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Pedopornografia, tre arresti e 26 indagati in tutta Italia: “Scambiavano immagini raccapriccianti su un canale a pagamento”

Non c’era solo Nicola De Blasio, direttore della Caritas diocesana di Benevento, nella rete di utenti italiani che scambiavano materiale pedopornografico su una nota piattaforma di messaggistica. La Polizia postale di Torino ha eseguito 26 perquisizioni in tutta Italia nell’ambito dell’operazione “meet up”, ritenuti responsabili di detenzione e diffusione di materiale realizzato mediante sfruttamento di minori, sequestrando migliaia di file definiti “raccapriccianti” dagli inquirenti, che in alcuni casi ritraevano vere e proprie violenze sessuali in danno di bambini in tenera età. Oltre al sacerdote, ai domiciliari dal 3 novembre scorso, sono stati arrestati altri due soggetti: un 37enne tecnico informatico in Piemonte e il creatore del canale a pagamento, un ragazzo all’epoca dei fatti minorenne, residente in Puglia.

Gli agenti torinesi hanno condotto un’indagine sotto copertura finalizzata al contrasto alla diffusione di materiale pedopornografico: già dal febbraio scorso avevano attivato un monitoraggio su alcuni canali aperti, frequentati perlopiù da utenti italiani. È stato necessario – spiega la postale – “un lungo lavoro di carattere preparatorio, consistente nella ricerca del rapporto di fiducia con gli interlocutori che di volta in volta si mostravano interessati allo scambio di materiale, con un notevole sforzo mentale degli operatori nell’assunzione delle stesse vesti dei propri target. Ricavati gli elementi utili alla prosecuzione dell’indagine, sono state messe a fattor comune le tracce informatiche lasciate in rete dagli internauti, che hanno consentito la loro identificazione”.

L’attività, diretta dalla Procura di Torino e coordinata dal Centro nazionale di contrasto alla pedopornografia online della Polizia postale, ha riguardato tutto il territorio nazionale. “Particolarmente interessante – scrivono ancora le forze dell’ordine – si è rivelata la presenza di un ambiente chiuso, pubblicizzato dal proprio promotore, in cui veniva divulgato materiale pedopornografico previo pagamento di una somma di denaro che abilitava all’iscrizione al canale, anch’esso oggetto di accertamenti nel corso dell’indagine”. Gli elementi raccolti nel corso dell’attività sotto copertura hanno portato all’emissione dei decreti di perquisizione, emessi dal Gruppo criminalità organizzata e reati informatici della Procura.

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Torino, 52enne ucciso con un colpo di pistola nella sua auto vicino al San Giovanni Bosco

È stato ucciso con un colpo di pistola alla tempia l’uomo ritrovato senza vita lunedì pomeriggio all’interno della propria auto vicino all’ospedale San Giovanni Bosco a Torino. La vittima, 52 anni e operatore della Croce Verde secondo La Stampa, era riversa sul sedile della propria automobile, una Fiat Punto, in via Gottardo, nella periferia nord della città. Stando alle prime informazioni raccolte dagli agenti della Squadra Mobile che indagano per omicidio, il 52enne era incensurato.

A chiamare i soccorsi è stato un passante che si è accorto dell’uomo accasciato in auto e pensando a un malore ha avvertito il 118. I sanitari giunti sul posto hanno scoperto, invece, che l’uomo era stato raggiunto da un colpo di pistola alla testa e hanno quindi chiamato le forze dell’ordine. Gli investigatori della Mobile stanno ricostruendo l’accaduto e gli ultimi momenti di vita della vittima: tra i primi accertamenti da compiere anche stabilire l’ora del decesso.

Articolo in aggiornamento

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Torino, 18enne si suicida: aperta un’inchiesta per stabilire se sia stato vittima di omofobia o bullismo

La procura di Torino ha aperto un fascicolo sulla morte di un diciottenne che domenica scorsa si è tolto la vita gettandosi sotto un treno tra le stazioni di Lingotto e Moncalieri. Si indaga per istigazione al suicidio, al momento senza indagati, per stabilire se il ragazzo sia stato vittima di bullismo o di omofobia.

