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Rai, il Cda vara il nuovo modello organizzativo “per generi”: dieci Direzioni produrranno i contenuti per tutti i canali e le piattaforme

Il Consiglio d’amministrazione della Rai, riunito sotto la presidenza di Marinella Soldi, ha deliberato all’unanimità la transizione al modello organizzativo “orizzontaleper generi al posto di quello “verticale” – in vigore da quarant’anni – in cui ciascuna rete si occupa dei propri palinsesti. Il Cda ha dato mandato all’amministratore delegato Carlo Fuortes di procedere alla sua attuazione. Verranno istituite – comunica l’azienda di servizio pubblico radiotelevisivo – dieci Direzioni di genere che dovranno produrre contenuti per i canali Rai Uno, Due e Tre, per la piattaforma digitale Rai Play e per i canali specializzati, declinandoli a seconda dei diversi pubblici e dei profili editoriali dei canali e piattaforme digitali. Le dieci strutture si occuperanno rispettivamente di “intrattenimento prime time“, “intrattenimento day time”, “cultura ed educational“, “documentari”, “fiction“, “sport”, “cinema”, “approfondimento“, “kids” e “contenuti RaiPlay”.

Il modello per generi, “già adottato dai principali broadcaster pubblici europei” – comunica la Rai – “costituisce un fondamentale momento di discontinuità e un punto di ripartenza ineludibile per l’azienda, accelerando il processo di trasformazione digitale quale requisito necessario al mantenimento del ruolo centrale di servizio pubblico in un contesto multipiattaforma. L’evoluzione operativa dall’attuale organizzazione verticale a quella per generi si completerà con il varo del palinsesto estivo che sarà interamente programmato dalle Direzioni di genere. L’attuazione del modello per generi – conclude il comunicato – è il primo passo del nuovo piano industriale 2022-2024 che sarà elaborato nei mesi successivi, anche nell’ambito del prossimo contratto di servizio 2023-2027 e in relazione alle risorse economiche disponibili”. La riforma organizzativa – appoggiata, tra gli altri, dalla Fnsi e dall’associazione Articolo21 per la libertà d’informazione – era già stata prevista dal piano industriale sviluppato sotto il mandato dell’ex ad Fabrizio Salini (2018-2021) per poi essere bloccata dal Cda.

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Trieste, il corteo no green pass si ferma sotto la sede Rai: “Dipendenti bloccati all’interno, insulti e lanci di bottiglie. Inaccettabile”

Almeno 10mila persone hanno sfilato, a Trieste, in segno di protesta contro le misure anti-Covid adottate dal governo, in particolare contro il green pass. Verso sera, il corteo si è fermato sotto la sede della Rai del Friuli-Venezia Giulia, bloccato dalla polizia in tenuta anti-sommossa, dove si sono registrate tensioni. “Per la terza settimana consecutiva, un corteo no greenpass è arrivato sotto la sede del TGr Friuli-Venezia Giulia, bloccando i dipendenti Rai all’interno – ha scritto il segretario nazionale dell’Usigraio, Vittorio Di Trapani – Lanci di bottiglie e insulti. Il diritto di manifestare è sacro e intangibile. Ma quanto sta accadendo è inaccettabile”.

Video Twitter/Calabrò Luigi

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Mostro di Firenze, sopralluogo high-tech nel bosco degli Scopeti che fu scena di un crimine. La questura: “Anche per un docufilm della Rai”

Sopralluogo a sorpresa della polizia scientifica nel bosco di Scopeti di San Casciano Val di Pesa (Firenze), luogo dell’ultimo omicidio attribuito al cosiddetto Mostro di Firenze, il serial killer che tra il 1968 e il 1985 insanguinò il capoluogo toscano e la sua provincia uccidendo otto giovani coppiette. A mobilitare gli investigatori non sono state solo le indagini che portarono la procura fiorentina ad attribuire quattro dei duplici omicidi a Pietro Pacciani (poi assolto in appello e morto nel 1998 prima della nuova sentenza) e ai suoi compagni di merende, ma anche esigenze “cinematografiche”: la realizzazione di un docufilm. La pellicola, targata Rai, sarà incentrata sul delitto che lì fu commesso, quello dei francesi Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili, poi ritrovati il 9 settembre 1985 da un cercatore di funghi.

Come spiegato dalla procura, le operazioni non riguardano solo la piazzola dell’omicidio, pochi metri nell’interno della campagna, tra i pini e bosco ceduo, ma anche la strada comunale, che verrà fotografata per effettuare una serie di misurazioni: potrebbe quindi essere la prima volta che le indagini scientifiche, sia pur destinate anche alla fiction, si espandono oltre la linea degli alberi, interessando un tratto di via Scopeti. Quei luoghi si sono conservati in modo quasi uguale a 36 anni fa mentre si è modificato in varie fasi il sottobosco in cui si accampò la coppia francese.

