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Concerto di Salmo, Assomusica condanna l’episodio e chiede un incontro al Governo. Il Ministero: “Musica e sport stesse misure”

Non si placano le polemiche per il concerto (con maxi assembramento e no-mask) tenuto venerdì 13 agosto da Salmo a Olbia. Ad intervenire ora anche Assomusica, l’associazione che rappresenta la maggior parte degli organizzatori e produttori di musica in Italia, che ha diffuso una nota in cui ha condannato l’episodio, chiedendo inoltre al Governo un confronto immediato. E proprio dal Ministero della Cultura è arrivata in queste ore una precisazione sulla vicenda, probabilmente anche a seguito delle parole di Francesco De Gregori. “Nessuna penalizzazione per il settore della musica, dove sono in vigore per i concerti le stesse misure per lo sport, anzi più favorevoli per i concerti sotto le soglie di 2500 al chiuso e 5000 all’aperto”, ha assicurato in una nota il Ministero. Le disposizioni di sicurezza attualmente in vigore in zona bianca – ha riportato il MiC – prevedono posti a sedere pre-assegnati, obbligo di mascherina, distanziamento e green pass per tutti [..] Per gli spettacoli all’aperto, fino a 5.000 spettatori, nessun limite di capienza degli spazi, mentre oltre i 5.000 spettatori viene applicato il limite di capienza del 50%, lo stesso applicato agli eventi sportivi anche sotto la soglia dei 5.000″.

Dopo due giorni di silenzio, Assomusica ha invece diffuso la seguente comunicazione a riguardo: “A seguito delle nuove disposizioni in materia di partecipazione agli spettacoli dal vivo, entrate in vigore il 6 agosto scorso, stiamo assistendo ad interpretazioni e applicazione delle disposizioni in maniera del tutto arbitraria. Le incertezze prodotte da questa situazione – sia da parte di chi autorizza che, soprattutto, da chi inventa le modalità più ‘performanti’ ai propri interessi e non certo per il bene del settore del live, completamente fermo e privo di adeguati strumenti e risorse – non può che arrecare ulteriori danni alla già profonda crisi di questi ultimi due anni”.

Poi, nel dettaglio: “Esempio eclatante è stata l’esibizione-concerto di Salmo sotto una ruota panoramica ad Olbia. Molto rumore ha fatto sui social ed anche tra gli artisti: per le modalità con cui è stata prevista la partecipazione del pubblico; perché sembra palese che non fosse stato autorizzato dalle autorità, e fosse stata resa nota solo poche ore prima, quasi fosse un rave. ASSOMUSICA, Associazione che rappresenta la maggior parte degli organizzatori e produttori di musica in Italia, non può che condannare episodi del genere, che danneggiano soprattutto gli organizzatori di concerti che lavorano con serietà, rispettano le regole sulla sicurezza e a tutela della salute del pubblico, ma anche e – forse ancor di più – l’immagine degli artisti stessi”.

E ancora: “Riteniamo, quindi, che sia doveroso attenersi a quanto disposto dalla normativa, in base ai più recenti D.L., e ribadiamo la necessità che il Governo e le Istituzioni preposte ascoltino e prendano in seria considerazione quanto contenuto nei nostri documenti fin dallo scorso anno. Non possiamo continuare a lavorare a capienze ridotte e crediamo che, stante l’attuale situazione vaccinale e le attuali modalità di accesso con le previste ‘certificazioni green’, si possa arrivare con ponderata certezza al ritorno alle piene capienze già nel prossimo autunno”, ha reso noto il presidente Assomusica, Vincenzo Spera, che poi ha concluso sottolineando che è “necessario, inoltre, anche un immediato confronto, subito dopo la pausa estiva, dando la nostra più ampia disponibilità a collaborare affinché il pubblico possa partecipare con la massima semplicità e tranquillità, con le necessarie autorizzazioni ‘green’, per tornare a vivere le emozioni che solo la musica dal vivo riesce a dare. Come già sta accadendo in altre nazioni Europee, ad esempio in Gran Bretagna, Olanda, Polonia, dove i concerti si tengono con la piena capienza della venue”.

