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Scuola, caccia al personale non vaccinato: 227mila persone tra docenti e collaboratori non hanno ancora fatto l’iniezione anti Covid

E’ caccia ai docenti, ai collaboratori scolatici, agli impiegati e ai presidi che non si sono ancora vaccinati. L’allarme arriva direttamente dal commissario straordinario per l’emergenza generale Francesco Figliuolo: al 25 giugno 227.537 uomini e donne del personale scolastico non hanno ancora effettuato l’iniezione contro il Covid.

Stiamo parlando del 15% su una popolazione composta da 1.467.519 persone. Un numero che spaventa gli organi preposti al controllo sanitario tanto che il generale ha preso carta e penna per scrivere alle Regioni: “Si rende necessario perseguire la massima copertura del personale scolastico. Su una popolazione di oltre 1,46 milioni di soggetti, alla data del 23 giugno, 227.970 non sono stati ancora raggiunti con la prima, o unica, dose, con una forte difformità sul territorio, con Regioni in cui oltre il 25% del personale scolastico non risulta ancora raggiunto dalla vaccinazione”.

L’obiettivo è arrivare al primo settembre con una copertura totale per poter garantire un avvio dell’anno il più sereno possibile. Dagli uffici del commissario nessuno apre bocca su come intendano arrivare a questi 227.970 persone ma intanto le tabelle nelle mani del generale non fanno dormire sonni tranquilli. La maggior parte dei docenti ha effettuato il vaccino con Astrazeneca e di conseguenza ha fatto due iniezioni. Non ci sono numeri su chi ha fatto l’eterologa o meno ma dai dati del Commissario risulta che 1.237.641 persone hanno fatto la prima dose e 2.341 hanno avuto la dose unica per un totale dell’84,50%.

La seconda dose è stata fatta, invece, a 1.029.163 addetti del personale scolastico. In totale tra chi ha fatto il vaccino con una sola puntura e chi ha fatto la prima e la seconda dose parliamo di 1.031.504 vaccinati ovvero il 70, 29%. Andando a osservare i numeri di coloro che ancora non sono passati da un hub vaccinale si nota una netta differenza tra Regioni: se in Campania e Friuli Venezia Giulia non c’è più nessuno da vaccinare in Sicilia sono rimasti a casa senza protezione 61.267 persone; in Piemonte 28.326; in Emilia Romagna 21.093; in Sardegna 19.882; in Calabria 15.552; in Veneto 14.420 e in Toscana 14.058.

Sotto quota diecimila ci sono tutte le altre regioni con la Valle d’Aosta (92) e il Molise (22) che hanno quasi raggiunto la totalità. Ora è tutto nelle mani di Figliuolo che in due mesi dovrà raggiungere queste persone e capire perché non si sono vaccinate. Alcuni possono essere no-vax ma appare difficile che oltre 200mila insegnanti, collaboratori scolastici e impiegati siano contrari all’iniezione. Un problema ben chiaro alla Flc Cgil: “Noi abbiamo sempre sostenuto la campagna – spiega il segretario nazionale Francesco Sinopoli – e continueremo a farlo ma è chiaro che c’è stato un problema di comunicazione e di informazione a partire dal Comitato tecnico scientifico nominato dal nuovo Governo”.

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Coronavirus, a Mosca la campagna vaccinale passa per la lotteria delle auto

A Mosca la situazione pandemica sembra essere ancora piuttosto critica: i numeri dei contagi non calano, anzi stanno toccando i numeri più alto da gennaio. In più sembra che la campagna vaccinale stenti a decollare del tutto.

Così, tra gli ultimi provvedimenti presi dal sindaco della capitale Sergey Sobyanin – che ha parlato di attendersi il picco vero dei casi tra giugno e luglio – ci sono cinque giorni di stop lavorativo (dal 15 al 19 giugno) per tutte le attività non essenziali e la partecipazione alla “lotteria delle auto” per chi si vaccinerà.

Quest’ultima è una trovata piuttosto originale: a partire dal 14 giugno, ogni settimana fino all’11 luglio, vengono messe in palio cinque auto, ciascuna del valore di circa un milione di rubli, che equivalgono a 11.500 euro.

Il sindaco Sobyanin, che ha annunciato e promosso l’iniziativa dal suo blog, ha spiegato che lo stop lavorativo “è solo una soluzione temporanea”, che la campagna vaccinale ha bisogno di andare avanti più rapidamente e che un piano di incentivi per chi ha già ottenuto la prima dose è già in programma: “Ora stiamo lanciando un ulteriore programma di incentivazione della vaccinazione” ha scritto, “che si applica a tutti i cittadini sopra i 18 anni”.

Alla lotteria delle auto potranno partecipare, infatti, tutte le persone che in quelle settimane riceveranno la prima dose di vaccino anti-covid, e i vincitori dei primi sorteggi saranno annunciati dal 23 giugno sul canale tv Moscow24.

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AstraZeneca, attesa per la decisione del Cts: verso la raccomandazione solo agli over 60. Nodo richiami, si cerca un milione di dosi

Il vaccino Oxford-Astrazeneca “raccomandato agli over 60“. Dopo giorni di indiscrezioni che ipotizzavano soglie più basse (40 o 50 anni), sarà questa, sembra, la formula contenuta nel parere del Comitato tecnico-scientifico sull’uso del discusso farmaco anglo-svedese. Una raccomandazione che farebbe eco a quella già espressa dal ministero della Salute e dall’Aifa (l’Agenzia italiana per il farmaco) ma non un vero e proprio divieto di somministrazione, impraticabile dal momento che l’approvazione europea e quella italiana riguardano tutti i soggetti maggiorenni. Dalla formula ora in vigore – “raccomandato un uso preferenziale sopra i 60 anni” – si dovrebbe quindi passare a “raccomandato” o “fortemente raccomandato”.