L’obiettivo dell’intervento è quindi quello di attuare una ricostruzione topografica e forestale della scena in modo da poterla riprodurre davanti alla macchina da presa nella maniera più corretta possibile anche dopo così tanto tempo. Del resto, è la stessa dinamica del crimine a presentarsi complessa: la coppia fu sorpresa in campeggio dall’assassino, che utilizzò un coltello per squarciare la tenda, sparò alla donna provocandone la morte e poi inseguì all’esterno il compagno finendolo dopo un disperato tentativo di fuga nella vegetazione. A quei gesti, seguirono poi, come da prassi del killer, mutilazioni sulla ragazza.

Nei rilievi, sono stati testati nuovi macchinari, tra cui anche un drone, insieme a nuove tecnologie in 3D in grado di rilevare particolari eventualmente ignorati dalle indagini del 1985: allora gli investigatori non disponevano della tecnologia attuale senza contare che, come documentato dalle fotografie scattate dai cronisti dell’epoca, la scena del crimine venne probabilmente inquinata dalla presenza di troppe persone. Tutto il materiale realizzato verrà inviato anche alla procura di Firenze, con la quale è stato concordato il sopralluogo, per eventuali valutazioni: è tutt’altro che escluso, quindi, che possa essere utilizzato per le indagini sui delitti.

“Come ragione di questo rinnovato interesse, sorge spontaneo il quesito se non sia quella di procedere alla rimozione della lapide in memoria delle vittime, al momento non trovando altra spiegazione visto l’orientamento costante manifestato in questi ultimi tre anni dalla procura di Firenze”, ha commentato Vieri Adriani, legale delle vittime. L’ultima fase delle indagini sul Mostro di Firenze, che vedeva indagati un ex legionario di 89 anni, Giampiero Vigilanti, e un medico di 88 anni, Francesco Caccamo, per gli otto duplici omicidi delle coppie di fidanzati, ha visto l’archiviazione di queste posizioni del novembre 2020, quando il gip ha rigettato l’istanza di opposizione all’archiviazione presentata proprio dall’avvocato Adriani. L’episodio non ha posto comunque fine del tutto alle indagini sui delitti attribuiti al Mostro. Come sottolineato anche dal gip nell’ordinanza di archiviazione, sono tutt’ora in corso da parte della procura accertamenti in relazione “al recente ed ultimo rinvenimento di una pistola Beretta calibro 22″, lo stesso tipo di arma che le perizie indicano essere stata usata per gli omicidi, trovata a gennaio scorso in una piazzola lungo la superstrada Firenze-Siena, nei pressi di Tavarnelle. E resta aperto anche un altro filone di indagine, per un presunto depistaggio.

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Nazareno Balani e le Olimpiadi in poltrona dopo 24 anni di regia Rai: da Jury Chechi agli hotel sbagliati, il racconto di chi ha fatto vedere i giochi agli italiani

Per ventiquattro anni è stato gli occhi dell’Italia alle Olimpiadi. Da Barcellona ’92 fino a Rio 2016. Senza interruzione. Non c’è emozione che non abbia catturato. Le lacrime di acqua dolce dei vincitori accanto a quelle salatissime degli sconfitti. Perché Nazareno Balani è stato molto più del regista dietro ai grandi eventi sportivi targati Rai. È stato l’uomo che ha curato la narrazione per immagini dei Giochi, che ha distillato l’essenza a 5 cerchi e l’ha fatta apparire sui nostri televisori. Ora però Balani è passato dall’altra parte dello schermo. Le immagini non le sceglie più, si limita a guardarle. Perché dopo Rio 2016 è andato in pensione. Così gli abbiamo chiesto di raccontarci le sue prime emozioni da spettatore. Ma soprattutto gli abbiamo chiesto di aprirci quel tesoro di aneddoti e curiosità che ha accumulato durante la sua incredibile carriera.

Balani, com’è il passaggio dall’altra parte dello schermo?
Sto seguendo queste Olimpiadi anche se devo dire che l’orario non è molto favorevole. Sono andato via dalla Rai, e quindi ero un po’ preparato all’idea di assistere ai Giochi da spettatore. Devo dire che mi dispiace vedere gli stadi vuoti. La regia giapponese è sempre stata “fredda”. Così però è addirittura gelida.