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Sardegna, sindaco chiude il museo per evitare che la Soprintendenza porti via le statue

“A seguito del clima di forte tensione che si è creata attorno al trasferimento delle sculture di Mont’e Prama dal Museo di Cabras e tenuto conto dell’avvio delle operazioni preliminari al trasferimento nella giornata di mercoledì 10 febbraio, il Sindaco di Cabras ha ritenuto necessario firmare un’ordinanza di chiusura delle sale espositive del Museo civico Giovanni Marongiu, con divieto di accesso a chiunque per otto giorni”. Il comunicato stampa con il quale il comune in provincia di Oristano informava il 9 febbraio dell’ordinanza del sindaco Andrea Abis era inequivocabile. Non lasciava spazio ad interpretazioni. L’amministrazione comunale iniziava ufficialmente la battaglia contro la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna.

Il motivo della contesa? Oltre a due modellini di nuraghe, due delle statue colossali in arenaria rappresentanti pugilatori, arcieri e guerrieri, datate tra la fine del IX e l’inizio dell’VIII secolo a. C. rinvenute a partire dal 1974. In un primo momento per pure caso, poi attraverso diversi interventi di scavo e di recupero condotti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Cagliari e Oristano e dall’Università degli Studi di Cagliari, a circa due chilometri dallo stagno di Cabras, lungo la strada che da San Salvatore conduce a Riola Sardo. Statue che sono tra le più antiche testimonianze scultore del bacino del Mediterraneo e dunque costituiscono una scoperta importantissima. Che ha acceso i riflettori sul Comune del Campidano. Sul locale Museo civico nel quale sono esposte dal 1974 una parte delle statue scoperte, in gran parte visibili al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari.

Per questo motivo al sindaco l’idea della Soprintendenza di portare nei laboratori di restauro di Cagliari le due statue non piace. Teme che non si tratti di una operazione a termine ma definitiva. Insomma che le due statue non torneranno più a Cabras, come sembrerebbe indicare, secondo Abis, la nota della Soprintendenza del 5 Febbraio. Per questo ha emesso l’ordinanza. Così quando la Soprintendente Maura Picciau, accompagnata da alcuni tecnici, è arrivata di fronte al Museo per prelevare le statue, ha trovato l’ingresso chiuso. Con le forze dell’ordine accorse per presidiare l’area, ma senza il sindaco Abis che comunque appare sempre più deciso. Al punto da tentare anche la via della mediazione, proponendo di mettere a disposizione un laboratorio per il restauro a proprie spese. “I Giganti devono restare a Cabras, anche durante il restauro, che può anch’esso diventare, reso pubblico nelle sue varie fasi di attuazione, un’attrazione per i visitatori che si recheranno nei prossimi mesi a visitare il sito e il Museo”.

Anche il Presidente della Regione Christian Solinas sceglie l’opzione del restauro “in loco” per le due statue dei Giganti e per i modellini di nuraghe provenienti dalla collina di Mont’e Prama. Aggiungendo che “nella finanziaria del 2019 abbiamo stanziato 500mila euro destinati al Comune di Cabras per la valorizzazione e l’ampliamento del sito con l’acquisizione di nuovi terreni”. Regione e Comune vanno a braccetto. Contro la Soprintendenza e inaugurando una controversia aspra. Negli otto giorni della chiusura é più che probabile che ci saranno tentativi di conciliazione da entrambe le parti, per arrivare a una sintesi che non scontenti nessuno. Soprattutto, che non sacrifichi le statue. Intanto il 13 febbraio ci sarà un sit-in davanti al Museo, perché i cittadini non vogliono rinunciare al loro simbolo.

(immagine d’archivio)

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Alluvione Bitti, per evitare questi disastri ambientali bisogna scontrarsi col ‘consenso’

Sono stato a Bitti nel 2016. Mi hanno raccontato cosa era successo nel 2013 e le discussioni su cosa si poteva fare. Il 28 novembre 2020, a 7 anni dall’uragano Cleopatra ed a 4 da quel confronto, ancora morti per via di un ciclone. Il XXI secolo, e tutto fa pensare anche il XXII, sarà caratterizzato da questi eventi. Ora tutti urlano e sono impegnati nei soccorsi, poi però ci si dimentica della transizione ambientale che dobbiamo per forza realizzare. Europa, Italia e Sardegna sono bravi a parole, ma nei fatti sono bocciati.

Sul suo blog l’ex assessore ai Lavori pubblici della Regione Sardegna, Paolo Maninchedda, racconta di quanto successe in un consiglio comunale a Bitti qualche anno fa e di come intervenire sull’urbanistica significa scontrarsi col “consenso”. Che manca, se metti delle regole. Magari sei anche progressista (a parole), ma se qualcuno ti promette che ti farà aggiungere una stanza in più o ti farà costruire dove c’è qualche problema (ma tu hai il terreno), il voto glielo dai.