“Non ha retto alle offese, vogliamo giustizia”, spiega la famiglia. La storia del giovane, che non ha lasciato alcuna spiegazione, è riportata dal quotidiano La Stampa. Tra i numerosi messaggi di cordoglio arrivati al suo account Instagram ci sono anche degli insulti e persino un “morte ai gay“. Una delle ipotesi è che il ragazzo non abbia retto ai giudizi e agli insulti che riceveva. “Già da bambino era stato vittima dei bulli – sottolinea la madre – non mi raccontava tutto, ma sentivo che c’era qualcosa che non andava”. “Il problema delle menti chiuse e che hanno la bocca aperta”, aveva scritto lo scorso marzo. “Con il giudizio della gente io ci faccio meravigliosi coriandoli”, gli aveva risposto un’amica.

Alcuni amici hanno riferito che “lo prendevano in giro perché era omosessuale”, mentre il fratello racconta al quotidiano di Torino che il giovane gli aveva confessato di essere preoccupato e “di aver paura di alcune persone”. I genitori intanto chiedono giustizia. “Stiamo cercando la verità – spiega ancora la mamma sui social – mio figlio non è mai stato solo”. “Non ho mai pensato a un gesto estremo, non di sua volontà, non era una persona che pensava di togliersi la vita anzi sapeva che arrivato a 18 anni avrebbe potuto fare le sue scelte. Oggi credo sia stato ingannato, deriso e umiliato, con un carattere così fragile” continua. Gli agenti hanno acquisito i messaggi e hanno parlato con gli insegnanti dell’istituto professionale che il ragazzo frequentava per diventare barman e cameriere, oltre che con i compagni di classe e gli amici.

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Torino, Stefano Lo Russo candidato sindaco del centrosinistra: ha vinto le primarie con il 37,48%. L’affluenza è un flop: 11.325 votanti

Poca affluenza ai gazebo e una vittoria del candidato ‘forte’ per una manciata di voti. Le primarie per la scelta del candidato di centrosinistra come sindaco di Torino incoronano Stefano Lo Russo, capogruppo dem in Consiglio comunale ed ex assessore della giunta Fassino. Ma il Partito Democratico deve fare i conti con un numero di voti assai inferiore rispetto alle precedenti consultazioni popolari per far scegliere il candidato alla guida del Comune e con una vittoria meno netta del previsto per Lo Russo, che era appoggiato da quasi tutto il partito.

Il docente del Politecnico ha ricevuto 4.229 voti nei 39 gazebo allestiti in città e nell’urna online, sperimentata per la prima volta dal Pd: si tratta del 37,48% delle preferenze espresse, appena 297 in più di Francesco Tresso, consigliere comunale eletto con una lista civica e appoggiato da Sinistra italiana. Più staccato l’altro dem Enzo Lavolta (2.864, 25,39%) che era l’unico dei candidati apertamente favorevole a un accordo con il Movimento Cinque Stelle. Il 2,28 per cento delle preferenze è invece andato al radicale Igor Boni (257 voti).

Sul secondo posto di un candidato civico, Tresso, e non su un candidato espressione di un partito, Lo Russo ricorda che “erano primarie aperte e si sono dimostrate tali”. I partiti della coalizione “si sono schierati a sostegno dei diversi candidati anche in modo evidente quindi è un dato interessante da questo punto di vista”. Il neo candidato sindaco sottolinea poi che “il dialogo con la società civile non si è mai arrestato e continuerà e Francesco, Enzo e Igor avranno un ruolo importante nel dare un contributo alla riflessione che abbiamo da mettere in campo per impostare politicamente in maniera intelligente e corretta la campagna elettorale”.