I giapponesi lasciano troppo poco spazio al racconto emozionale?
Sì, la loro impostazione è ipertecnologica, iperprecisa. E questo lascia poco spazio al sentimento. Le faccio un esempio: se uno arriva secondo e si mette a piangere noi favoriamo quell’immagine rispetto a quella del vincitore. Lo storyboard dei giapponesi non prevede una simile eventualità.

Rinviare queste Olimpiadi avrebbe comportato tre miliardi di perdite. Ha vinto l’economia?
Capisco la scelta. Rinviare queste Olimpiadi avrebbe danneggiato anche i prossimi Giochi. E poi c’è anche il punto di vista degli atleti: si preparano per quattro anni e se perdono questa vetrina rischiano di restare nell’anonimato. Per un atleta che gareggia negli sport che qualcuno definisce “minori” saltare un’Olimpiade può diventare un dramma in grado di condizionare tutto il futuro della sua carriera e della sua vita. E poi c’è anche un altro aspetto.

Prego
L’investimento economico fatto dal Giappone doveva essere giustificato. Le Olimpiadi sono già un bagno di sangue. Investire e poi non portarle a termine sarebbe stato uno scenario terribile.

A Tokyo 2020 è un’Olimpiade senza sovrastruttura. Basta a porre l’accento sullo sport?
Io credo che vada ripensata l’idea di Olimpiade. Nessun Paese è in grado di sostenere il costo dei Giochi. Il Brasile se li era fatti assegnare nel momento massimo del suo fulgore economico, ma li ha ospitati effettivamente proprio quando era entrato in crisi. Così ha dimostrato che si possono fare questi eventi anche risparmiando. Il Giappone invece aveva annunciato che sarebbero stati i primi Giochi senza remissioni economiche, ma visto il momento purtroppo andranno lo stesso in rosso. Pechino 2008 è stata la dimostrazione della potenza cinese e quindi non fa testo. La Grecia si è giocata quei due punti di Pil moltiplicati per gli anni a seguire. Questo elefantino non può più essere supportato. C’è questa corsa a fare sempre di più quando invece andrebbe ridimensionato anche il numero di atleti che possono partecipare. Tutto ormai è diventato complicato, un Villaggio Olimpico di queste dimensioni è ingestibile.

E invece si è andati proprio nella direzione contraria, inserendo nuove discipline
In parte è un tentativo per creare interesse da parte delle fasce più giovani, ma conta anche l’industria e la pressione che c’è intorno a queste discipline. Accreditarsi come sport olimpico dà una grande spinta alla vendita e alla diffusione dello sport. Ma credo che la maggior parte dei ragazzi che vanno sullo skateboard non ci pensino proprio alle Olimpiadi. Mentre le industrie quel pensiero ce l’hanno eccome.

Come è cambiato il linguaggio delle immagini televisive in questi trent’anni?
Guardi, le riprese delle Olimpiadi sono molto conservative. L’ultima sperimentazione è stato l’ultra motion, poi basta. Tutto è molto classico perché si deve servire ogni tipo di televisione. I Paesi arabi non vogliono inquadrature delle ragazze in un determinato modo, poi l’atletica ha la sua grammatica. Ovviamente queste necessità non possono essere ignorate, così tutto diventa molto standard. Però accanto alla ripresa per la televisione c’è quella per i social network. E qui si può trovare qualcosa di interessante. Così come nel film dell’Olimpiade, dove usano tutto quello che si discosta dal taglio tradizionale. Il Giappone è molto avanti, quindi ora sperimenterà il 7k. È un processo che ci porterà a cambiare televisore ogni tre anni.

Come si concilia la fase emozionale con la cronaca dei protagonisti dello sport?
Uno esclude l’altro. Per questo c’è la personalizzazione. Noi, come tutti gli altri grandi network, aggiungevamo delle telecamere negli stadi dove pensavamo che saremmo arrivati a medaglia, in modo da catturare le facce dei nostri atleti, le loro espressioni. Questo è fondamentale per raccontare lo sport. Pensi al quarto classificato. Nessuno se lo fila, ma in verità è un grande risultato. Sono tutte emozioni che rischiano di andare perse.

Quali sono state le Olimpiadi più difficili da raccontare?
Atlanta, senza dubbio. E per un motivo in parte aziendale: la Rai aveva sbagliato a prendere gli alberghi. O meglio, li aveva presi su una linea di metropolitana che non arrivava allo stadio. Bisognava cambiare linea, poi fare un lungo tratto a piedi. Noi arrivavamo la mattina e andavamo via la sera. Era un delirio. Poi un americano mise un tubo di esplosivo in un giardino. Non c’entrava nulla con le Olimpiadi ma quel gesto fece schizzare l’attenzione alle stelle. Muoversi era diventato difficilissimo, così come entrare o uscire dall’International Broadcasting Center. Eravamo completamente impreparati. Ma allora le Olimpiadi erano soprattutto divertimento. Ora sono diventate qualcosa di diverso.