Vaia (Spallanzani): “Autorità decidano, basta raccomandazioni” – Il verdetto si attende in realtà fin da martedì, ma la delicatezza assunta dalla questione nei giorni scorsi – in particolare dopo la morte per trombosi della 18enne Camilla a Genova – ha reso gli stessi esperti più restii ad assumere una posizione netta. “Ci siamo già espressi, il ministero ha tutti gli elementi per indicare la strada”, è il pensiero condiviso tra i membri dell’organo consultivo secondo il Corriere della Sera. La stessa linea del presidente dell’Aifa Giorgio Palù: “Noi il nostro parere l’abbiamo dato, ma adesso credo che la responsabilità spetti al ministero”, diceva giovedì. Ma il direttore scientifico dell’istituto Spallanzani Francesco Vaia gli aveva indirettamente risposto che “le autorità regolatorie non devono raccomandare, ma soprattutto in questa fase decidere e dare indicazioni precise in modo da evitare disparità di decisioni nelle varie Regioni”.

Al lavoro sul richiamo eterologo – Poi c’è il tema delle seconde dosi: cosa somministrare al milione e 20mila under 60 già “mezzi vaccinati” con AstraZeneca? Il Cts lavora per aprire alla possibilità del richiamo eterologo, cioè effettuato con un preparato a tecnologia diversa, non vettore adenovirale ma Rna messaggero (Pfizer-BioNtech e Moderna). Una scelta di questo tipo, però, rischia di causare un forte ritardo alla campagna di immunizzazione: l’obiettivo, scrive Repubblica, è di non spostare nessun appuntamento, ma mancano le scorte necessarie. I membri del Cts studiano un piano d’azione che – a quanto si è appreso – andrebbe verso una riorganizzazione complessiva della campagna vaccinale, rimodulando anche l’assegnazione dei diversi vaccini alle diverse fasce d’età, alla luce del mutato quadro epidemiologico.

Ricciardi: “Seconde dosi con AZ, non c’è rischio” – C’è anche chi, però, insiste sulla soluzione più semplice: “In questo momento chi ha fatto la prima dose con un vaccino è bene che faccia la seconda dose con lo stesso vaccino – dice il consulente del ministro Speranza, Walter Ricciardi -, ciò perchè le prove sperimentali che hanno portato all’approvazione di questi vaccini sono state fatte sulla somministrazione di due dosi per lo stesso vaccino e hanno dimostrato adeguate condizioni di sicurezza e di protezione”. Sulla stessa linea il virologo Fabrizio Pregliasco (Irccs Galeazzi) e l’infettivologo Massimo Andreoni (Tor Vergata), che ricordano come gli eventi avversi rari si siano verificati essenzialmente dopo la prima dose e, in ogni caso, il rischio sia bassissimo. Una conferma in questo senso arriva dal quinto Rapporto Aifa di farmacovigilanza sui vaccini anti-Covid: i casi di trombosi venose intracraniche e in sede atipica in soggetti vaccinati con AstraZeneca, riporta il documento, sono in linea con quanto osservato a livello europeo, ovvero un caso ogni 100.000 prime dosi somministrate e prevalentemente in persone con meno di 60 anni. Nessun caso invece è stato segnalato dopo la seconda dose.

Toti: “Open day non sono invenzione delle Regioni” – Sul fronte politico, il governatore ligure Giovanni Toti prova a respingere gli attacchi per aver autorizzato l’open day a cui aveva aderito la 18enne deceduta ieri. “La possibilità di utilizzare AstraZeneca per tutti su base volontaria non è un’invenzione delle Regioni o di qualche dottor Stranamore: è suggerimento che arriva dai massimi organi tecnico-scientifici per aumentare le vaccinazioni, e quindi evitare più morti”, scrive su Facebook, invitando a “non fare sciacallaggio“. “Al ministero della Salute, all’Agenzia del farmaco, all’Istituto di sanità, al Comitato tecnico scientifico spetta la responsabilità di dire una parola chiara, definitiva e irreversibile sull’uso di AstraZeneca. Un siero che ha cambiato almeno cinque volte in tre mesi la sua destinazione: solo sotto i 50 anni, poi sospeso, poi solo sopra i 60, poi per tutti. Ora – dice – da Roma si esprimano senza ambiguità: ritengono che aumentare le vaccinazioni, e dunque usare anche AstraZeneca di cui abbiamo milioni di dosi, sia necessario per salvare vite umane? E allora si assumano la responsabilità di dirlo chiaramente, senza mettere sotto accusa chi segue le indicazioni in tal senso”.

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Vaccini anti-Covid, Figliuolo adesso pensa alla ‘chiamata attiva’: “L’imperativo categorico è andare sui 60enni, vaccinato solo il 62-63%”

Si va verso la chiamata attiva per “intercettare” chi ancora, pur avendo la possibilità, non ha prenotato il vaccino anti-Covid. Un problema che investe principalmente la fascia dei 60-69 anni, considerata a rischio malattia grave, ma dove coloro che hanno ricevuto la dose di farmaco sono ancora troppo pochi su tutto il territorio nazionale. Tra gli over 60 la campagna vaccinale non decolla, come confermato dal commissario straordinario per l’emergenza Francesco Paolo Figliuolo. Ad oggi in Italia, ha detto il generale, “abbiamo quasi somministrato 33 milioni di dosi, di cui circa 21 milioni e 800 mila come ‘prima’”.