Una affluenza “sotto le attese”, ammette Lo Russo, ma per il responsabile enti locali del Pd, Francesco Boccia, si tratta comunque di “un bel segnale di ritorno alla democrazia partecipata”.
“Grazie ai cittadini che hanno partecipato alle primarie a Torino, le prime al tempo del Covid. Grazie ai candidati che hanno animato una bella competizione e complimenti al vincitore Stefano Lo Russo”, commenta su Twitter il segretario del Pd Enrico Letta. A settembre il capogruppo dem in Sala Rossa sfiderà il candidato del centrodestra Paolo Damilano, che pochi giorni fa è stato uno dei primi candidati civici annunciati dalla coalizione di centrodestra.

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Torino, otto madri denunciano il custode della materna: “Abusi sui nostri figli”. Pm chiedono di archiviare, no del gip: “Racconti genuini”

“Ricordati che la pecora, la mucca, il cavallo hanno la coda…ma poi, quando il cavallo si arrabbia…”. Lo sussurrava, nell’orecchio di uno dei bimbi, il custode della scuola materna, per poi, rivolgersi alla madre del piccolo e mimare il gesto del taglio della gola. Quella minaccia, proferita dal bidello nel cortile dell’asilo, ha spinto quella mamma – la prima di otto – a denunciare una serie di molestie e violenze alla polizia, facendo nascere un’indagine che ha scoperchiato un mondo di orrori e di forme (più o meno velate) di discriminazioni.

In questa storia l’indagato principale è un bidello (andato da poco in pensione), accusato di violenza sessuale su minori. Nella vicenda, che emerge adesso dopo 22 mesi di indagini, gli inquirenti mettono a confronto due gruppi di madri: “le straniere”, donne di origini nordafricane e centro africane, le mamme delle piccole vittime, che denunciano gli abusi dei loro bambini (di cinque e sei anni). E le “madri italiane”, che, sentite dalla procura, etichettano le prime come “donne che non si integrano”, ribadendo che nell’asilo andava tutto bene e che il custode “era una brava persona”.

Una tesi smontata dal gip di Torino Alfredo Toppino, che, ribaltando la stessa tesi della procura – i pm avevano chiesto l’archiviazione del caso – ha ordinato, il 1 marzo, di formulare entro dieci giorni l’imputazione per il bidello e approfondire le indagini. “Le testimonianze dei bambini sono genuine“, scrive il giudice, riportandone alcune. “Mi fa i giochi – diceva una vittima – mi dice le parolacce. Nel giardino si tira giù i pantaloni e le mutande. Ci chiama neri e ci picchia”. “Quando viene si toglie i vestiti – raccontava un altro bimbo – dice che lui è forte e ci fa vedere il… Noi scappiamo, non ci piace vedere“.

Tutto inizia un pomeriggio del maggio del 2019, quando uno dei piccoli alunni di un asilo comunale mostra segni di disagio. Non vuole più andare a scuola, è inquieto, e quando vede il custode cambia atteggiamento. La mamma, insospettita, va dal bidello a chiedergli se qualcosa non va. E l’uomo, come risposta, le fa il segno di tagliarle la gola, mentre minaccia il piccolo, sussurrandogli nell’orecchio una filastrocca perversa. La madre, assistita dalle avvocate Stefania Agagliate e Silvia Bregliano, si presenta in commissariato Dora Vanchiglia il pomeriggio dello stesso giorno in cui riceve minacce. Sporge denuncia, la seguiranno in otto. Secondo il gip quel numero è destinato a salire: “Ci sono altri bambini coinvolti che devono ancora essere identificati“. Tutti i bambini molestati sono stranieri. E non è un caso, perché, come denota il giudice, è probabile che il presunto pedofilo scegliesse “prede” non perfettamente in grado di parlare l’italiano. Ma quei bambini, alla fine, si sono confidati, svelando una serie di reati ed esprimendosi in maniera molto precisa durante l’incidente probatorio. Proprio perché le loro dichiarazioni sono “circostanziate e genuine”, il gip denota “un quadro di indizi gravi e sufficiente” per portare a processo il bidello. Se il giudice non si fosse opposto alla richiesta di archiviazione della procura, il caso sarebbe finito nel nulla.