La gara più bella che ha seguito?
L’oro di Jury Chechi ad Atlanta 1996. Lui è un personaggio straordinario. Aveva subito dei torti e non era stato zitto. La sua vittoria mi ha trasmesso una gioia incredibile. Un’altra bella vittoria è stata quella di Alex Schwazer a Pechino 2008. Ritengo che lui abbia subito un’ingiustizia incredibile: lui ha avuto il coraggio di ammettere il suo errore e ha denunciato chi lo aveva aiutato a compiere quell’errore. Ma la seconda volta, secondo me, non era dopato. Meritava di disputare un’altra Olimpiade.

La sconfitta più dolorosa?
Mi dispiaceva sempre molto per quei ragazzi che erano arrivati all’Olimpiade con un margine minimo e poi magari in qualificazione facevano tre nulli e il lavoro di quattro anni finiva lì. Capivo che per loro era un dramma. Se almeno riesci a gareggiare hai una soddisfazione. Uscire ancora prima è brutale. Per il 95% dei ragazzi il raggiungimento dei Giochi è un sogno. L’altro 5% è composto da campionissimi che sono già famosi e avranno anche altre occasioni. Per la maggior parte degli atleti non è così.

L’atleta per il quale ha tifato di più?
Ho tifato moltissimo per i nostri maratoneti. Perché erano bravi e vincere la maratona alle Olimpiadi è fantastico. Io sono molto distaccato quando lavoro. La situazione già è stressante e non ti puoi caricare sulle spalle altri problemi. Ultimamente devo dire che c’è stato un atleta che mi ha regalato una gioia. Matteo Berrettini che gioca la finale di Wimbledon. Il modo in cui è stato sconfitto, da uomo, giocandosi la partita, e il modo in cui ha accettato quel verdetto ha generato più ammirazione della vittoria dell’Italia agli Europei.

Lei che è stato i nostri occhi ci dia un ricordo per ogni Olimpiade? Iniziamo da Barcellona 1992.
Sono stati Giochi sperimentali. Per la prima volta la Rai copriva l’evento con una personalizzazione. Ma non eravamo preparati. Abbiamo fatto degli errori. Ci siamo ritrovati in spazi strettissimi con dotazioni tecniche insufficienti. La personalizzazione si fa prendendo tutti i segnali. Che sono 45. Noi a Barcellona non avevamo tutti questi schermi. Così c’era la scommessa di cercare la gara di un italiano prima che finisse. Un incubo, ma ce l’abbiamo fatta.

Atlanta 1996.
Abbiamo scoperto che al museo della Coca Cola ci sono le annate, come per i vini. Puoi chiedere di assaggiare quella del ’36, del ‘78. Era meraviglioso assistere all’assoluta stupidità della cosa, con la gente che beveva e diceva di accorgersi del sapore differente della bevanda.

Sidney 2000.
È stata un’avventura meravigliosa, un posto bellissimo. È stata l’unica volta in cui sono stato all’interno del Villaggio Olimpico. Abbiamo fatto una vita monastica perché non uscivamo mai, ma stavamo a contatto con gli atleti. È stata esperienza straordinaria. I super big vanno in albergo, dove sono super protetti. Così vedere questi ragazzi che si divertivano, che andavano a letto presto comunque, o almeno immagino, è stato bellissimo.

Atene 2004.
Nelle strade di ogni città che ospita i giochi ci sono delle corsie olimpiche riservate. Mi ricordo che i greci passavano su queste corsie in continuazione, anche se non ne avevano diritto. Venivano fermati da agenti coi fucili, ma dopo poco ricominciavano. Mi dicevo: pensa se lo facessero a Roma, se chiudessero l’Olimpica al traffico. Sai che casino? Recentemente ci ho ripensato perché queste Olimpiadi sono quelle che avremmo potuto organizzare noi, visto che eravamo candidati. A questo punto meno male che non sono andate a buon fine.

Pechino 2008.
Sono stati i Giochi della consapevolezza della grandezza dell’impero. I cinesi ti davano tutto. Anzi, te ne davano due. Se chiedevi un asciugamano ecco che te ne portavano una montagna. Serviva a farti capire che la Cina era diventata una potenza mondiale. E volevano che venisse raccontato. È stata l’Olimpiade più opulenta alla quale ho partecipato.