Eppure, ha lasciato intendere, potrebbe andare meglio: “Con procedure anche di cosiddetta ‘chiamata attiva’ dobbiamo andare a intercettare la popolazione che ancora non risulta vaccinata. Quindi, se mancano i soggetti fragili si vanno a cercarli, bisogna soprattutto mettere in sicurezza queste classi”, ha spiegato il commissario per l’emergenza Covid. Entrando nello specifico, Figliuolo ha evidenziato che “le vaccinazioni agli over 80 hanno superato a livello nazionale il 90%, gli over 70 sono sopra l’80%”. Mentre – ha sottolineato – per gli over 60 “dobbiamo crescere tutti, visto che siamo al 62-63%“.

“Andare sui 60enni è il nostro imperativo categorico”, ha ribadito. “Dobbiamo continuare su queste categorie così come sui fragili per ultimarli nei limiti delle possibilità, vista anche la platea dei rinunciatari. Questo lo sanno bene i presidenti delle Regioni”. Un “occhio vigile” quindi per Figliuolo va verso queste persone anche grazie “ad una modalità di chiamata attiva e a procedure per intercettarle”. Una procedura “partita in via sperimentale e grazie alla quale tra qualche giorno andremo a cercare queste persone over 60, le categorie che più patiscono dall’incontro con il virus”. Una direzione “giusta” perché “li preserviamo così da terapia intensiva e mortalità”, ma per il commissario anche “utile perché come si vede in questi giorni riusciamo così a svuotare gli ospedali e a diminuire i decessi”.

Rivolgendosi agli enti locali, Figliuolo ha lanciato un appello: “Dobbiamo continuare in squadra, non lasciando indietro nessuno, soprattutto i più vulnerabili. Se continueremo su questa via, usciremo al più presto dalla logica emergenziale”. Dal 3 giugno, ha aggiunto, “partirà una lettera alle Regioni e Province autonome con cui si darà la possibilità di aprire le vaccinazioni a tutte le classi seguendo il Piano e utilizzando tutti i punti di somministrazione possibili, anche quelle aziendali”.

Però, ha avvertito, le dosi a disposizione “saranno 20 milioni” e “quindi bisogna evitare le rincorse a volerle di più”. Per l’ok dal 3 giugno anche agli adolescenti tra i 12 e i 15 anni, in tutto circa 2,3 milioni di persone, è atteso il via libera di Aifa, che “molto probabilmente” arriverà “all’inizio della settimana prossima”. Al momento dagli uffici del commissario non verrà indicato un canale preferenziale per la vaccinazione di questa fascia d’età anche se le singole Regioni potranno scegliere di organizzare le somministrazioni attraverso gli hub, le farmacie, i pediatri o i medici di famiglia.

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Appalti, il G20 deve impegnarsi per la trasparenza negli acquisti di vaccini e terapie. Se fallisse, il prezzo da pagare sarebbe enorme

Gli 20 Stati più ricchi del mondo hanno speso finora quasi 10 trilioni di dollari statunitensi per arginare il Covid-19, e promettono di stanziarne ancora.
È fondamentale che i governi del G20 si impegnino senza riserve a rendere trasparenti i principi regolatori degli appalti per equipaggiamento protettivo, medicine e vaccini, in modo da evitare di ripetere gli errori fatti dall’inizio della pandemia. Il G20 deve seguire l’appello dei leader Ue a “sostenere e rinforzare il suo impegno a combattere la crisi Covid-19, specialmente nel garantire un accesso economico ed equo a diagnosi, terapie e vaccini per tutti”.

di Gavin Hayman, Open Contracting Partnership

I governi di tutto il mondo spendono un dollaro su tre in contratti con fornitori. Questi contratti sono le fondamenta del bene pubblico derivante dalle nostre tasse; forniscono le scuole, gli ospedali e le infrastrutture da cui tutti dipendiamo. Il peso della spesa pubblica è sentito di più nei sistemi sanitari nazionali, in cui l’accesso a cure a poco prezzo può essere una questione di vita o di morte.

Durante l’emergenza c’è stato un abuso crescente di appalti pubblici che ha favorito corruzione e clientelismo. Sono i cittadini a pagare il prezzo di questa cattiva gestione dei soldi pubblici: dispositivi di protezione falsi, carenza di vaccini e medicine troppo care.

Ecco perché, ora più che mai, i governi del G20, che si incontreranno a Roma il 21 maggio per il Global Health Summit, dovrebbero impegnarsi alla massima trasparenza nelle loro spese pubbliche.

Le cinque economie più forti del G20 – Stati Uniti, Cina, UE, Germania e Giappone – da sole, secondo le stime dell’FMI, nel dicembre 2020 avevano speso più di $9 trilioni di dollari (almeno €7.5 miliardi) per arginare il Covid-19, e hanno già stanziato altri miliardi per aiutare la ripresa. In Italia sono stati spesi €22,8 miliardi relativi all’emergenza tramite i bandi di gara delle pubbliche amministrazioni, secondo il sito Bandi Covid di Openpolis.