“Le madri straniere sono tacciate di non essersi integrate e di avere accusato falsamente il custode italiano: è un sostanziale schieramento di natura etnica non imparziale. E vi è l’assenza di qualsivoglia valenza probatoria delle dichiarazioni delle madri italiane”. Lo denunciano, in un passaggio dell’opposizione alla richiesta di archiviazione della procura, le avvocate Agagliate e Bregliano (che assistono tre famiglie), che da quasi due anni lottano per fare emergere gli abusi, andando contro i pregiudizi e quel “senso di razzismo”, a volte evidente nelle dichiarazioni di alcuni testi, meno palpabile nel sotto testo di alcuni passaggi dell’inchiesta. Nella richiesta di archiviazione, veniva scritto che le testimonianze delle vittime sarebbero state “frammentarie e influenzate dai racconti della madri”. La procura sottolineava che la rappresentante di classe, italiana, sentita come teste dalla procura, aveva ribadito: “Nessuna altra mamma ha sentito dai figli notizie analoghe. Le madri che hanno denunciato questi fatti sono straniere non molto integrate col resto della classe”. Anche altre testimonianze di genitori italiani venivano riportate per evidenziare che “se davvero nell’asilo fosse successo qualcosa di così grave, si sarebbe saputo”. Quindi, concludeva la procura: “Gli elementi indiziari raccolti a carico dell’indagato non paiono sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio”.

Il gip ha ribaltato questa tesi, partendo dai fatti: “I racconti dei bambini sono genuini, hanno natura concordante e omogenea”. In secondo luogo, scrive: “E’ impossibile che le madri abbiano influenzato i racconti dei figli e degli altri genitori, perché hanno denunciato il pomeriggio stesso: non vi sarebbe un lasso temporale sufficiente”. Dunque, per il bidello (che nel pc conservava filmati pedopornografici con 13enni) va richiesto il processo. E non solo. Conclude il giudice, riguardo a una maestra: “Le sue dichiarazioni debbono essere attentamente valutate anche in rapporto alla singolare ritrosia“. Dopo ventidue mesi, le madri e i bambini sono stati creduti.

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Luca Cordero di Montezemolo, in fiamme la villa di famiglia: corto circuito alle luci natalizie la causa dell’incendio

È stato un corto circuito alle luci natalizie la causa dell’incendio che, la sera di Natale, ha distrutto la villa di Marco Cordero di Montezemolo in strada San Martino a Castiglione Torinese, in provincia di Torino. Le fiamme sono divampate intorno alle 20.30 del 25 dicembre nell’abitazione del notaio 71enne, fratello del più noto Luca, l’ex presidente di Fiat, Ferrari e Confindustria: i carabinieri intervenuti sul posto assieme ai vigili del fuoco hanno escluso l’ipotesi dolosa, propendendo per un corto circuito partito dalle luminarie natalizie che decoravano la casa.

All’interno della villa si trovavano i suoceri di Marco Cordero di Montezemolo, rimasti illesi. Sul posto, oltre ai militari della locale stazione e della sezione radiomobile, le squadre dei vigili del fuoco di Torino, Chivasso e Volpiano che, dopo diverse ore di lavoro, hanno domato le fiamme e messo in salvo anche gli animali che vivono nella tenuta. L’immobile è stato ora messo in sicurezza ma sono inagibili il secondo piano e il tetto sovrastante. Ingenti i danni.

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Fca Heritage, la forza della tradizione. Spente le prime cinque candeline

Compie i suoi primi cinque anni di vita FCA Heritage, il dipartimento del Gruppo italoamericano che, attraverso servizi dedicati e attività divulgative e culturali, è dedito alla tutela e valorizzazione del patrimonio storico dei marchi Alfa Romeo, Fiat, Lancia e Abarth. In questo primo lustro di attività di FCA Heritage sono state strette collaborazioni coi più prestigiosi musei di design e arte nel mondo, tra cui il MoMA di New York, che dal 2017 accoglie nella sua collezione permanente una Fiat 500 serie F (1968), restaurata e donata da FCA Heritage.