Londra 2012.
Noi della Rai avevamo i secondi diritti. Sky aveva duemila metri quadri di spazio. Noi 200. Abbiamo fatto un lavoro straordinario. Non abbiamo perso nulla di tutte le vittorie e le sconfitte degli italiani. E abbiamo fatto ascolti sensazionali. Sky fece un grande lavoro, anche se un po’ presuntuoso. Non si improvvisano le Olimpiadi. Noi eravamo come i vietcong nella giungla.

Rio 2016.
Un’Olimpiade povera, difficile. I brasiliani neanche potevano pensare alle corsie. Muoversi è stato difficilissimo, sono stati Giochi con riprese molto semplici ma efficaci. Prima volta che si è dimostrato che con un’Olimpiade si possono risparmiare tanti soldi.

Uscendo dalla dimensione olimpica, molti giornali hanno pubblicato il filmato di Eriksen che si accascia a terra contro la Finlandia. Siamo al voyeurismo?
Assolutamente sì, ma non da oggi. Nella mia carriera ci sono stati 2 o 3 casi di ciclisti che si sono fatti veramente male. Ho evitato di far vedere loro a terra. E la Rai è stata d’accordo da me. Non abbiamo voluto mostrare una immagine che non è un’immagine. Si mostra il replay della caduta e basta. Una persona che sta male va protetta. Diventano problemi suoi. Noi non possiamo essere spettatori di uno spettacolo privato.

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Il senso di Gasparri del rapporto tra politica e Rai: “A Sanremo hanno usato un mio audio, invece di fare interrogazioni ho chiamato il direttore…”

“Sul tema di cosa va in onda…io ho visto nella serata finale di Sanremo un audio mio, usato senza contestualizzarlo. E io ho chiesto al direttore della Rete, invece di fare interrogazioni. Ho chiamato il direttore, gli ho chiesto come mai fosse andato in onda l’audio e mi ha detto ‘non lo so’”. Così il senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, intervenendo durante l’audizione del direttore di Rai3, Franco Di Mare, in commissione Vigilanza Rai, sul “caso Fedez”. Gasparri racconta un episodio che gli è capitato qualche mese fa, durante l’ultima puntata della kermesse musicale, quando un cantante ha usato un suo audio, “ma anche uno di Salvini”, al termine di un’esibizione: “Coletta mi ha detto che non lo sapeva, a volte quindi in televisione può fare quello che vuole, e questo è una bellezza”. Poi Gasparri continua, e conclude: “Premesso che è così, io vedo proprio una faida a sinistra”.

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Enrico Letta: “Sono grato a Fedez, di cui condivido le parole molto forti. Ora ci aspettiamo tutti un chiarimento e le scuse dalla Rai”

Fedez? Ci aspettiamo tutti parole chiare dalla Rai, parole di scuse e di chiarimento. Io voglio ringraziare Fedez, perché il fatto che una persona come lui parli di questi temi con la forza con cui li ha affrontati lui rende possibile rompere quel tabù che in questo periodo purtroppo si è creato. E cioè sembra che non si possa parlare di temi inerenti ai diritti perché siamo in pandemia”. Così, ai microfoni de “Il caffè della domenica” (Radio24), il segretario del Pd, Enrico Letta, commenta l’intervento di Fedez al concerto del Primo Maggio e la sua denuncia di censura nei confronti di Rai Tre.

E aggiunge: “Occuparsi di pandemia e di riaperture non vuol dire che non si debbano fare battaglie per i diritti, come quello per lo Ius Soli e per il ddl Zan di cui ieri ha parlato Fedez. Quindi, io gli sono grato sia per questo, sia per le parole molto forti che ha usato ieri e che condividiamo in pieno – conclude – Io sono assolutamente disponibile a dibattere nel merito di questi temi con la Lega. Ma quello che trovo veramente sbagliato è questo atteggiamento di ostruzionismo. Abbiamo perso 20 giorni per decidere la calendarizzazione del ddl Zan, quindi non il merito della legge”.

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“Processo alla ‘ndrangheta”, anche il sistema Catanzaro sotto inchiesta. L’anticipazione di PresaDiretta sul caso del giudice Marco Petrini