Negli ultimi dieci anni ci sono stati dei progressi in materia di trasparenza degli appalti pubblici che hanno aiutato a ridurre i costi di trattamenti molto cari come quelli per l’HIV/Aids. Lo stesso insegnamento deve essere applicato all’attuale crisi sanitaria. Abbiamo bisogno di regole chiare lungo tutto il processo di rifornimento, distribuzione e somministrazione dei vaccini anti Covid-19 per garantire il diritto di accesso al vaccino per tutti. Gli Stati a basso e medio reddito devono sapere con chiarezza se i contratti che hanno stipulato sono equi. Quando i contratti vengono negoziati in segretezza, le aziende hanno il potere di imporre le loro condizioni, favorendo così una mentalità in cui gli accordi a porte chiuse e la corruzione sono la norma, mentre chi ne paga le spese sono i contribuenti.

“Le situazioni di emergenza offrono terreno fertile a circostanze in cui interessi particolari utilizzano fondi pubblici per profitti privati, rendendo più difficile riconoscere e mitigare i punti deboli che aprono la via alla corruzione e agli sprechi”, ha avvertito l’FMI all’inizio della pandemia nei primi mesi del 2020.

Da quando è stata dichiarata la pandemia da Covid-19 da parte dell’Oms (Organizzazione Mondiale per la Sanità), l’11 marzo 2020, la corruzione negli appalti pubblici ha prosperato. Mentre i governi erano impegnati a preparare appalti per le procedure d’emergenza in una corsa all’equipaggiamento medico, trasparenza, open data e responsabilità sono stati duramente colpiti.

A partire dal marzo 2020, troppi appalti pubblici legati alla pandemia sono stati compromessi da segretezza, procedure opache e corruzione. In Germania e nel Regno Unito sono sotto esame accordi con fornitori molto vicini ad alcuni parlamentari. In Kazakistan un’azienda di distribuzione di fiori si è aggiudicata contratti redditizi per la fornitura di dispositivi di protezione individuale; negli Stati Uniti e in Slovacchia sono stati stipulati contratti per il rifornimento di attrezzature mediche a società che erano state registrate appena qualche settimana prima. In Guatemala e in tante altri Stati i prezzi sono duplicati rispetto alle medie storiche.

Gli osservatori di contratti pubblici hanno individuato contratti legati al Covid che erano stati assegnati in esclusiva, con gare e aggiudicazioni coperte da segretezza. In molti casi soni stati nuovi fornitori senza esperienza a ottenere accordi remunerativi per milioni di dollari.

È per questo motivo che il G20 deve seguire l’appello dei leader dell’Ue a “sostenere e rafforzare l’impegno a combattere la crisi Covid-19, specialmente nel garantire un accesso economico ed equo a diagnosi, terapie e vaccini per tutti”.

Se il G20 dovesse fallire nell’adottare tali principi, il prezzo da pagare potrebbe essere enorme. Il totale complessivo che verrà speso per i vaccini Covid-19 fino al 2025 dovrebbe ammontare a $157 miliardi (€130 miliardi). Segnali di cattiva amministrazione nella distribuzione del vaccino stanno già emergendo: in Puglia, un ispettore del governo ha scoperto che il numero di operatori sanitari vaccinati superava nettamente il numero di dipendenti registrati nel settore.

“L’Italia, che quest’anno ospita il G20, dovrebbe dare il buon esempio e abbracciare i più elevati standard di trasparenza degli appalti e delle spese della pubblica amministrazione” dichiara l’attivista anti-corruzione Davide Del Monte, ex direttore esecutivo di Transparency International Italy e fondatore dell’organizzazione Open Nodes. “Con oltre €200 miliardi da spendere, sarebbe anzi meglio dire investire, per il futuro del Paese, non ci si possono permettere sprechi e corruzione. Per questo ci aspettiamo che tutte le informazioni vengano pubblicate nel modo più aperto e trasparente possibile,” aggiunge Del Monte, membro del C20, gruppo di organizzazioni della società civile che sostiene l’hosting del G20 in Italia.

C’è speranza. In Lituania, un portale apposito che pubblica open data sui contratti legati al Covid ha aiutato gli osservatori a fornire un servizio a chi paga le tasse; in Paraguay, l’agenzia per gli appalti pubblici si è mossa rapidamente per garantire che i dati sugli appalti connessi alla pandemia fossero accessibili per tutti.

Il G20 deve impegnarsi pienamente a pubblicare i dati relativi agli appalti pubblici come parte della ripresa globale. I governi non possono permettere che le forze del settore privato compromettano la trasparenza: bisogna proteggere gli interessi dei cittadini, e non quello delle aziende farmaceutiche.

Le spese non sono state tracciate per troppo tempo durante l’emergenza, come è stato dimostrato dai casi di Argentina, Regno Unito, Sudafrica e tanti altri stati. È tempo di invertire la rotta e andare avanti. Non solo per ristabilire la fiducia, ma anche per assicurare che i trilioni investiti per la ripresa arrivino dove dovrebbero e possano salvare vite.

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Vaccini in Lombardia, aprono le prenotazioni per la fascia 50-59 anni: ecco le modalità

Aprono alla mezzanotte di lunedì 10 maggio le prenotazioni per effettuare il vaccino anti Covid-19 per i 50-59 enni in Lombardia. Riguarderanno i nati tra il 1962 e il 1971, che potranno richiedere la propria vaccinazione attraverso la piattaforma di Poste Italiane. Chi vorrà prenotarsi potrà farlo passando attraverso l’applicazione o il sito web della Regione, oppure tramite il call center 800 894 545 e anche attraverso i postamat negli uffici postali (basterà inserire la propria tessera sanitaria nel lettore e procedere con le indicazioni) o ancora attraverso uno dei 4.100 postini dotati di smartphone per prenotare l’appuntamento. “Lunedì si aprono le prenotazioni per la fascia d’età 50-59, – scrive su Twitter la vicepresidente della Regione e assessore al Welfare Letizia Moratti – la più numerosa che riguarda circa 1,6 milioni di cittadini lombardi. Padroni del nostro destino, vacciniamoci”.