Pierluigi Marotto racconta su Facebook come, da sindaco di un comune della cintura cagliaritana, decise di pianificare il territorio (fece il PUC, piano urbanistico comunale) e di utilizzare il principio di precauzione. Non venne rieletto.

Ricordo una ricerca, relativa ai comuni lombardi, per la quale circa l’80% delle elezioni locali si giocano, si vincono e si perdono, sull’urbanistica. In Sardegna non esistono, che io sappia, ricerche simili, ma la percentuale è identica, forse un po’ più bassa perché ci sono comuni così poveri dove neanche l’elemento urbanistico attizza il pensiero di procurarsi una rendita senza fare niente.

A Cagliari, da consigliere comunale, tra il 2011 ed il 2016, io ed altri chiedemmo di adeguare il Piano urbanistico comunale al Piano Paesaggistico Regionale, ma nessuno ci ascoltò. Neanche il sindaco, che infatti venne rieletto. Il PUC di Cagliari ancora non c’è e sono passati 10 anni.

La politica locale dipende dai “favori” urbanistici. C’è chi magari perde le elezioni, ma combatte e oggi può a testa alta affermare che sui morti di Bitti, e su tutti gli altri, non c’entra nulla. Per molti non è così. Molti sono coccodrilli: prima ammazzano il territorio e poi piangono quando il territorio si ribella.

Il problema non è solo locale e non sta solamente in consiglio regionale, dove proprio in concomitanza con la tragedia si presenta un disegno di legge che vuole riautorizzare gli aumenti di volumetrie in zone pregiate.

Il problema è italiano ed internazionale. Lottare contro il cambiamento climatico significa lottare contro il “potere economico” costituito, quello vero, quello enormemente potente. Non basta fare l’occhiolino a Greta Thunberg, non basta citare Papa Francesco e “Laudato Sii”. Il premier Conte, le parti sociali, la commissaria Von Der Leyen finora sono stati col “potere economico”, che bloccherà qualunque transizione ambientale. La politica, invece, dovrebbe prevalere. Altrimenti, a ritmo periodico, torneranno i coccodrilli.

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La7, Briatore: “Noi cafoni della Costa Smeralda stiamo sulle balle a tutti perché non siamo i radical chic di Capalbio”

“Ormai è diventata famosa la mia prostatite, ma non la auguro a nessuno, neanche al presidente della Regione Campania che ci rideva sopra“. Inizia così a “Non è l’arena” (La7) la bordata dell’imprenditore Flavio Briatore a coloro che hanno ironizzato sulla sua malattia, ai media e in particolare a Vincenzo De Luca, che lo scorso mese aveva ironizzato, parlando di “prostatite ai polmoni”.

E rincara: “Quando succede qualcosa a persone che sono vincenti e che hanno fatto delle cose, questa gente le attacca. E così garantisci a queste persone un po’ frustrate e invidiose qualche secondo di benessere. Basti pensare alle critiche ricevute da Alberto Zangrillo. Sono stati insultati medici che hanno salvato centinaia di persone, hanno insultato la sanità lombarda, hanno insultato chiunque. Con questa gente devi passare, lasciare e guardare. E’ gente che vive male, perché, quando tu auguri che succeda qualcosa di brutto a qualcuno, è perché umanamente sei una merda”.

Briatore prende di mira i media e i giornali: “C’è stato un attacco veramente bestiale e vergognoso contro la Sardegna e in particolare contro la Costa Smeralda, dove la discoteca più famosa è il Billionaire, e quindi contro di me. Hanno detto fake news giornalmente. Sicuramente ci sono stati contagi, come in tutte le altre discoteche. Però, come dice Zangrillo, ci sono le discoteche di destra e le discoteche di sinistra. Della costiera romagnola non ha parlato nessuno – prosegue – perché la Sardegna e la Costa Smeralda stanno sulle balle alla gente. In Costa Smeralda c’è un certo tipo di clientela, che non è quella di Capalbio. Quella di Capalbio va bene, perché sono tutti più o meno radical chic e noi invece siamo i cafoni della Sardegna. C’è stato, insomma, un attacco molto molto violento da parte di tutti i media e di tutti i giornali. Poi, quando sono stato male, è aumentato”.

L’imprenditore, infine, rivela di aver chiarito con la virologa Maria Rita Gismondo, che lo scorso 8 agosto in una intervista al Fatto Quotidiano aveva dichiarato: “Mi vanto di non essere mai andata al Billionaire”. Rovente è stata la replica di Briatore al suo indirizzo, ma il 14 agosto hanno chiarito tutto: “Con Rita ci siamo spiegati. E’ stata con me a cena al Billionaire e credo che abbia passato una bellissima serata”.