Per la prima volta la Rai dedica un’intera prima serata a “Rinascita Scott”, una delle indagini più importanti degli ultimi anni contro la ‘ndrangheta fatta dal procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri. Lo fa con Processo alla ‘ndrangheta, una lunga inchiesta di PresaDiretta in onda lunedì 15 alle 21.20 su Rai3. Riccardo Iacona ha seguito Gratteri negli ultimi mesi per capire come si alimenta e come riesce ad arrivare ovunque la più grande organizzazione criminale al mondo. Per quattro anni i carabinieri dei ROS, del Nucleo Investigativo di Vibo Valentia e i magistrati hanno pedinato e intercettato la cosca del boss Luigi Mancuso e i dei clan loro collegati che comandavano su Vibo Valentia e provincia. Nulla sfuggiva al controllo criminale: appalti, compravendita di beni, intestazioni fittizie, contratti tra privati, acquisizione di imprese, imposizione del pizzo e un enorme giro di usura, un vero e proprio circuito bancario illegale parallelo. E il numero impressionante in questa indagine è quello dei “colletti bianchi” che si sono prestati agli interessi mafiosi. Commercialisti, notai, avvocati, amministratori pubblici e funzionari, personale dei palazzi di giustizia, uomini delle forze dell’ordine.

A PresaDiretta si parlerà anche dell’inchiesta che la Procura di Salerno sta facendo sul Palazzo di Giustizia di Catanzaro. In particolare del caso del giudice Marco Petrini, presidente della seconda sezione della Corte d’appello del tribunale di Catanzaro, già condannato in primo grado per corruzione in atti d’ufficio. Intervistato da Riccardo Iacona, parlerà per la prima volta in televisione Mario Santoro, uno dei principali accusatori del giudice Petrini, condannato anche lui nello stesso processo. “Il giudice Petrini è tuttora un amico anche se ci sono cose che io non ho condiviso. Lo conoscevo da 13 anni quindi io mi mettevo a disposizione”. In questi anni di amicizia, Santoro viene a conoscenza di tutti i trucchi che venivano utilizzati per aggiustare le sentenze a cominciare dalle perizie tecniche che vengono affidate direttamente dai giudici ai professionisti. E il giudice Petrini cercava sempre professionisti in grado di spolpare i clienti. Nell’intervista Santoro non ha dubbi sul fatto che si sapeva che Catanzaro era un sistema: “Catanzaro è il fulcro, la questione dei colletti bianchi che dice Gratteri è vera”.

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Recovery fund ultima chiamata, PresaDiretta racconta il modello francese: “100 miliardi già a disposizione. Controllo a 50 viceprefetti”

Gestire il Recovery Plan e spendere i fondi messi a disposizione dal Next Generation EU è il primo dossier che si troverà l’appena nato governo Draghi. E mentre l’Italia cerca la strada da seguire, gli altri Paesi europei viaggiano spediti verso la presentazione dei loro piani. Sono 18 i paesi che hanno inviato a Bruxelles le bozze del piano di ripresa, tra questi la Francia.

Presadiretta con Elena Marzano è andata a Parigi per raccontare il Recovery Plan francese, il “France Relance”. Come l’Italia, anche la Francia è stretta nella morsa del virus, l’epidemia corre veloce e da mesi tutto il Paese è in lockdown. Molti i negozi chiusi, così come i musei, i cinema, i teatri, i caffè e le brasserie. Le università sono vuote e le lezioni si fanno a distanza. La Francia ha perso solo nel 2020 l’8% del PIL.

Anche in Francia, come in Italia, si punta sul Next generation EU per rilanciare l’economia. Ma se il Recovery plan italiano è ancora una bozza, la Francia ha presentato il suo “France Relance” il 3 settembre scorso. Un piano di ripresa da 100 miliardi – 40 miliardi arriveranno dall’Europa, 60 miliardi dal bilancio francese – ideato per rilanciare l’economia e riportare il Paese alla situazione economica pre-covid entro il 2022. Duecentonovantasei pagine in cui sono descritte tutte le misure settore per settore e per ogni intervento viene indicato l’impatto, la cifra stanziata, il beneficiario e il calendario di attuazione. Le linee strategiche sono quelle indicate da Bruxelles: 30 miliardi sono investimenti per transizione ecologica, 34 miliardi per competitività delle imprese e 36 miliardi per coesione sociale e territoriale.

“I due obiettivi di questo piano sono da un lato gestire l’emergenza e contrastare la crisi del 2021, dall’altro preparare la Francia del 2031” ha raccontato a Presadiretta Olivia Grégoire, sottosegretario di stato a Bercy, il ministero dell’Economia, che in onore del France Relance ha addirittura cambiato nome da “ministero dell’Economia” a “ministero dell’Economia e della Ripresa”. “Abbiamo cominciato a lavorare al piano sin dal primo lockdown, a primavera, nel mese di aprile. Durante l’estate lo abbiamo messo a punto e alcuni parti, come quella dedicata ai giovani, le abbiamo rese operative già da settembre del 2020”.