“L’obiettivo per cui nasce FCA Heritage è ben riassunto nel suo nome. Heritage è una parola che noi italiani usiamo spesso come sinonimo di tradizione e storia, trascurando che essa contiene anche un’accezione ulteriore, e forse più letterale, di eredità, patrimonio da trasmettere”, dichiara in una nota ufficiale Roberto Giolito, a capo di FCA Heritage per la regione Emea: “Aver dato vita a FCA Heritage, nel 2015, per noi vuol dire consegnare una visione più ampia a tutto il patrimonio rappresentato dalla nostra storia e tradizione. Significa valorizzare e non solo celebrare, far vivere e non solo custodire. Si tratta di un patrimonio inestimabile che ancora oggi ispira i modelli di domani, certo più sostenibili e connessi ma che conservano sempre lo stile Made in Italy famoso nel mondo”.

Dalla sua fondazione, sono state molte le partecipazioni delle vetture storiche di FCA Heritage a saloni e manifestazioni internazionali, con vittorie e riconoscimenti ottenuti in molti concorsi d’eleganza e competizioni per auto storiche. Tutte le attività sono sviluppate e coordinate nella sua sede: l’Heritage Hub, uno spazio polifunzionale creato lo scorso anno nello storico comprensorio di Mirafiori, a Torino.

Sempre all’interno di questo Hub è presente l’esposizione di oltre 300 vetture iconiche e la vetrina del programma “Reloaded by creators” (che prevede l’acquisizione, il restauro, la certificazione e la re-immissione sul mercato di una selezione di vetture storiche) e della linea di ricambi “Heritage Parts”. Infine, a Mirafiori sono ubicate anche le rinnovate Officine Classiche, l’atelier dove si eseguono le attività di certificazione e restauro di auto storiche, appartenenti sia a privati sia alla collezione di FCA Heritage.

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Il fidanzato diffonde video privato tra gli amici del calcetto: maestra d’asilo licenziata. Ora la preside è tra le imputate per diffamazione

Ingannata dal suo ragazzo, offesa da due mamme dei giovanissimi allievi, ma anche dalla direttrice dell’asilo che poi l’ha licenziata e ha rivelato a tutti i genitori il motivo della sua decisione: la diffusione di alcune foto e un video privati che, invece, dovevano rimanere segreti, custoditi almeno nella memoria del telefonino del ragazzo. È la storia di una giovane maestra d’asilo, età sui venti anni, di un paese della provincia di Torino, una storia che arriverà presto in tribunale: tre donne devono difendersi dall’accusa di diffamazione, mentre il ragazzo, ormai ex, dopo aver pagato un risarcimento dovrà dimostrare di essersi ravveduto.

Pochi anni fa la giovane maestra d’asilo manda alcune immagini personali al suo compagno dell’epoca. Il ragazzo, anziché conservarle per sé le immagini, le condivide sulla chat della sua squadra di calcetto. La moglie di uno dei suoi compagni scopre le foto e il video sul telefonino dell’uomo e riconosce la maestra del figlio. A sua volta invia i file alle altri madri e, inspiegabilmente, telefona alla maestra per dirle di non denunciare il suo fidanzato (di cui la donna è amica), altrimenti avrebbe informato la direttrice dell’asilo. “Non riuscirà nel suo intento solo per la ferma volontà della vittima di denunciare quanto accaduto”, riassume il sostituto procuratore Ruggero Crupi nell’avviso di conclusione dell’indagine, di cui La Stampa ha dato notizia martedì. La madre dell’allievo, dal canto suo, va dalla dirigente e la informa. Risultato: la maestra viene licenziata, ma questo non è l’unico danno che subisce. La sua superiore informa i genitori le ragioni per cui ha deciso di licenziare la giovane sottolineando che in quel modo “non troverà lavoro manco per pulire i cessi in stazione”.