Intervenuta alla trasmissione Oggi è un altro giorno, la Moratti ha poi detto: “Stiamo raggiungendo i 4 milioni di somministrazioni. Abbiamo praticamente completato gli over 80, mancano solo quelli a domicilio, siamo al 96% della categoria degli over 70 e al 55% degli aderenti over 60. Da lunedì partono le prenotazioni per gli over 50 e da domani ripartono le prenotazioni per gli insegnanti”.

Interpellata in merito alla questione del maggior distanziamento tra la prima e la seconda dose di Pfizer e Moderna, la Moratti ha aggiunto: “Era da marzo che chiedevamo questa possibilità sulla base di evidenze scientifiche e di esperienze in altri paesi. Il piano vaccinale funziona molto bene, noi in Lombardia facciamo il 25% del totale delle vaccinazioni fatte in Italia. Abbiamo toccato le 114mila vaccinazioni al giorno, ora siamo scesi per mancanza di vaccini, ma speriamo di poter ricominciare con la capacità vaccinale che abbiamo che ci permette di arrivare fino a 144mila dosi di vaccini nei centri massivi più 30mila in aziende e farmacie”.

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Africa: nessuna ecatombe Covid, “ma senza vaccini si rischiano nuove varianti. Se non si immunizza tutto il mondo, nessuno si salva”

L’Africa rischia di essere travolta da contagi da Covid-19 se non saranno prese urgenti misure per evitare un disastro simile a quello “molto preoccupante” in atto in India. Parola di John Nkengasong, direttore del Centro africano di controllo e prevenzione delle malattie (Africa Cdc): “Guardiamo con totale incredulità a cosa sta accadendo in India. La situazione nel Paese è molto, molto preoccupante per il nostro continente. Si tratta di un campanello d’allarme. Dobbiamo agire ora, con decisione e tutti insieme”. L’Uganda giusto venerdì ha annunciato di aver trovato un positivo alla variante indiana dopo essere rientrato da un viaggio: nel paese risiede tra l’altro una secolare comunità indiana e ci sono stretti rapporti fra i due Paesi. In generale, stando alle cifre ufficiali dell’Africa Ccd, il continente registra il 3,1% dei contagi e il 4% circa delle morti globali. Numeri bassi. Ma la situazione indiana desta allarme. Un allarme lanciato pochi giorni fa anche da Gino Strada, sulle pagine de La Stampa: “Li abbiamo abbandonati a loro stessi. In Sudan hanno fatto i tamponi al personale sanitario. Su milletrecento medici ed infermieri i positivi erano il 70%. A Khartoum addirittura l’80%. L’Occidente è miope. Le mutazioni del virus rischiano di rendere obsoleti i vaccini. Se il virus non si ferma anche in Africa poi ce lo ritroviamo mutato in casa nostra”.

Ilfattoquotidiano.it ne ha parlato col giornalista Angelo Ferrari, autore insieme a Freddie del Curatolo di un libro appena pubblicato da Rosenberg&Sellier, La pandemia in Africa. L’ecatombe che non c’è stata. “Un anno fa – dice Ferrari – l’Oms temeva una strage, per tutta una serie di fattori fra cui la scarsità di strutture sanitarie e la mancanza di tracciamento. Tutti elementi reali. Eppure, la previsione non si è avverata”. Ferrari ricorda che “a oggi, i dati ufficiali dell’Africa CDC parlano di 87mila decessi su quasi un miliardo e trecentomila persone”, ma si tratta di “numeri che ovviamente non rispecchiano la realtà, poiché il tracciamento è insufficiente. Di certo il virus è circolato e circola più di quanto sia documentato, ma non in forma grave. Se ci fosse stato un aumento esponenziale dei morti, sarebbe stato impossibile non vederlo, come accade ora in India: ospedali al collasso, obitori pieni. E questo non è avvenuto”. Ferrari precisa però che nella seconda ondata, c’è stato “un forte aumento del numero dei casi, ma circa l’80% era asintomatico. Il Paese più colpito è stato il Sudafrica, con 43mila morti su 57 milioni di abitanti: da solo, metà dei decessi dell’intero continente. Poi Egitto e Marocco: tutti Stati con forti contatti con l’estero”.

Ma per quali motivi l’ecatombe non c’è stata? Si ipotizzava che potesse dipendere dal clima caldo. Ma a smentirlo sono arrivati prima il dramma brasiliano e ora quello indiano. Lo scorso ottobre Nature pubblicava uno studio che poneva in correlazione le forme gravi di Covid con alcuni geni ereditati dai Neanderthal. Una sequenza genetica presente nel dna di circa la metà degli abitanti dell’Asia meridionale, nel 16 per cento degli europei e praticamente assente in Africa. “Al di là di questo, non esistono altri studi mirati – spiega Ferrari – ma possono esserci anche altre spiegazioni o magari delle concause: anzitutto, una struttura demografica con il 60 per cento di popolazione sotto i 25 anni e solo un 3 sopra i 65. Poi le minori connessioni con l’estero. La vita all’aperto. O ancora la minore diffusione di obesità e diabete, fattori di rischio. O un sistema immunitario già allenato, con una migliore capacità di reagire alle infiammazioni. Un’altra ipotesi lega la resistenza al Covid all’alto tasso di vaccinazioni contro la tubercolosi che ancora si effettuano”.