“I due obiettivi di questo piano sono da un lato gestire l’emergenza e contrastare la crisi del 2021, dall’altro preparare la Francia del 2031. Le faccio solo un esempio – aggiunge – ci sono 100 milioni di euro per finanziare le associazioni che lottano contro la povertà, che è un’emergenza assoluta. Ma ci sono anche 7 miliardi di euro per sviluppare la filiera dell’idrogeno perché l’idrogeno è l’energia del domani e non possiamo aspettare il 2030 per pensarci, è nel 2020 che dobbiamo gettare le basi per sviluppare questo settore”.

In Francia non c’è stato alcun dibattito o fibrillazione sulla scelta dei progetti da finanziare o sulla governance, solo un’unica scelta strategica: integrare i fondi europei con quelli nazionali. “Il fatto di aver messo insieme questi fondi ha permesso alla Francia di cominciare ad attuare i progetti già prima di Natale, ad esempio in novembre si sapeva già che per il commercio elettronico, per uno specifico progetto, c’erano 60 milioni a disposizione” spiega Sandro Gozi – ex sottosegretario agli affari europei nei governi Renzi e Gentiloni – oggi eurodeputato eletto in Francia nelle liste di Macron.

Non solo, aggiunge: “mentre in Italia si parlava di 300 consulenti, in Francia il primo ministro ha assunto un consigliere per seguire ora per ora, giorno per giorno, France Relance. Tutto il resto è stato gestito con il normale ordinario coordinamento interministeriale, tra primo ministro e i ministri principalmente competenti con un dialogo. C’è un comitato che si chiama Comité national de Suivì, che segue l’attuazione del progetto: a livello nazionale ci sono dei deputati europei, dei deputati nazionali, dei senatori, dei rappresentanti delle parti sociali, e rappresentanti di associazioni giovanili e la stessa struttura viene replicata regione per regione. Non è stata creata nessuna struttura ad hoc.”
E in effetti il governo francese ha già avviato progetti e pubblicato bandi.

A dicembre 2020 dei 100 miliardi messi a disposizione dal piano di rilancio, 11 miliardi sono già stati impegnati per interventi mirati e 9 ne sono stati spesi. Per esempio sono 141 mila i proprietari di casa che hanno già usufruito del bonus per il rinnovamento energetico della propria abitazione. Quattro mila gli edifici pubblici per i quali è stato avviato un programma di ristrutturazione e efficientamento energetico. 815 le aziende che hanno ottenuto finanziamenti per l’ammodernamento degli impianti e si sono spartite un fondo da 710 milioni di euro che ha generato un investimento complessivo di 1.78 miliardi.

Al centro delle preoccupazioni della Francia ci sono i giovani, che come in Italia, sono quelli che stanno pagando il prezzo più alto della crisi economica.

Per l’occupazione giovanile la bozza del Recovery plan di Conte prevedeva di impegnare 6 miliardi e mezzo dei fondi speciali che ci arriveranno dall’Europa, poco più del 3% dei 200 miliardi previsti. Ancora troppo poco visto che abbiamo il più alto numero di giovani inattivi in Europa, oltre 2 milioni contro il milione della Francia.

Per aiutare gli oltre 750 mila ragazzi che, terminati gli studi, in piena crisi covid, stavano per entrare nel mercato del lavoro, la Francia all’interno del France Relance ha lanciato il piano “1 giovane, 1 soluzione”. Il piano vuole offrire una soluzione su misura per ognuno. Ci sono sia incentivi alle imprese che assumono o offrono contratti di apprendistato, sia percorsi retribuiti dallo stato per aiutare i giovani nello studio e in genere nel percorso di formazione. E finora ha funzionato. Sono più di 1 milione i giovani sotto i 26 anni che sono stati assunti tra agosto e dicembre 2020 con contratti di almeno tre mesi e 485 mila quelli assunti con contratto di apprendistato, pagato e anche bene.

Per assicurare l’arrivo a destinazione in tutto il territorio dei 100 miliardi stanziati per la ripresa, all’interno dell’amministrazione francese sono state scelte alcune figure che si occupano esclusivamente del Recovery plan. Sono 50 in tutto il territorio nazionale e si chiamano viceprefetti al piano di rilancio. Myriam Abassi è una di loro, sorveglia i progetti finanziati dall’Europa nella regione dell’Ile de France: “Noi viceprefetti siamo le sentinelle del piano di rilancio a livello locale. Ci sono due obiettivi molto importanti per il governo: primo, che si vada veloce, che i 100 miliardi del piano di rilancio siano stanziati rapidamente. Perché è adesso che dobbiamo frenare la crisi economica. E il secondo punto molto importante per il governo, è che il piano di rilancio sortisca i suoi effetti in maniera assolutamente chirurgica, nel modo più preciso e capillare possibile rispetto ai bisogni delle imprese, delle associazioni, delle collettività territoriali”.

