente raddoppiando il numero complessivo degli e-book scaricati durante tutto l’anno scolastico precedente. Una tendenza che risulta visibile anche nella scuola primaria: un alunno su cinque, vale a dire il 21%, ha scaricato il libro di testo in versione digitale.

Il valore si accentua con il procedere della scolarizzazione, infatti, nella scuola secondaria di primo grado lo ha fatto il 38% degli studenti e il 34% in quella secondaria di secondo grado. A questi valori vanno aggiunte le versioni sfogliabili dei libri di testo messe a disposizione – sempre gratuitamente – dagli editori pro tempore per aiutare, ad esempio, le famiglie i cui figli avevano lasciato i libri a scuola.
Gli editori scolastici sono scesi in campo per aiutare studenti e insegnanti.

E non ci sono solo gli e-book. Complessivamente i materiali digitali scaricati dalle piattaforme sono circa 4,4 milioni. In particolare, sono quasi 2 milioni i materiali integrativi – file word di approfondimento, presentazioni power point, mappe attive digitali, esercizi- a cui hanno avuto la possibilità di accedere insegnanti e studenti.

Sono, in media, 13.100 per materia nella scuola primaria, 30.800 per materia nella scuola secondaria di primo grado, 17.900 per materia nella scuola secondaria di secondo grado: in un mese di didattica on line, per ogni disciplina, gli insegnanti hanno avuto a disposizione in media circa 20mila materiali digitali di qualità, validati, efficaci, coerenti con l’impostazione didattica dei libri di testo da loro scelti.

L’alleanza tra editori e insegnanti si è tradotta in un “lavoro” di assistenza e di formazione sulle nuove modalità didattiche anche ai docenti. In quasi una classe su due (46%) c’è almeno una materia insegnata attraverso lo strumento della classe virtuale messo a disposizione dagli editori scolastici e che si integra con il libro di testo e gli altri materiali. Questo valore sale al 54% nella scuola secondaria di secondo grado e all’86% nelle scuole secondarie di primo grado.

Dal 24 febbraio al 7 aprile 691mila docenti hanno partecipato ad almeno un webinar di formazione gratuita. I numeri evidenziano che alcuni ne hanno seguiti anche più di uno. Nello stesso periodo sono state evase dagli editori scolastici 372mila le richieste di aiuto e di informazione, con ben 12mila telefonate giornaliere di assistenza per info a supporto di genitori e insegnanti.

Insomma, ancora una volta, l’Italia ha scoperto che i libri digitali non sono il diavolo, al contrario, rappresentano un valido alleato per superare le difficoltà causate da Covid-19.

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Didattica online, così si lavora a Chicago. E da voi come va? Condividete le vostre storie!

Non sappiamo quanto durerà ancora questa situazione e quale sarà la nuova normalità. Meglio prepararsi al peggio o, se vogliamo essere ottimisti, progettare il nostro futuro imminente invece che limitarci a subirlo. Alcuni pezzi di società lo stanno già costruendo, come la scuola.

Vorrei usare questo spazio per raccogliere le vostre storie di studenti e insegnanti alle prese con la didattica on line: nel giro di poche settimane tutti – dalle elementari all’università – sono passati da un insegnamento tradizionale a qualcosa di completamente diverso. Al posto di quaderni, lezioni e compiti da consegnare, ci sono classi su Zoom, esercizi via WhatsApp e tanto altro.

Come vi siete adattati? Vorrei chiedervi di fare esempi concreti di cosa sta funzionando e cosa no. Quali strumenti usate, quali colli di bottiglia rendono complicata la transizione (le competenze degli insegnanti? l’assenza di tablet e pc nelle case? La connessione scarsa? E come aggirate questi vincoli?).

Un mondo come quello dell’istruzione che di solito metabolizza i cambiamenti nell’arco dei decenni si trova ora a completare una transizione in poche settimane. Per quel poco che ho sentito finora, i risultati sono sorprendenti, con più storie di successo che di fallimento.

Comincio io e vi racconto come è cambiata nell’arco di poche settimane – letteralmente due, tra la fine di un trimestre e l’inizio dell’altro – la didattica all’Università di Chicago dove lavoro ora.

La vita degli studenti degli Mba – i master in business administration che sono il programma principale offerto dalla Booth School of Business dove sto io – si svolge ora in uno spazio digitale che si chiama Canvas. Era attivo anche prima, per scaricare le slide o le letture, caricare i compiti, ricevere le comunicazioni sulla logistica, ma ora è il centro di tutto. Sparite le lezioni tradizionali – una a settimana di tre ore per ciascun corso – i professori stanno sperimentando nuove modalità.