Pur nella fragilità dei sistemi sanitari la situazione endemica di tante malattie ha portato a una buona capacità di contrasto alle epidemie: con ebola si erano già attrezzati diversi aeroporti con termoscanner e si era imparata la gestione di norme igieniche e isolamento. “Secondo la classificazione del Lowy Institute, un think tank australiano che ha pubblicato il Covid performance index, il Rwanda sarebbe primo in Africa e sesto al mondo nella gestione della pandemia, seguito da Togo e Tunisia. Nella statistica stilata da Foreign Policy, invece, al secondo posto mondiale figura il Senegal. Ci sono Paesi che hanno governato in modo oculato la pandemia, con lockdown (anche se ben diversi dai nostri), il divieto di cerimonie funebri e religiose, la chiusura di chiese e moschee, la sospensione dei voli. Proprio ieri il Kenya ha bloccato i voli per l’India, nonostante sia un partner molto importante”.

Se la pandemia non ha prodotto un eccesso di mortalità, ha causato però altri problemi: “Si è rivelata un’ottima scusa per i regimi autoritari – spiega Ferrari – uno strumento di potere utile per imporre regole ferree, lockdown, divieto di manifestare. Altri paesi invece, come la Tanzania o il Burundi, hanno rifiutato la pandemia. Il presidente Magufuli aveva dichiarato la Tanzania covid free a maggio 2020, smettendo di testare la popolazione. Lo stesso è accaduto in Burundi con Nkurunziza: ora i due presidenti sono morti (si vocifera di covid, anche se ufficialmente non verrà mai detto) e i loro successori hanno cambiato la gestione sanitaria”.

La pandemia ha poi sferrato un colpo potentissimo alle fragili economie africane: “Il 2020 ha registrato una contrazione del pil del 2%, la prima recessione degli ultimi 25 anni. Il 2021 per l’Africa subsahariana dovrebbe vedere un rimbalzo del 3-4%, ma secondo l’economic outlook del Fmi servirà fino al 2025 per tornare al livello di prima”. E poi c’è il nodo vaccini: “Lo stesso Fmi indica la campagna di immunizzazione come chiave per uscire da questa situazione: il limite d’accesso ai vaccini infatti non è solo un problema sanitario, ma frena anche la ripresa economica. Il meccanismo dell’Oms chiamato Covax, che distribuisce vaccini ai paesi in via di sviluppo, funziona, ma non a sufficienza: le dosi disponibili sono troppo poche. Ed è fondamentale capire che se non si vaccina tutto il mondo, nessuno si salva. Il sovranismo vaccinale è un problema serio: secondo molti studi, l’immunità di gregge in Africa si raggiungerà forse nel 2024/25. Intanto il virus circola, molto spesso tra asintomatici, e può diventare endemico, col rischio che si sviluppino nuove varianti che potrebbero compromettere tutta la campagna vaccinale. A scanso di equivoci: il virus non arriva sui barconi. I pochi che sopravvivono alla traversata vengono rigorosamente testati e messi in quarantena. Il virus ha circolato e circola nelle classi benestanti, in chi ha contatti politici o d’affari con l’Europa.”

Ferrari pone infine l’accento su un altro tema delicato: “Il vaccino viene usato come arma diplomatica: Cina e Russia hanno spinto molto su Sinovac e Sputnik, che vengono somministrati in diversi paesi africani. È la diplomazia dei vaccini, che serve a rafforzare anche il potere di Pechino e Mosca nel continente africano. L’Occidente deve fare uno sforzo di solidarietà serio”.

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Per Draghi i vaccini agli psicologi non sono una priorità, ma è stato lui a non definire le fasce

di Federico Zanon*

Banalizzando. Questo l’incipit dell’intervento del presidente Draghi sugli psicologi che avrebbero saltato la fila delle vaccinazioni. Ed effettivamente è stata una banalizzazione grossolana e gratuita, quella di Draghi. Che non ci si aspetterebbe da un Presidente del Consiglio che conosca le situazioni di cui parla.

Non si può prendere ad esempio negativo una sola categoria professionale sanitaria, quando il sistema intero fa acqua. Il piano vaccinale in vigore testimonia un errore di programmazione del governo, che ha dato luogo ad applicazioni distorte delle priorità vaccinali da parte delle Regioni e delle Asl.

L’Oms aveva dato precise linee guida per le priorità vaccinali per gli operatori sanitari, contenute in questo documento che l’Italia ha totalmente disatteso nel suo piano vaccinale. Secondo le indicazioni dell’Oms, gli operatori sanitari avrebbero dovuto essere ripartiti all’interno del piano vaccinale insieme al resto della popolazione, secondo fasce di priorità in base a quattro livelli di rischio: low, medium, high, very high. Invece, il governo ha scelto di adottare la definizione unica di “operatore sanitario in prima linea”, una dizione non tecnica e non giuridica che non qualifica nulla. E che quindi ha finito per comprendere tutti.