La maestra, assistita dall’avvocato Domenico Fragapane, denuncia tutto. La questione arriva quindi alla procura di Torino che indaga quattro persone per diffamazione e chiede il rinvio a giudizio. L’ex fidanzato, difeso dall’avvocato Pasqualino Ciricosta, chiede al giudice Modestino Villani la messa alla prova, cioè la possibilità di svolgere dei lavori socialmente utili per un certo periodo (otto ore a settimana per un anno) al termine del quale il giudice valuterà se proscioglierlo oppure processarlo. Per le altre indagate, invece, presto comincerà il processo con un’incognita: se non risarciranno la maestra prima dell’inizio, lei si costituirà parte civile e, alla fine, il conto potrebbe essere ancora più salato.

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Omicidio-suicidio nel Torinese, operaio di 47 anni uccide il figlio di 11 anni e poi si spara. Lo aveva annunciato con una lettera su Facebook

Una lunga lettera di addio, pubblicata su Facebook e indirizzata alla sua ex compagna e madre del loro bambino, in cui Claudio Baima Poma, 47 anni, ha annunciato il delitto che stava per compiere. Dopo aver affidato al social le ultime parole, ha preso una pistola illegalmente detenuta e ha ucciso il figlio Andrea, di 11 anni. Poi, con la stessa arma, si è tolto la vita. L’allarme è scattato poco prima delle due nell’abitazione del 47enne, in via Beltramo a Rivara Canavese, comune di 2.600 abitanti a Nord di Torino.

Su Facebook l’uomo ripercorre tutta la storia con la sua ex, dalla decisione di avere un bambino a quando si sono separati. Il 47enne, operaio di un’azienda metalmeccanica, racconta di quando quattro anni fa ha iniziato a soffrire di mal di schiena, un dolore cronico che a un certo punto ha rischiato di fargli perdere l’uso delle gambe. Baima Poma scrive che da quel momento è caduto in depressione, una condizione da cui non è più riuscito a uscire. Scarica la colpa del suo gesto sulla ex compagna, che nella lettera accusa di non averlo aiutato a guarire dalla sua depressione. L’uomo dice che ha deciso di suicidarsi e di uccidere il figlio così lei potrà avere la vita solitaria il cui desiderio l’ha portata a separarsi da lui. I corpi dell’uomo e del bambino sono stati trovati in camera da letto. Sul posto i carabinieri di Villa Reale e del comando provinciale di Torino stanno investigando per chiarire la dinamica dell’accaduto.

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Italia ’90, 30 anni dopo – L’hotel di Milano mai aperto, la stazione di Roma usata una sola volta, gli stadi inutili: il mondiale dello spreco

Gli occhi spiritati di Schillaci per un rigore non dato. La serpentina di Baggio contro la Repubblica Ceca. Le feste in piazza dopo le vittorie azzurre. Notti magiche prima della serata tragica. Napoli che fischia l’Argentina, Maradona e Caniggia e Goycochea. Poi l’uscita sbagliata di Zenga e la delusione, forse la più grande di sempre, per l’eliminazione in semifinale. Sono le immagini di copertina di un ipotetico libro dal retrogusto amaro. Titolo possibile: ‘Mondiali Italia ’90, storia di un’occasione persa’. Perché l’eredità del torneo non si misura con il misero terzo posto della nazionale di Vicini. Il flop fu soprattutto organizzativo: tra costi esplosi e ritardi, le opere realizzate (almeno quelle che non sono state abbattute) erano e restano l’emblema dello spreco. Eppure fu un’edizione epocale, anche e soprattutto dal punto di vista sociale e geopolitico. A trent’anni esatti da allora, raccontiamo – a modo nostro – l’Italia, l’Europa e il mondo di quei giorni. Le storie, i protagonisti, gli aneddoti. Di ciò che era, di cosa è restato. (p.g.c.)