Nessun essere umano riesce a rimanere concentrato tre ore su Zoom senza finire presto a fare altro, tra social e siti. Quindi i docenti cercano di coinvolgere gli studenti in vari modi: la lezione via Zoom prevede, per esempio, sondaggi continui, per raccogliere le opinioni della classe, quando il professore fa una domanda chi vuole rispondere può “alzare la mano” su Zoom e ottenere la parola. Ma c’è anche il momento per le discussioni in gruppi ristretti: Zoom offre al docente la possibilità di suddividere la classe in “stanze” parallele per un certo periodo di tempo.

Il tempo della didattica on line si frammenta e dilata, le dinamiche si invertono: nel mondo di prima in classe si ascoltava il professore e a casa si facevano gli esercizi. Ora è il contrario. Molti professori registrano pezzi di lezioni frontali – tra i 20 e i 45 minuti – che lo studente può guardare quando crede e poi, nella lezione “in diretta” su Zoom, si passa direttamente alla interazione, che nelle business school è soprattutto discussione di “casi” (la strategia di espansione internazionale di WalMart, le fusioni tra compagnie aeree…).

Trovare un equilibrio non è facile: è vero che stiamo tutti a casa, ma il numero di ore di una giornata non è variato. Questo tipo di didattica discontinua e interattiva richiede moltissimo tempo, anche perché oltre alle lezioni poi gli studenti di Mba hanno spesso i lavori di gruppo (altre riunioni su Zoom, altri file condivisi, altre conversazioni su Slack…).

Ci vorrà un po’ a trovare l’equilibrio.

Anche gli esami, ovviamente, devono adattarsi: addio ai test a crocette, alle domande sulle nozioni, agli esercizi che replicano quanto visto in classe o a casa. Gli esami da remoto diventano “open book”, cioè con domande che richiedono ragionamento e non aver imparato tutto a memoria, alcuni professori li abbandonano del tutto e assegnano più punti ai lavori di gruppo o alla partecipazione in classe (la fantasia delle business school su questo è infinita: domandine rapide prima della lezione, quiz durante la lezione, test su quanto appreso subito dopo….).

Ovviamente questo tipo di didattica va bene per business school con notevoli budget a disposizione e che si rivolgono ad adulti, gente che ha già una laurea e una esperienza lavorativa e investe tempo e denaro in una formazione aggiuntiva.

In questo momento la sfida per le business school è offrire una didattica da remoto che compensi anche la perdita di uno degli aspetti cruciali degli Mba, la creazione di connessioni tra studenti e con le aziende. Perché gli studenti pagano un Mba per fare un salto di carriera, non per apprendere nozioni. Altre scuole di ordine e grado diverso si confrontano con problemi e sfide completamente differenti. Non riesco neanche a immaginare come possa essere la didattica di una quarta elementare su Zoom…

Per questo spero che in tanti vogliano condividere le loro storie qui: nessun dibattito in questo momento è tanto importante come quello sulla formazione per il mondo post-Coronavirus. Anche e soprattutto in tempo di crisi e recessione, il futuro dell’economia e della società dipende dalle persone e dalle loro idee. La scuola – di ogni ordine e grado – plasma entrambe.

Raccontate qui le vostre storie o mandatemele via mail a [email protected]

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Benvenuti a scuola nell’Anno Tre post coronavirus!

Come è gestita nelle vostre città l’emergenza Coronavirus? Come si comportano le autorità e i cittadini? E nelle vostre vite, c’è qualche aspetto positivo o inatteso nell’isolamento forzato? Abbiamo chiesto ai nostri Sostenitori di raccontarcelo, inviando testimonianze, osservazioni e spunti per la redazione al Blog Sostenitore. Mai come stavolta il contributo della nostra comunità è fondamentale: con il Paese in zona rossa, ogni segnalazione è importante. Abbiamo bisogno di voi. Sosteneteci: se non siete ancora iscritti, ecco come potete farlo.

di Antonio Deiara

Le mascherine di protezione venivano ancora indossate dai tredici alunni della quarta “M”, in quel caldo ottobre nell’Anno Tre Post Covid-19. Faceva impressione vedere altri tredici banchi vuoti, quasi irreali nello spazio non più conteso di fronte alla cattedra. Le lezioni, rigorosamente “in presenza”, si susseguivano ordinatamente nel silenzio e nella massima attenzione.