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Sardegna, il sistema agricolo pubblico aspetta la sua riforma. E intanto il tempo passa

2 luglio 2019: fa un po’ caldo nella sala biblioteca dell’Assessorato dell’Agricoltura della Regione Sardegna. Siamo in tanti, è quasi un giorno di presentazione. Le elezioni sono passate da molti mesi, il presidente e l’assessora sono in carica, ancora ci si ricorda della rivolta dei pastori (ve la ricordate voi? Per ora pare che se ne siano dimenticati tutti, tranne quelli che stanno venendo perseguitati dalla giustizia), e sembra un giorno delle grandi occasioni.

L’assessora annuncia, da qua a qualche giorno, la presentazione di un progetto di legge di riforma organica del sistema pubblico agricolo (Assessorato più tre agenzie). Bene, così si fa, ce n’è bisogno. Parliamo di più di un migliaio di dipendenti pubblici e di diverse decine di milioni di stipendi, ma soprattutto della struttura che sovrintende al settore primario in Sardegna.

2 luglio 2020: sono passati 365 giorni, ma di quel progetto di legge di riforma organica non si sa nulla. Forse è in qualche cassetto, di sicuro non se ne è discusso, non si sa se esiste. La Direzione generale dell’Agricoltura e riforma agro-pastorale è passata da circa 120 unità a poco più di 70. Non si sono assunte figure tecniche, l’età media è terribilmente alta, si arranca.

Argea vive da più di 5 anni con la spada di Damocle del diventare organismo pagatore dei contributi a valere sul secondo pilastro della Pac (Politica agricola comune), oggi effettuati da Agea. Nel momento in cui si scrive non si è detta una parola chiara se, su questo punto, si assisterà ad un misero fallimento o no.

Agris e Laore, il primo vocato alla ricerca e il secondo istituzionalmente responsabile dell’assistenza e dell’animazione verso il mondo delle campagne e della pesca, sono in crisi di identità da anni, e non sono pervenuti segnali di alcuni tipo.

Al momento non è chiaro quali obiettivi il governo regionale si è dato per il settore primario. Quale agricoltura o, meglio, quali agricolture e quali pastorizie? Favorire l’accorpamento, o permettere l’esistenza di un diffuso apparato produttivo? Quale valutazione di qualità (sulla quantità i numeri sono chiari, e non negativi) sulla spesa di ingenti fondi europei dal 2000 ad oggi nel settore?

Quali transizioni realizzare nella prima metà del XXI secolo? Vogliamo realizzare la transizione al biologico dell’intero sistema agro-industriale-alimentare e della pesca, partendo dalla certificazione della terra (di cui guarda caso si potrebbe occupare Agris)? Vogliamo realizzare la transizione all’autosufficienza energetica?

Vogliamo realizzare una verticalizzazione della filiera, con lo sviluppo anche di una maggiore capacità manageriale? Quali prodotti, compresi quelli relativi alla lavorazione/utilizzo sia dei reflui, o la sperimentazione di linee innovative (carne biologica nel settore ovino, con una tendenza alla internazionalizzazione)?

Discussi e stabiliti tali obiettivi, che dovrebbero assumere autorevolezza e condizione in una “Conferenza sullo sviluppo rurale della Sardegna”, si può discutere, in contemporanea, della complessiva riorganizzazione del sistema pubblico agricolo, che è al servizio delle sarde e dei sardi, innanzitutto operatrici ed operatori del settore. C’è bisogno di un organismo pagatore? Se si decide di sì, lo si realizzi autonomo e funzionalmente diverso rispetto a chi istituzionalmente ha il compito di realizzare le istruttorie.

C’è bisogno di un ente pubblico che faccia ricerca in agricoltura? La domanda non è di facile risposta, perché esiste l’università e perché in giro per l’Europa ci sono esempi diversi. Noi pensiamo di sì, e che però bisogna unificare centri di spesa e procedure. E bisogna assumere, altrimenti rimane tutto sulla carta.

C’è bisogno di un ente pubblico che faccia assistenza e animazione per le campagne e per il mondo della pesca? Anche in questo caso il panorama europeo occidentale è vario e variegato. La sparizione dei servizi e la privatizzazione di alcuni di essi, in un tessuto debole e con una difficile situazione bancaria, sarebbe un passo indietro.

2 luglio 2020. Speriamo di non aspettare un altro anno.

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