8 giugno 1990: esattamente trent’anni fa a San Siro iniziavano i Mondiali di calcio di Italia ’90, un mese di notti magiche, sogni infranti, spese folli. C’è una frase, che ilfattoquotidiano.it è andato a ripescare negli archivi della Camera dei deputati, che descrive alla perfezione quella stagione indimenticabile, nel bene e nel male. “Oggi vengono messi in cantiere lavori che, probabilmente, nulla hanno a che fare con i campionati in questione. Ho visto la mascotte dei mondiali di calcio perfino in certe aree del raccordo anulare dove erano in costruzione nuovi impianti per la distribuzione della benzina!”. Alla partita inaugurale mancavano poche settimane e a parlare, in audizione a Montecitorio, era Luca Cordero di Montezemolo, direttore generale del Comitato organizzatore, manager rampante già allora bravissimo a raccogliere gli onori e schivare gli oneri di un’organizzazione che ormai veniva pubblicamente riconosciuta come fallimentare. Con la scusa della Coppa del Mondo di calcio, a cavallo tra la fine degli Anni Ottanta e Novanta, l’Italia avviò una sfilza infinita di investimenti, lavori, cantieri che coinvolsero i principali stadi del Paese e non solo. Sono passati tre decenni, non ne rimane quasi nulla.

Quel mondiale figlio dell’Italia di Craxi – 7.230 miliardi di lire, di cui oltre 6mila di soldi pubblici: tanto costò all’Italia l’organizzazione di quel mondiale, secondo una stima precisa comunicata dal governo solo dopo molti anni. Una cifra spropositata, fuori da ogni logica, persino quella dell’Italia degli Anni ’80 e di Craxi (fu lui a volere la manifestazione e a firmare la lettera di garanzie nell’84 da presidente del Consiglio), in cui nessuno sembrava preoccuparsi del debito pubblico galoppante. Figuriamoci di qualche spicciolo per il torneo più bello del pianeta. Di recente, qualcuno si è anche divertito a fare il calcolo in euro: 3,74 miliardi, che rivalutati secondo l’indice Istat oggi sarebbero più di sette. Valute diverse, epoche diverse: anche senza queste operazioni, ce n’era abbastanza per renderlo il Mondiale più costoso di sempre. Bisognerà aspettare le follie di Brasile 2014 (che hanno contribuito a mandare in crisi il Paese) o il gigantismo di Putin e di Russia 2018 per battere quel record.

Il trucco della separazione dei conti – Nel calderone ci finì di tutto. I 7mila miliardi comprendono non solo i costi organizzativi e degli impianti, anche tutte le spese che furono sostenute a vario titolo per la manifestazione, su cui Montezemolo in audizione alla Camera declinava ogni responsabilità. Almeno su quel punto, non aveva tutti i torti. Quello delle perdite del Comitato è un falso storico, smentito di recente anche da Franco Carraro, all’epoca dei fatti presidente Figc (e quindi del comitato, prima di lasciare per buttarsi in politica): nella sua biografia ha raccontato che il “Col” si basò su un contributo iniziale della Federcalcio e sulle sovvenzioni private delle principali aziende del Paese (dalla Olivetti alla Fiat, passando per Alitalia), e che chiuse formalmente in attivo.

La colpa dunque non fu (solo) del Comitato, anche perché non si occupò praticamente di nulla, né degli stadi, né tantomeno delle opere pubbliche. È il solito trucchetto della separazione fra il conto dell’evento in quanto tale (di competenza del Comitato, privato e quasi sempre in utile) e quello delle opere, che spesso sono solo accessorie e vengono caricate su un’Agenzia (pubblica, o direttamente sullo Stato). Lo scudo dietro cui si difendono tutti gli organizzatori. Da sempre, però, i grandi eventi, i Mondiali, le Olimpiadi, sono il cavallo di troia con cui far passare spese faraoniche e infrastrutture che poco c’entrano con l’evento. Probabilmente non è nemmeno colpa dello sport, ma è la storia di quasi tutte le manifestazioni. Anche di Italia ‘90. Lo dimostrano alcune follie divenute simbolo di quello spreco: la famosa stazione di Roma-Farneto, costata 15 miliardi di lire, utilizzata solo una volta, poi abbandonata e occupata per anni da gruppi di estrema destra; oppure l’Hotel Mundial tra Milano e Ponte Lambro, un ecomostro da 10 miliardi di lire, mai inagurato, abbattuto nel 2012. La lista è lunga.

