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Vaticano, inizia il processo per gli investimenti immobiliari a Londra. Davanti al giudice il cardinale Becciu e altri nove accusati

In Vaticano è già stato ribattezzato il maxiprocesso. Quello che inizia oggi, 27 luglio, è sicuramente il processo penale più importante del pontificato di Papa Francesco. Non solo per il numero consistente e inedito per la Santa Sede di rinviati a giudizio, che sono dieci. Ma perché tra essi ci sono figure di spicco della governance dello Stato più piccolo del mondo. Nomi emersi durante le indagini dei pm vaticani sull’acquisto del palazzo di Londra, al numero 60 di Sloane Avenue, da parte della Segreteria di Stato.

Tra questi spicca il cardinale Angelo Becciu processato per i reati di peculato e abuso d’ufficio anche in concorso, nonché di subornazione (offerta o promessa di denaro ad un testimone o perito, ndr). Una decisione che non ha precedenti nella storia recente del Vaticano. Il provvedimento dei magistrati d’Oltretevere è arrivato nove mesi dopo la defenestrazione del porporato dal ruolo di prefetto della Congregazione delle cause dei santi, decisa da Francesco, a cui il Pontefice ha tolto anche i diritti connessi al cardinalato. Una scelta che Bergoglio aveva preso quando i pm vaticani lo avevano informato che nelle indagini era emerso anche il ruolo dell’allora sostituto della Segreteria di Stato, Becciu.

Per rinviare a giudizio il porporato è stato necessario l’ok del Papa, secondo la nuova normativa introdotta recentemente proprio da Francesco. Bergoglio ha, infatti, modificato la legge sull’ordinamento giudiziario, da lui stesso emanata dodici mesi prima, stabilendo che anche i cardinali e i vescovi devono essere giudicati dal Tribunale Vaticano, ovvero da laici, previo assenso del Pontefice. Precedentemente, solo la Cassazione era competente, sempre previo assenso del Papa, a giudicare i cardinali e i vescovi nelle cause penali. Bergoglio ha così abolito quello che tecnicamente viene chiamato “giudizio tra pari”. La Corte di Cassazione, infatti, è costituita dal prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, attualmente il cardinale Dominique Mamberti, che assume le funzioni di presidente, da altri due porporati membri del medesimo dicastero designati dal presidente per un triennio, nonché da due o più giudici applicati anch’essi nominati per un triennio.

Oltre a Becciu, che ha sempre contestato ogni accusa, sono stati rinviati a giudizio “personale ecclesiastico e laico della Segreteria di Stato e figure apicali dell’allora Autorità di Informazione Finanziaria, nonché personaggi esterni, attivi nel mondo della finanza internazionale”, come ha precisato il Vaticano. Essi sono: René Brülhart per abuso d’ufficio; monsignor Mauro Carlino per estorsione e abuso di ufficio; Enrico Crasso per peculato, corruzione, estorsione, riciclaggio e autoriciclaggio, truffa, abuso d’ufficio, falso materiale di atto pubblico commesso dal privato e falso in scrittura privata; Tommaso Di Ruzza per peculato, abuso d’ufficio e violazione del segreto d’ufficio; Cecilia Marogna per peculato; Raffaele Mincione per peculato, truffa, abuso d’ufficio, appropriazione indebita e autoriciclaggio; Nicola Squillace per truffa, appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio; Fabrizio Tirabassi per corruzione, estorsione, peculato, truffa e abuso d’ufficio; e Gianluigi Torzi per estorsione, peculato, truffa, appropriazione indebita, riciclaggio e autoriciclaggio.

La Segreteria di Stato, individuata come “persona offesa” insieme all’Istituto per le opere di religione, si è costituita parte civile affidando la propria tutela legale nel processo all’ex ministro della Giustizia, Paola Severino. La Santa Sede ha precisato, inoltre, che “le attività istruttorie, svolte anche con commissioni rogatoriali in numerosi altri paesi stranieri (Emirati Arabi Uniti, Gran Bretagna, Jersey, Lussemburgo, Slovenia, Svizzera), hanno consentito di portare alla luce una vasta rete di relazioni con operatori dei mercati finanziari che hanno generato consistenti perdite per le finanze vaticane, avendo attinto anche alle risorse, destinate alle opere di carità personale del Santo Padre. L’iniziativa giudiziaria è direttamente collegabile alle indicazioni e alle riforme di Papa Francesco, nell’opera di trasparenza e risanamento delle finanze vaticane; opera che, secondo l’ipotesi accusatoria, è stata contrastata da attività speculative illecite e pregiudizievoli sul piano reputazionale nei termini indicati nella richiesta di citazione a giudizio”. Un maxiprocesso che si preannuncia molto lungo e non privo di numerosi colpi di scena.