E’ molto importante l’organizzazione territoriale, ci sono le regioni, gli eletti locali che vengono mobilitati per permettere l’arrivo a destinazione dei finanziamenti alle imprese nel territorio. La distribuzione dei fondi in maniera capillare sul territorio permette anche alla Francia di diluire i timori sul rischio di non riuscire a spendere i soldi dell’Europa così come avviene spesso in Italia.

“Questo è un rischio per tutti i Paesi europei, non soltanto per l’Italia ed è motivo di preoccupazione anche in Francia – precisa Oliva Gregoire a Elena Marzano”. “E’ per questo che abbiamo dato una grande responsabilità ai viceprefetti, sono loro l’ingranaggio che si dovrà occupare che i finanziamenti nazionali arrivino a buon fine su tutto il territorio”.

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Il delitto di Cogne e l’ossessione dei media nel raccontare la tragedia: su RaiPlay la quarta puntata di “Ossi di Seppia”. L’anticipazione

Un giallo con un solo sospettato. Un delitto atroce quello di Cogne, uno di quei fatti di cronaca rimasti impressi nel ricordo collettivo. Nella quarta puntata di “Ossi di Seppia. Il rumore della memoria” dal 2 febbraio in esclusiva su RaiPlay, vengono ripercorsi proprio quei fatti e la narrazione mediatica che ne fu fatta. Samuele, appena tre anni, viene trovato nel letto dei genitori con la testa fracassata da diciassette colpi inferti con inaudita violenza, presumibilmente con un mestolo da cucina. L’arma del delitto non è stata mai rinvenuta. Tutto il circo mediatico inizierà a girare attorno ad Annamaria Franzoni, da subito nel mirino degli inquirenti. Così la ferocia dell’infanticidio, consumato il 30 gennaio 2002, dominerà le pagine dei giornali per un lunghissimo periodo di tempo. A parlarne, nella nuova puntata, è Stefano Balassone, esperto e studioso dei mass-media, in un racconto che descrive, già molti anni prima dell’avvento dei social, il ruolo dei sistemi di comunicazione di massa per alcuni fatti di cronaca. L’attenzione di giornali e talk show per il delitto di Cogne infatti è stata tale da trasformare gli apparecchi televisivi, nelle case degli italiani, in finestre dalle quali sbirciare in modo quasi ossessivo ogni particolare legato alla tragedia.

Tra le ventisei puntate quella sul metodo Di Bella, il primo caso mediatico che ha visto le persone schierate contro gli esperti, e la vicenda di Carlo Urbani, il primo medico a identificare un virus sconosciuto e letale persino a lui, la Sars. Si ripercorrono inoltre la tragedia di Rigopiano e le dimissioni di Papa Benedetto XVI. E ancora la morte improvvisa del calciatore Davide Astori e quella di Dj Fabo. Non si dimenticano il disastro nucleare di Fukushima e l’incidente di Seveso, due immani tragedie ambientali che attraverso le immagini d’archivio (le tute bianche che bonificano il terreno, l’istituzione di una zona rossa e l’invito delle autorità a restare a casa) ci riportano immediatamente all’oggi e al momento che stiamo vivendo.

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Aggressione contro troupe Rai, arrestati 3 ultras della Lazio. Altri due già ai domiciliari

Calci, pugni e spintoni, anche dopo essere caduto a terra. La scena di violenza è accaduta la mattina del 20 dicembre scorso nei confronti di una troupe della Rai che stava realizzando alcuni servizi sulla pandemia per conto della trasmissione Storie italiane. Nel corso della mattina la Digos e i carabinieri della Compagnia Roma Trionfale hanno arrestato altre tre persone ritenute responsabili dell’aggressione, dando esecuzione alla misura cautelare degli arresti domiciliari. Si trovano già ai domiciliari altre due persone accusate di aver partecipato all’aggressione, arrestate lo scorso 13 gennaio. I cinque sono ultras laziali già noti per il coinvolgimento in episodi di violenza da stadio.

L’aggressione era scaturita mentre gli operatori stavano effettuando alcune riprese a Ponte Milvio. I due operatori televisivi, dopo alcune tappe cittadine, avevano raggiunto la zona per documentare la presenze di un gruppo di persone che si intratteneva in piazza senza mascherine protettive. Il gruppo di circa 10 persone, infastidito dalla presenza della telecamera, ha aggredito la troupe scagliandosi contro il cameraman che è stato inseguito e ripetutamente colpito con calci e pugni, anche mentre era a terra.

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