Anche l’Aula musica si presentava ricca di spazio, con la batteria collocata nel rispetto del distanziamento socio-strumentale, leggii e microfoni, chitarre e amplificatori, tastiere elettroniche e bassi elettrici collocati oltre il metro per ciascuna postazione. In Palestra cerchi confinanti, di diametro superiore a due metri, delimitavano lo spazio ginnico-sportivo, mentre strani contenitori di matite, pennarelli e tempere campeggiavano sui moderni banchi a losanga con le ruote, ben distribuiti nell’Aula di Arte.

Le cuffie con microfono spuntavano dagli zaini dei singoli alunni, affiancate ai “Quaderni e album del giorno” e al Kindle-Scuola pesante appena qualche etto, che celava al proprio interno tutti i libri di testo in formato digitale. L’Aula di Lingue ricordava le postazioni delle centraliniste di una vecchia trasmissione televisiva, Portobello: tra una postazione e l’altra un alto “scudo” di plastica trasparente proteggeva i singoli alunni e i docenti.

Le lezioni si frequentavano la mattina, con ore da cinquanta minuti che imprimevano ritmo all’apprendimento; di pomeriggio si curavano lo studio e le “AE (Attività Elettive)”, Sport, Musica, Arte, Teatro, Giornalismo, etc. Non si sprecava neppure un minuto: chi osava disturbare la lezione veniva immediatamente allontanato dalla Scuola e affidato nuovamente ai genitori. Questi ultimi dovevano pagare una multa per “Culpa in educando”, che raddoppiava progressivamente, a partire da 100 euro, con la seguente motivazione: “Allontanamento didattico temporaneo per interruzione di pubblico servizio”.

Erano sparite le bocciature: lo studente che non raggiungeva un livello di preparazione almeno sufficiente, era obbligato a frequentare “Corsi di pronto soccorso didattico” pagati dalla famiglia d’origine; il costo di un “CPSD” ammontava a 1.000 euro per materia.
I nuovi docenti, dopo aver superato un concorso, venivano preparati attraverso la frequenza post-laurea di un “CDT (Corso di Didattica con Tirocinio)” di durata annuale, nel quale insegnavano maestre e maestri, professoresse e professori “anziani”, tutte e tutti di chiara fama (con 30 anni di servizio e pubblicazioni a carattere didattico), suddivisi per ordine di Scuola.

Il precariato ormai non esisteva più: la programmazione dei “CDT” risultava raccordata con il “Piano pluriennale dei pensionamenti (PPP)”. Gli insegnanti di Sostegno si specializzavano col “TFAS (Tirocinio Formativo Attivo per il Sostegno)” annuale post-concorso, in numero pari alle cattedre. I Presidi c’erano ancora e dirigevano un “SP (Staff di Presidenza)”, formato da insegnanti in semi-esonero o in esonero totale, che si occupava di diversi aspetti della vita scolastica di ciascun istituto. La storica “Bidella Candida” dello Zecchino d’Oro si era trasformata in “CEVIP (Collaboratrice educativa per la vigilanza e la pulizia)”, mentre la Segreteria aveva assunto l’aspetto di Cape Canaveral: super-computer e zero carta.

Il ministro della Pubblica Istruzione appariva raggiante, nella Conferenza Stampa del 12 ottobre: “Ringrazio la Scuola Pubblica della Repubblica Italiana per l’eccellente lavoro svolto in questo avvio dell’Anno Terzo Post Covid-19. Abbiamo realizzato un possente investimento nell’Istruzione, pari a quello riservato alla Sanità Pubblica. Il futuro del nostro Paese poggia su solide basi: le potenzialità, lo studio e l’entusiasmo delle nostre studentesse e dei nostri studenti!”.

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La didattica a distanza non può sostituire l’aula. E da contratto certi docenti non sono obbligati

Come è gestita nelle vostre città l’emergenza Coronavirus? Come si comportano le autorità e i cittadini? E nelle vostre vite, c’è qualche aspetto positivo o inatteso nell’isolamento forzato? Abbiamo chiesto ai nostri Sostenitori di raccontarcelo, inviando testimonianze, osservazioni e spunti per la redazione al Blog Sostenitore. Mai come stavolta il contributo della nostra comunità è fondamentale: con il Paese in zona rossa, ogni segnalazione è importante. Abbiamo bisogno di voi. Sosteneteci: se non siete ancora iscritti, ecco come potete farlo.

di Antonio Deiara

Quarant’anni fa, un amico mi raccontò che, quando esplose il boom economico, per troppo tempo si nutrì quasi esclusivamente di carne e sostituì l’acqua e un buon bicchiere di vino con litri e litri di Coca Cola. Finì in ospedale. Fabula docet: il neofita è manicheo, per cui tutto quello che ha preceduto la sua “conversione” è il “nero-non-buono”, l’intera gamma di cose disponibili nel “post-conversione” rappresentano il “bianco-buono”.