Non è peraltro nemmeno una questione di categorie professionali. Molti psicologi, per l’effettiva attività che svolgono, potrebbero tranquillamente essere più a rischio di un infermiere o di un medico. Ma non lo sapremo mai, perché il piano vaccinale italiano non prevede una valutazione del rischio effettivo degli operatori sanitari. Anche le categorie professionali hanno avuto, però, il loro margine di responsabilità. Da parte di molte professioni, sanitarie e non sanitarie, ci sono state pressioni sulle Regioni e sul governo per essere incluse in priorità nelle vaccinazioni. Ma queste pressioni hanno attecchito su una mancanza di chiarezza delle regole a monte, che avrebbe dovuto essere gestita dal governo.

Sotto a tutto questo, schiacciati fra la pandemia e le difficoltà di lavoro, ci sono i singoli professionisti. Certo qualcuno ne avrà approfittato. Ma la maggior parte dei professionisti ha semplicemente risposto a una chiamata della propria Asl, anche per effetto della recente – e giusta – introduzione dell’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie, che a questo punto non hanno più avuto scelta. Ma anche questo provvedimento non ha migliorato le cose, perché ancora una volta si è persa l’occasione di chiarire che obbligo non significa priorità, e di stabilire una volta per tutte una chiara scala di priorità in base al rischio e non per categorie professionali.

Nella migliore tradizione, di questa situazione ora è colpa di tutti e di nessuno. E l’operazione banalizzante di incolpare gli psicologi è la prova dell’incapacità di trovare vere responsabilità e vere soluzioni. Sono andati in priorità 1,4 milioni di presunti ‘operatori sanitari in prima linea’. Presunti, perché nessuno si è mai preoccupato di verificarne l’effettivo livello di rischio. Ma è ovvio che non possono esserci 1,4 milioni di sanitari in prima linea. I dipendenti dell’intero sistema sanitario nazionale sono in tutto 600mila. Anche aggiungendo liberi professionisti, precari e chiunque vogliamo, sono comunque in priorità vaccinale 800mila persone in più di tutti gli occupati del SSN intero.

È evidente che qualcosa non torna. E a non far tornare i conti non sono certo i 111.000 psicologi italiani, dei quali molti non ancora vaccinati e molti altri vaccinati con il vaccino AstraZeneca, che fino a pochi giorni fa era comunque interdetto agli over 60. Draghi se la prende con gli psicologi, ma qui è tutto il sistema da rivedere. Gli psicologi hanno semplicemente cercato di seguire le regole, stare nel contesto, e proteggere i propri assistiti.

*Psicologo, vicepresidente ENPAP

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AstraZeneca, l’epidemiologa Siliquini: “Lo stop è giusto, ma ora dare risposte in brevissimo tempo. Sennò i piani vaccinali sono a rischio”

“Fermare tutto è la decisione giusta, posto che la riserva sia sciolta in brevissimo tempo. Sennò qui salta tutto”. Dove “tutto” sono 40 milioni di dosi acquistate dall’Italia, ma non solo. A rischiare sono il piano nazionale dei vaccini e quello europeo. A parlare così l’epidemiologa Roberta Siliquini, docente di Igiene al dipartimento di Scienze della Sanità pubblica e pediatriche dell’Università di Torino, già presidente del Consiglio superiore di Sanità, ruolo che ora ricopre Franco Locatelli. L’esperta ribadisce che non ci sono dati per sostenere una correlazione tra vaccino AstraZeneca e decessi, ma che la decisione presa da Aifa – in accordo e intesa altri Paesi come la Germania, Francia e Spagna – di interrompere cautelativamente la somministrazione abbia molto senso: “L’intero piano di vaccinazione rischia di saltare, a livello non solo nazionale: sia qualora venisse confermata l’ipotesi, davvero molto remota, di un qualche collegamento, sia in quella che il semplice timore spinga la gente a rifuggire dal vaccino. Mi sembra che la risposta delle autorità sia la decisione giusta, posto che la riserva sia sciolta in brevissimo tempo”.

Brevissimo significa che il comitato per la sicurezza dell’Ema (il Prac) esaminerà ulteriormente le informazioni nella giornata di martedì e ha convocato una riunione straordinaria giovedì 18 marzo per concludere le informazioni raccolte e qualsiasi ulteriore azione che potrebbe essere necessaria. Ma intanto la decisione spaventa. Da che è uscita la notizia il sito di Aifa è stato preso d’assalto con tanto di blocco, i cellulari degli epidemiologi sono roventi: “Ricevo telefonate su telefonate e ripeto la stessa cosa: la decisione non deve terrorizzare ma semmai rasserenare, nel senso che è volta a garantire alla popolazione un approccio più sereno alla profilassi”. Siliquini parla di una decisione “non semplice, senz’altro sofferta”, ma “indotta dalla necessità di fare chiarezza una volta per tutte con i cittadini. D’altronde in questi giorni abbiamo visto il numero di disdette e la paura che stava crescendo nella popolazione, credo sia stata una decisione saggia mettere un punto fermo per poi poter dire: ‘Abbiamo controllato e il vaccino è sicuro’”.

Professoressa Siliquini, ci scommetterebbe? Il Nas dei carabinieri, su ordine della procura di Biella, ha sequestrato – sempre in via cautelativa – quasi 400mila dosi di un altro lotto. Al momento non è stato stabilito alcuna correlazione tra la somministrazione del vaccino e gli effetti avversi. Si sente di escluderla anche lei?
Non sono Ema né Aifa ma ricevo anche io i dati come tanti colleghi. E parlano di pochissimi casi su 17 milioni di dosi somministrate. Dunque pochissimi per sostenere un qualche legame causa-effetto, posto che i lotti sospetti sono stati subito ritirati dal mercato. Va anche detto che il tempo ci dà ulteriore conforto: è passato diverso tempo dalle ultime somministrazioni, effetti nocivi su altri soggetti sarebbero dovuti già emergere.