Da Bari a Torino, gli stadi monumento dello spreco – L’organizzazione fu un autentico disastro, a partire dalla mascotte Ciao, quel pupazzetto stilizzato dal nome banale che ancora oggi resiste su qualche vecchio rudere o cartellone. Al danno dello sperpero si aggiunse la beffa dei soliti, proverbiali ritardi all’italiana: l’assegnazione c’era stata nell’84, ma il decreto decisivo per l’attuazione dei lavori fu varato solo nel marzo dell’87. La consegna doveva avvenire a fine ’89: nessuna delle opere fu ultimata entro quel termine, e il ritardo accumulato segnò negativamente l’inizio della manifestazione, con una corsa contro il tempo imbarazzante. Il capolavoro, però, fu raggiunto proprio su ciò che avrebbe dovuto rappresentare il torneo e costituire la sua eredità: gli stadi. Solo per la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi, la spesa fu di 1.248 miliardi di lire (quasi 650 milioni di euro al cambio dell’epoca), l’84% in più del budget stimato al momento dell’assegnazione, secondo la relazione dell’allora ministro Carmelo Conte. Tra ritardi, errori di progettazione o costruzione, i lavori andarono male praticamente ovunque.

A San Siro, la “Scala del calcio” ridotta a sede quasi marginale del torneo, fu costruito il terzo anello che per anni ha creato problemi al manto erboso. Nella Capitale, già allora i piani di un nuovo stadio furono inghiottiti dalle sabbie mobili della burocrazia romana: così fu riammodernato l’Olimpico alla modica cifra di 225 miliardi di lire. Le costruzioni ex novo furono invece un piccolo manuale di come non si fanno gli stadi. A Bari nacque il San Nicola, gioiello architettonico firmato dal grande Renzo Piano ma cattedrale nel deserto se ce n’è una: costruita nella periferia, anzi proprio nel nulla, di una città meridionale che ha saputo spesso riempirlo ma mai valorizzarlo, oggi l’astronave è scalcagnata e continua a rappresentare soprattutto un problema per il Comune. Infine il Delle Alpi di Torino, che è sempre stato una sciagura per la sua città e le sue squadre: costato oltre 200 miliardi di lire, con il più alto tasso di rincaro (+214% rispetto al preventivo), è stato abbattuto nel 2009.

I ricordi di un’estate italiana – Così l’Italia arrivò a spendere, anzi a bruciare, 6mila miliardi di lire di soldi pubblici. Per nulla. Il lascito di quella manifestazione è inesistente sul piano storico, economico, sportivo. Grande entusiasmo, fiumi di denaro pubblico, anche qualche opera preziosa: a Bari ad esempio ringraziano per la tangenziale, diversi vecchi impianti (dall’Olimpico al San Paolo) si sono retti per anni su quei lavori di ristrutturazione, al Sant’Elia di Cagliari invece non sono bastati per evitare un rapido decadimento dopo pochi anni e la definitiva chiusura nel 2017. Si perse l’occasione di dotare il Paese di una vera infrastruttura sportiva (era troppo presto, i primi stadi di nuova generazione sarebbero nati solo un decennio dopo), e la Serie A all’epoca non aveva bisogno di rilancio, sembrava non aver bisogno di nulla. Italia ’90 doveva essere il Mondiale che avrebbe fatto grande il Paese ed il suo calcio. Col senno di poi, si può dire che non è riuscito a fare né una cosa, né l’altra: gli investimenti abbiamo visto come sono andati, il sogno mondiale si infranse ai rigori contro l’Argentina. Di quel mese stupendo alla fine restano solo i ricordi di un’estate italiana. Con quello che ci sono costati, teniamoceli stretti.

Twitter: @lVendemiale

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