La didattica a distanza, risposta ineludibile nel breve periodo alla sospensione della didattica in presenza, è stata intesa da troppi “proseliti neofiti” dello scranno, della scrivania e della cattedra come panacea per tutti i mali della scuola pubblica della Repubblica italiana. I neofiti della nuova religione pedagogico-didattica hanno commesso tre errori sostanziali: sopravvalutare la disponibilità e l’efficacia degli strumenti informatici, sovraccaricare di lavoro gli studenti davanti all’equivalente della Play-Station, equiparare un’ora di lezione in aula ad un’ora di lezione dietro lo schermo.

Escludiamo dal ragionamento gli ultimi anni delle superiori, l’Università, il Conservatorio e l’Accademia di Belle Arti. Fino ai sedici anni, cioè fino al biennio della Scuola Secondaria di secondo grado, l’alunno deve adempiere all’obbligo dell’istruzione previsto dalla legge; dal triennio, invece, si entra nella dimensione della “scelta”, cioè nel seguire un percorso scolastico che ho scelto, proteso verso il mio futuro, e nel quale investo risorse economiche della mia famiglia, il mio tempo e le mie energie.

Normativamente, non esiste un “obbligo” per gli scolari delle elementari e gli studenti delle medie di seguire con correttezza, impegno e rielaborazione personale (studio) la didattica a distanza. In verità, contrattualmente, non esiste neppure un “obbligo” per i docenti della scuola dell’obbligo a porre in essere lezioni e interrogazioni attraverso computer e connessioni Wi-fi.

Se il Parlamento ritiene che la nuova religione pedagogico-didattica debba diventare obbligatoria, vanno studiate con estrema attenzione tempi e modalità, obbligate le famiglie a far “frequentare” i figli, e inserite le nuove modalità a tempo della funzione docente nel nuovo Contratto Collettivo nazionale di lavoro scuola. Dimenticavo: nel rispetto della Costituzione, si prevedano anche computer e connessioni a costo zero per tutti gli alunni, nessuno escluso!

La lezione online, per essere efficace nei confronti dei discenti più piccoli, deve rispettare i tempi televisivi. Sono da evitarsi rigorosamente, pertanto, gli interminabili monologhi del docente, la programmazione di un numero di ore pari a quello delle lezioni in presenza, l’insegnamento teorico delle discipline “pratiche” come la Musica. I tutorial, oggi largamente presenti su Internet, non costituiscono una modalità di insegnamento ma di “ammaestramento”. L’elemento educativo e quello formativo posti in essere dalla scuola, rientrano in altre categorie pedagogiche e didattiche.

In conclusione, la didattica a distanza non può sostituire, se non per brevissimi periodi e cum grano salis, il dialogo educativo-formativo e le esperienze concrete di apprendimento che caratterizzano la vita scolastica di docente e discente. Socrate docet (e Asimov narra)…

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Il Coronavirus passerà, la scuola e il sistema sanitario resteranno. Ma non se saranno devoluti alle Regioni

Un popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, pensatori, scienziati, navigatori, trasmigratori, ma anche di magistrati, economisti, allenatori di calcio, urbanisti, insegnanti (a seconda delle occasioni) oggi si scopre popolo di virologi ed epidemiologi. Complice l’approssimazione dell’informazione ufficiale e il protagonismo dell’agorà virtuale (dove pronunciarsi – qualsiasi cosa si dica – significa esistere) moltissime sono diagnosi, pareri, sentenze, indignazioni a cui siamo quotidianamente, volenti o nolenti, sottoposti.

Torniamo al tradizionale cuique suum, a ciascuno il suo. Non mi unirò alla funambolica lista di commenti (non richiesti) e mi limiterò, da insegnante, ad alcune osservazioni rispetto al tema della formazione, strettamente implicato nella questione Coronavirus. Tanto più da ieri, con il Dpcm che decreta la sospensione della didattica in tutti i servizi educativi, scuole e università sul territorio nazionale.

1. Nessuno può credere che il provvedimento di chiusura delle scuole possa rappresentare da sé solo un ostacolo definitivo alla propagazione del virus. Ma è pur vero che bloccare una popolazione di circa 8 milioni di individui – tra personale della scuola e studenti – significa snellire l’intasamento dei mezzi pubblici e diminuire le possibilità di contagio che la scuola stessa potrebbe favorire.