@FrancescoGrana

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Becciu, revocato l’incarico al legale dopo il caso delle sue foto in costume

A pochi giorni dall’esplosione del caso di monsignor Becciu, a cui Papa Francesco ha chiesto di dimettersi dopo le accuse di aver usato fondi vaticani per favorire i fratelli, la famiglia del cardinale ha deciso di revocare l’incarico di difenderlo all’avvocato Ivano Iai. In base a quanto riportato dal Corriere della Sera, il licenziamento è dovuto a una serie di fotografie che il legale ha pubblicato sul suo account Instagram privato in cui è ritratto al mare con un costume da bagno. Scatti, poi diffusi dal sito Dagospia, che avrebbero messo il porporato e la sua famiglia in imbarazzo.

“Con molto dolore – si legge in un comunicato diffuso da Iai e riportato dal quotidiano di via Solferino – comunico di aver rinunciato al mandato conferitomi dalla famiglia Becciu che mi ha onorato della sua fiducia e del suo affetto non comuni. Mi rattrista aver dovuto essere causa di ulteriore afflizione che si aggiunge ai patimenti ingiusti subiti in questi giorni da Sua Eminenza il Cardinal Becciu e dai Suoi Familiari – esempi di onestà e correttezza non comuni – e degni di avere accanto la migliore difesa in una vicenda tanto complessa”. L’annuncio arriva dopo che proprio ieri l’avvocato aveva presentato due denunce per diffamazione e calunnia per conto della famiglia del cardinale.

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Papa Francesco pensiona Becciu: resterà cardinale ma senza più diritti. Era finito nell’inchiesta sul palazzo di lusso a Londra

Un fulmine a ciel sereno si abbatte sul Vaticano. “Oggi, giovedì 24 settembre, – si legge in un bollettino della Sala Stampa della Santa Sede – il Santo Padre ha accettato la rinuncia dalla carica di prefetto della Congregazione delle cause dei santi e dai diritti connessi al cardinalato, presentata da Sua Eminenza il cardinale Giovanni Angelo Becciu”. Una decisione che ha lasciato sconcerto nella Curia romana anche perché, fino al momento della sua pubblicazione, non era filtrato nulla dai sacri palazzi che facesse presagire un provvedimento così duro da parte del Papa. Nemmeno il diretto interessato immaginava un epilogo così burrascoso a poche ore dalla decisione di Bergoglio. “Preferisco il silenzio” è l’unico commento rilasciato da Becciu ai media al termine di quella che viene definita come “un’udienza choc” con Papa Francesco. Chi ha potuto sentirlo, subito dopo la pubblicazione dell’accettazione da parte di Bergoglio delle sue dimissioni, descrive un uomo profondamente rattristato per lo sconcertante epilogo della vicenda che lo ha visto protagonista. A quanto apprende ilfattoquotidiano.it, Becciu resta cardinale, ma senza i diritti connessi alla carica. Ovvero non potrà più entrare in un eventuale conclave ed eleggere il Papa, né essere membro dei dicasteri della Curia romana. Come avviene ai porporati che hanno compiuto 80 anni e perdono automaticamente il diritto di votare il nuovo Pontefice e decadono dai loro incarichi in Vaticano.

Becciu era finito nel mirino dell’inchiesta sull’immobile di lusso acquistato dalla Santa Sede a Londra, per un valore di oltre 200 milioni di euro, quando era sostituto alla Segreteria di Stato, ovvero “ministro dell’Interno” vaticano. Il cardinale si è sempre difeso respingendo ogni accusa e ribadendo che neanche un centesimo dell’Obolo di San Pietro era stato adoperato per l’acquisto dell’immobile e che il palazzo si era “molto rivalutato dopo la Brexit”, sostenendo fosse stato un buon investimento per il Vaticano. Aveva, infine, più volte ribadito di non essere mai stato indagato dal magistrati della Santa Sede e di essere sempre stato autorizzato a procedere dai suoi superiori. Riferimento chiaro al Papa e al cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin. Nell’inchiesta vengono prima sospesi e poi licenziati cinque funzionari vaticani tra cui l’ex direttore dell’Autorità d’informazione finanziaria della Santa Sede, Tommaso Di Ruzza, e monsignor Mauro Carlino, che era stato da poco nominato da Francesco capo ufficio informazione e documentazione della Segreteria di Stato, ma che precedentemente era stato segretario di Becciu quando quest’ultimo era sostituto.