Resta la contraddizione. Fino a ieri l’Aifa sosteneva che bisognasse fermare la campagna di terrore mediatico, oggi ferma il vaccino. Il cittadino potrebbe non capire o esserne quantomeno disorientato.
Certo, questo è un guaio ma è anche comprensibile, il regolatore sembra schizofrenico. In realtà, come detto, penso che la decisione non sia affatto motivata da dubbi ma dalla necessità di diradarli più convintamente che mai, proprio per evitare i danni che già si sono visti con certi titoli di giornale che hanno diffuso panico e timore.

Cosa dice a chi ha fatto il vaccino sviluppato da Oxford che ora viene cautelativamente sospeso?
Uso quella parola: cautelativamente significa che è stata una scelta presa a maggior tutela della popolazione, non perché ci sono dati che gli vengono tenuti nascosti che indichino un maggior pericolo. Si vuole evitare il panico a ragion veduta. Ma le dico anche che ho parenti e amici che mi chiamano da giorni e con la notizia dello stop il mio telefono squilla di continuo. Cosa dico loro? Che ho una persona molto vicina a me vaccinata con Astra e gli dico di dormire sonni tranquillissimi.

Che titoli si aspetta domani, quali reazioni?
Visti quelli dei giorni scorsi sono preoccupata, alcuni apparsi su giornali nazionali hanno avuto effetti devastanti sulla popolazione. Posto che poi i titoli dicevano una cosa e gli articoli un’altra. Ma la gente ai titoli si ferma. Ecco io credo, anzi sono fiduciosa diciamo così, che lo stop cautelativo con indicazione a sciogliere domani stesso la riserva sia volto a fermarli per riportare la questione a dati oggettivi e scientifici.

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Macron: “L’Italia ha bisogno di stabilità e Recovery Fund. Esprimo il mio sostegno a Mattarella”

Parla di pandemiama tace sull’ipotesi di un terzo lockdown in Francia -, del caso Regeni e della discussa consegna della Legione d’onore al generale Al Sisi, ma si esprime anche sulla crisi politica italiana, che segue da vicino. E il presidente francese Emmanuel Macron, in un colloquio con un gruppo di giornalisti della stampa estera, tra cui La Repubblica, sottolinea come l’Italia ora abbia bisogno di stabilità e del Recovery Fund. “Ci sono molte crisi politiche in Europa in questo momento. Penso che tutto sia legato alla tensione che le pandemie creano sulle società – spiega -. Esprimo il mio sostegno e la mia amicizia al presidente Mattarella, che ancora una volta avrà un ruolo molto importante nelle prossime ore e nei prossimi giorni per trovare un equilibrio politico”.

Positivo il giudizio del presidente francese sul premier Conte, perché ritiene “abbia fatto bene a fare tutto il possibile per far funzionare il Recovery Fund. Spero sinceramente che la soluzione venga trovata presto e che l’Italia possa beneficiare del Recovery. So che il presidente Mattarella ha un reale desiderio che l’Italia benefici al più presto dei fondi europei”. Rispetto al caso AstraZeneca, il cui vaccino approvato ieri dall’Ema è nel mirino per il taglio delle forniture e l’efficacia sugli over 65 e le varianti di Sars-Cov-2, Macron dichiara di sostenere “l’azione della Commissione per verificare che non ci possano essere impegni contrattuali rivisti alla luce della pressione di altri Paesi”. E aggiunge, anche alla luce della raccomandazione della Germania che indica la somministrazione del farmaco solo agli under 65, che “se mi forniscono un vaccino che funziona molto bene per le persone sotto i 55 anni è fantastico a lungo termine, ma non era esattamente quello che avevamo previsto sulla tabella di marcia”. Ma sulla presunta inefficacia del vaccino sugli over 65 intervengono l’ad (francese) di AstraZeneca, Pascal Soriot, e Andrew Pollard dell’università di Oxford che parlano di “un equivoco” da parte del presidente francese. Entrambi hanno notato che vi sono meno dati per ora sull’effetto del vaccino sugli anziani, ma che tutti i dati disponibili accreditano comunque una protezione immunitaria del tutto analoga ai più giovani. Soriot ha indirettamente smentito Macron pure sui dubbi contro un intervallo fra prima dose e richiamo allungato oltre un mese.

Lasciando da parte il tema vaccini, Macron parla inoltre del primo contatto col presidente americano Joe Biden, e dice di avergli parlato anche di cosa intenda per autonomia europea: “Non significa che vogliamo sciogliere le alleanze ma essere un partner credibile e autonomo”. Nel colloquio con la stampa estera il presidente francese discute anche del Caso Regeni. Rispetto alle polemiche in Italia sulla consegna della Gran Croce della Legione d’Onore al presidente egiziano Al Sisi, precisa che “bisogna vedere che cos’ è la Legione d’Onore per un leader straniero e la storia dietro questa onorificenza. Tutto questo è perfettamente spiegabile, in un quadro totalmente trasparente perché il presidente Sisi è anche un alleato contro il terrorismo“. E “quando abbiamo dovuto discutere con l’Italia della liberazione dei pescatori in Libia, Sisi ci ha aiutato per convincere Haftar“. Il presidente francese comunque si mostra consapevole del contrasto fra le autorità egiziane e italiane sul caso: “Sto continuando il lavoro – precisa – e mi impegno a chiarire questioni delicate per i nostri amici europei”.

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