Nelle classi pollaio, che i tagli sulla scuola hanno prodotto, la vicinanza tra banco e banco, tra posto e posto è generalmente minima. Qualsiasi precauzione e vigilanza sono inutili. In questa situazione, bloccare la didattica significa anche che i bambini e i ragazzi non diventino inconsapevoli incubatori del virus: nonni e immunodepressi certamente non potranno che beneficiare di questo provvedimento.

2. Qualora il provvedimento dovesse rimanere limitato ai 10 giorni appena decretati, la sospensione della didattica non dovrebbe ragionevolmente rappresentare un problema, tanto più che è in gioco la salute della collettività e la tenuta del Ssn. Altro è dire un periodo più lungo. A questo proposito è stata pubblicata una nota del Ministero dell’Istruzione. La normativa prevede che l’organo competente per la didattica siano il Collegio docente e le sue articolazioni.

Essendo il Dpcm norma di secondo livello, subordinata alla legge, il richiamo al collegio è implicito, per forza di legge. Questo significa che nessun dirigente può prevedere accelerazioni unilaterali né imposizioni che non siano contemperabili in tale quadro.

Da questa mattina io, come credo la maggior parte dei docenti italiani, siamo stati subissati da mail che proponevano materiali per la didattica a distanza da parte delle case editrici (piatto ricco…). Penso però che i docenti italiani siano già attrezzati a sufficienza per concordare e condividere pratiche adeguate per mantenere un contatto significativo e una continuità che contemperi il diritto allo studio, anche a distanza, e il rispetto della legge.

3. La questione al momento più spinosa posta dalla chiusura delle scuole è certamente quella che riguarda le difficoltà cui le famiglie italiane si sono improvvisamente trovate a far fronte. In questo senso – e prima di ogni altra cosa – occorrono provvedimenti urgenti, che non possono che concretizzarsi in agevolazioni per i genitori lavoratori in termini di permessi retribuiti e sostegno economico per l’assistenza ai minori. E’ qui prima di tutto che si salda la prioritaria questione sanitaria con gli aspetti economici posti dalla chiusura, cercando anche in questo campo un equilibrio che l’allarmismo delle prime ore e la marcia indietro di qualche giorno dopo non sono riusciti a contemperare.

4. Infine due considerazioni: in questi anni la scuola – con i pochi fondi che le sono arrivati – ha investito prioritariamente sul proprio “ammodernamento”, troppo spesso coinciso con una entrata a gamba tesa sul “cosa” attraverso il “come”. L’emergenza di questi giorni ci rivela che le sempre nuove tecnologie sono uno strumento utile, utilissimo in questo momento, ma non sufficiente a sostituire la relazione, che sola può produrre sapere significativo. Uno strumento, appunto, da affinare per far fronte a situazioni inimmaginabili, come quella che stiamo vivendo. E non il fine e la mediazione irrinunciabile della nostra professione, come – con una tendenziale violazione della libertà di insegnamento – si è tentato di fare negli ultimi 15 anni.

E poi: il Covid-19 passerà, i sistemi di istruzione e sanitario nazionali (speriamo che) rimarranno. Il progetto di autonomia differenziata, che li devolverebbe insieme a tante altre importantissime materie alle Regioni, ha trovato in questa emergenza nazionale la prova concreta dell’iniquità e inefficacia di quel progetto.

E poi: cosa sarebbe accaduto se – anziché nelle sviluppatissime tre regioni del Nord – la zona rossa fosse stata (o, malauguratamente, sarà) in Basilicata e Calabria o in altre delle regioni i cui
sistemi sanitari stentano a sopravvivere? L’esigenza di una gestione centralizzata di questa emergenza significa rispetto dell’interesse generale della collettività nazionale. Potenziare (e non depauperare, come si è fatto costantemente negli ultimi 20 anni) questi presidi di democrazia e uguaglianza che configurano la possibilità di tutte/i di accedere a diritti universali significa prendersi cura di un Paese, della sua identità, della possibilità di accedere per ciascuno di noi, ovunque si sia nati, a quei diritti.

La sensazione è che stiamo passando uno di quei momenti trascorso il quale nulla sarà più come prima. I nodi sono venuti al pettine, attraverso un virus che – più o meno di un’influenza che sia, non sta a me dirlo – ha portato alla luce la nostra globalizzata fragilità. Solo una riflessione sugli errori fatti potrà evitare che il dopo abbia un volto peggiore del prima.

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