Un provvedimento analogo a quello preso da Bergoglio nei confronti di Becciu risale al 2015 e fu assunto dallo stesso Pontefice nei confronti di Keith Michael Patrick O’Brien, il “cardinale molestatore”. In quel caso, Bergoglio accettò “la rinuncia ai diritti e alle prerogative del cardinalato presentata, al termine di un lungo itinerario di preghiera dal cardinale O’Brien”. Diverso e molto più duro fu, invece, il provvedimento contro Theodore McCarrick a cui il Papa prima tolse il cardinalato e poi lo ridusse allo stato laicale a causa dei suoi gravissimi reati di pedofilia. Prima di Bergoglio, l’ultimo Pontefice che aveva tolto la porpora a un cardinale era stato Pio XI. Papa Ratti, nel 1927, tolse la berretta rossa a Louis Billot che aveva pubblicamente solidarizzato con una rivista francese già oggetto di una censura da parte del vescovo di Roma. Ma in quel caso il provvedimento pontificio era stato dettato da motivi politici.

Becciu è da sempre considerato un uomo molto vicino e fedele a Papa Francesco. Quando l’allora cardinale arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, fu eletto 266esimo successore di Pietro, il 13 marzo 2013, si trovò proprio Becciu, allora sostituto della Segreteria di Stato, quale principale collaboratore. Un idillio che fu suggellato dalla porpora che Francesco volle conferire a Becciu il 28 giugno 2018, anticipandogli confidenzialmente qualche giorno prima questa sua decisione, e nominandolo prefetto della Congregazione delle cause dei santi. Precedentemente, il Papa aveva nominato Becciu anche delegato speciale presso il Sovrano Militare Ordine di Malta dopo il vero e proprio colpo di Stato messo in atto dai vertici di questo antico organismo.

Nato a Pattada, in provincia di Sassari, il 2 giugno 1948, Becciu è stato ordinato sacerdote il 27 agosto 1972 e si è incardinato nella diocesi di Ozieri. Dopo essersi laureato in diritto canonico, è entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede il 1° maggio 1984 e ha prestato la propria opera successivamente presso le rappresentanze pontificie in Repubblica Centroafricana, Sudan, Nuova Zelanda, Liberia, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti d’America. Il 15 ottobre 2001 San Giovanni Paolo II lo ha nominato nunzio apostolico in Angola. Il 15 novembre dello stesso anno Wojtyla lo ha nominato anche nunzio apostolico in São Tomé e Principe. Il 1° dicembre 2001 venne ordinato arcivescovo dall’allora cardinale Segretario di Stato, Angelo Sodano. Il 23 luglio 2009 Benedetto XVI lo ha nominato nunzio apostolico a Cuba. Il 10 maggio 2011 è sempre Ratzinger a sceglierlo come sostituto per gli affari generali della Segreteria di Stato. Il 15 giugno dello stesso anno venne anche nominato consultore della Congregazione per la dottrina della fede. Una volta ricevuta la berretta rossa da Bergoglio, il Papa lo nominò anche membro della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.

Twitter: @FrancescoGrana

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Roma capitale d’Italia compie 150 anni. Ma sembra che nessuno voglia festeggiare

Il 20 settembre del 1870 è una data di importanza eccezionale per l’Italia e per il Vaticano: in quel giorno cessa il millenario potere temporale dei Papi e Roma diventa la Capitale dell’Italia, finalmente unificata. A quell’epoca la città ha due facce ben distinte: da un lato il Vaticano e la nobiltà papalina, con i suoi sfarzosi palazzi; dall’altro un popolo miserabile e turbolento, con i bambini a disposizione dei ricchi pedofili che vengono da tutta Europa per soddisfare a poco prezzo i loro vizi. Ne parla Goethe nel suo Viaggio in Italia; lo ha ricordato di recente Gian Antonio Stella nel suo splendido L’orda.

Fra i tanti Stati in cui è divisa l’Italia, nel 1870 il Vaticano è l’unico a non avere ancora abolito la pena di morte, che pratica spesso: una lapide in piazza del Popolo ricorda i due anarchici Angelo Targhini e Leonida Montanari, decapitati sul posto dal famoso boia Mastro Titta. Fra il 1796 e il 1870 si contano, fra impiccagioni, decapitazioni e talvolta (per variare) squartamenti, 527 esecuzioni. La pena di morte resterà in vigore – anche se limitata al reato di uccisione del Papa – fino al febbraio del 2001, quando Giovanni Paolo II la cancellerà dalla “Legge Fondamentale” (l’equivalente della nostra Costituzione).

Dopo la presa di Roma, comincia una faticosa convivenza, regolata dalla Legge delle Guarentigie, varata dal governo italiano nel maggio del 1871, con la quale lo Stato garantisce al Papa l’inviolabilità della persona, il conferimento degli onori sovrani, la possibilità di mantenere guardie armate al proprio servizio, il possesso dei “sacri palazzi” ; assicura la extraterritorialità del Vaticano; si fa carico (con uno stanziamento annuale di 3.225.000 lire) delle spese di mantenimento della corte papale. Nonostante le molteplici aperture e concessioni operate dallo Stato, la Chiesa oppose un rifiuto sdegnato della legge (che, a parere del pontefice, garantiva solo “futili privilegi e immunità”).

Penso siano note a tutti le generosissime concessioni fatte al Vaticano da Mussolini (ansioso di conquistarsi il favore dei cattolici) con il Concordato del 1929, solo in parte ridotte con la revisione del 1984 (Craxi-Casaroli), così come è noto, almeno per sommi capi, il meccanismo di ripartizione dell’otto per mille, che assicura alla Chiesa Cattolica un indebito vantaggio di qualche miliardo l’anno.

Credo invece che pochi sappiano che ancora oggi lo Stato italiano si fa carico di amministrare 360 chiese, fra cui alcune fra le più celebri e fastose, da San Giovanni e Santa Maria del Popolo a Roma, Santa Chiara e San Domenico Maggiore a Napoli e molte altre in tutta Italia. Comprese tutte le opere d’arte presenti nelle chiese. La missione affidata al Fondo edifici di culto (Fec), gestito dal Ministero degli Interni, è quella di assicurare la tutela, la valorizzazione, la conservazione e il restauro dei beni, poi utilizzati dalla Chiesa Cattolica per le proprie esigenze di culto. Con un costo per lo Stato di cui non è facile conoscere l’entità.

La generosità dei nostri governanti nei confronti della Chiesa è stata clamorosamente confermata di recente, dopo la sentenza della Corte di giustizia europea del novembre 2018 che ha ingiunto allo Stato italiano di reclamare dal Vaticano i 4 o 5 miliardi (stima Anci) di Ici arretrato. Nemmeno in tempi di Covid – mentre da un lato l’Italia annaspa per fronteggiare le conseguenze economiche della pandemia e dall’altro papa Bergoglio assicura di voler aiutare “la cara Italia” – risulta che il nostro ministro dell’Economia non abbia osato bussare alle porte di San Pietro per chiedere che si dia “a Cesare quel che è di Cesare”. Rischiando così una ennesima procedura di infrazione per l’Italia.

Del resto, c’è poco da aspettarsi da una classe politica (con poche distinzioni fra partiti) che da sempre sopporta le invasioni di campo del Vaticano negli affari interni del nostro Stato. E lo fa con una arroganza che non tiene conto della rapidissima secolarizzazione della società italiana, così sintetizzata nell’ultimo rapporto annuale dell’Eurispes: fra quanti si dicono genericamente “cattolici”, il 25,4% è praticante, il 45,7% non praticante. Se poi si guarda alla percentuale dei giovanissimi, si scende al 13,5%. In prospettiva, una religione destinata alla irrilevanza se non in via di estinzione.

Per tutte queste ragioni la ricorrenza del prossimo 20 settembre, quest’anno, meriterebbe di essere celebrata con particolare solennità. Sembrava convinto di ciò anche il governo, che aveva dato vita ad un Comitato di esperti incaricato di stendere un calendario di eventi per la storica ricorrenza.

E invece proprio in questi giorni lo stesso governo – dovendo fissare una data a settembre per le elezioni regionali – ha scelto, fra le 4 domeniche disponibili, proprio la domenica 20 settembre (e il successivo lunedì mattina). E’ vero che nel Lazio non si voterà, ma è certo che l’attenzione politica e giornalistica sarà tutta concentrata sull’andamento e sui risultati delle elezioni, che potranno significare anche la sopravvivenza o la fine del debole governo in carica, con tutto quanto ne conseguirebbe.

Senza voler fare della “dietrologia”, è inevitabile chiedersi se si è trattato di un incredibile errore politico o se dietro questa scelta ingiustificata e ingiustificabile non vi sono le pressioni del mondo cattolico per distogliere l’attenzione degli italiani da quello che resterà sempre un giorno di lutto per il potere pontificio e di festa per il mondo laico. Anche per questo il 20 settembre, a Porta Pia, dovremo essere in tanti.

Ps. Ho chiesto alla Associazione Luca Coscioni, di cui sono un assiduo collaboratore da molti anni, di prendere posizione contro questa stolta decisione del Governo. Già il suo nome – “Associazione Luca Coscioni per la libertà della ricerca scientifica”- giustificherebbe in pieno una contrapposizione con quella Chiesa che ha messo al rogo Giordano Bruno e ha processato Galileo Galilei (ma anche ai nostri giorni, non potendo ricorrere a rogo e processi, ostacola in ogni modo la ricerca scientifica in campo medico: basti ricordare la guerra di Ruini contro la procreazione medicalmente assistita, che ha portato l’Italia al paradosso di un pazzesco referendum).

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